Camminare mette in moto il pensiero, sostiene David Le Breton. È questo uno degli assunti dal quale si può partire per presentare la figura di un intellettuale di fama internazionale, interprete illuminato del suo tempo, che ha fatto dell’elogio della marcia uno dei punti centrali della propria riflessione e del proprio agire. Viaggiare camminando è un gesto trasgressivo, una potente affermazione di libertà. È un avanzare in modo trasversale, nell’attuale ritmo frenetico della nostra esistenza, che consente di prendere le distanze e di affilare i sensi. Percorrere il mondo e la vita a piedi produce uno scarto, rappresenta uno sberleffo rispetto alla modernità, poiché ripropone una modalità insolita del viaggio in un’epoca in cui si esplora il mondo stando seduti a casa davanti a un computer o ovunque sul piccolo schermo del proprio telefono cellulare.
Nel sostenere che l’attività del camminare favorisce il godimento del tempo e dei luoghi, spingendo a interrogarsi sul senso di un modo antico e insieme nuovo di viaggiare, Le Breton offre un punto di vista inedito che mette al centro del pensiero il corpo, oggi da molti percepito, al peggio, come un’anomalia o un dispositivo imperfetto, da diversi altri considerato, al meglio, come un elemento accessorio di una quotidianità nella quale il movimento è sostituito da una serie di protesi (automobili, mezzi di trasporto di ogni genere, strumenti per la comunicazione virtuale). La neutralizzazione tecnica del corpo, che caratterizza le nostre società, produce come contrappasso una condizione di malessere che deriva dall’averlo messo tra parentesi. Camminare, invece, riduce l’immensità del mondo alle dimensioni del corpo, costringendo gli individui a contare solo sulle proprie forze fisiche, esposti di continuo agli stimoli del mondo fuori e dentro sé stessi: certo, si tratta di un anacronismo in una contemporaneità che privilegia la velocità, il rendimento, l’impazienza, la funzionalità, l’efficienza, ma nel contempo suggerisce un’alternativa all’omologazione di cui siamo tutti più o meno vittime.
Camminare è riprendere contatto corporeo con il mondo, con l’ambiente, con il paesaggio, con una geografia, è un darsi senza limiti e ostacoli alla sensorialità dei luoghi. Se l’ambiente non è fatto solo di ciò che vediamo, ma anche di ciò che sentiamo e percepiamo con tutti i nostri sensi, allora viaggiare a piedi chiama in causa non solo i nostri sensi ma, tramite il magnetismo dei luoghi, aiuta a elaborare più acutamente un senso. Perché il camminare incide sulla qualità dello sguardo, che è il principale veicolo di appropriazione dello spazio. Spostarsi a piedi, così, diventa una traversata di paesaggi, avvia processi cognitivi su di sé e sugli altri, genera uno spaesamento delle conoscenze. Il cammino è un universo della reciprocità, in cui si lascia alle spalle un mondo fatto di competizione e di disimpegno, a favore di un mondo della parola e della solidarietà, dove l’altro non è più un avversario. L’attività essenziale del camminare ci fa dunque rientrare in contatto con il corpo, con l’altro e con l’ambiente.
Ma nelle relazioni che gli uomini intrattengono con il paesaggio è sempre all’opera un’affettività, prima ancora dello sguardo vero e proprio. Chi si muove a piedi in certi luoghi può varcare soglie geografiche di cui non è ancora consapevole, soglie che cambiano la tonalità dell’essere. La dimensione “oggettiva” del paesaggio è sempre filtrata dall’atmosfera del momento, il rapporto che si instaura con il paesaggio è una sorta di presa di possesso attraverso il corpo, non di tipo puramente fisiologico, ma psicologico, che alimenta una geografia affettiva. Così, il cammino coniuga la geografia esterna al sé con una geografia interiore in continuo mutamento, rinviando ciascuno all’umiltà della propria condizione umana, restaurando la dimensione fisica del rapporto con l’ambiente e ricordandoci il sentimento della nostra esistenza.
Referente: Prof. Luigi Gaffuri – Dipartimento di Scienze umane – Viale Nizza 14 – 67100 L’Aquila
tel. +39 0862 432138 – fax +39 0862 432170 – e-mail: luigi.gaffuri@cc.univaq.it