di Walter Ciccione
Tanti elogi nei media argentini al presentatore e giornalista scomparso, ma nessuno ha ricordato l’amore e la fierezza di Antonio Carrizo per le sue radici abruzzesi, che ci raccontò in una internista alla TRIBUNA ITALIANA, pubblicata nel 1999. Il rimpianto per non aver potuto fare il passaporto italiano e la stranezza per il fatto che la lingua dell’Argentina non sia l’italiano. “Uno dei nostri”.
Il 1º gennaio, all’alba del nuovo anno, é morto a 89 anni Antonio Carrizo, un caro personaggio, una leggenda della radio e la televisiones dell’Argentina. Un illustre discendente di quell’emigrazione italiana che si stabilì nella “pampa”. Personalità di prestigio il cui attaccamento alle sue radici italiane é stata ignorato dai media locali, ma che lui rivendicava, come é dimostrato dall’intervista esclusiva pubblicata nel 1999 dalla nostra Tribuna Italiana della quale presentíamos alcuni tra i passaggi più rilevanti in questo articolo. Infatti, l’Antonio Carrizo che abbiamo conosciuto, e al quale ci legava una certa amicizia, era un appassionato delle sue radici italiane.
La stampa argentina su Carrizo
Nei media argentini, gli elogi a Carrizo sono stati unanimi, mettendo in risalto dal suo amore per i libri alla sua opera di diffusione dell’arte al grande pubblico, alla molteplicità di attività svolte, compresa quella di addetto culturale presso l’ambasciata argentina in Madrid.
Annunciatore, mezzobusto, presentatore, “speaker”, commentatore, in definitiva tutte parole che fanno riferimento al “locutor” nostrano, e Carrizo é stato uno tra i più bravi. Ha saputo sostenere un lunghissimo romanzo con la radio, durante sei decenni davanti ai microfoni.
Nella sua veste di giornalista ha messo in evidenza le sue grandi capacità come intervistatore, col suo istrionismo naturale, riusciva a proporre sfumature nei dialoghi, raccontando le proprie esperienze, i ricordi e aneddoti personali, cosí come mettendo in evidenza le sue passioni: i libri, gli scacchi, il tango, la musica classica e il suo Boca Juniors.
Un eccezionale conduttore di eventi musicali che ha presentato grandi artisti come Nat King Cole, Julio Iglesias, Domenico Modugno, Iva Zanicchi, Charles Aznavour, il Trio Los Panchos e tanti altri famosi.
L’altro Carrizo e l’intervista
Anche se si tratta di una personalità popolare per la società locale, i media della collettività in genere non erano al corrente del compiacimenti di Carrizo per le sue radici italiane. Ma la nostra Tribuna Italiana lo ha fatto, nella sua ricerca di esponenti della società argentina che oltre al Dna di origine nel Bel Paese, mettono in risalto tale qualità nelle loro attività.
Nel caso di Carrizo, l’intervista é stata concessa in un posto adeguato al personaggio, un “Caffé letterario”. “Tony “ per gli amici, era inconfondibile, entrò nel locale e togliendosi il basco che sempre portava in testa mi sorprese con un effusivo “Buon giorno, caro amico”, detto cosí in italiano.
Nel colloquio raccontó “Sono venuto al mondo il 15 settembre del 1926 a General Villegas, località sita a 480 km da Buenos Aires. Il mio cognome è Carrozzi, così tutto con le doppie. Il Carrizo mi è stato imposto dai produttori della radio”. “I miei nonni paterni – continuava – erano abruzzesi, di una paesino appeso alle montagne del Gran Sasso, vicino a L’Aquila, che si chiama Camarda, dove Carrozzi è un cognome comune”. “Si tratta di una paese che conserva la sua struttura medioevale e che si va spopolando, abitato soltanto da circa 500 anime in gran parte anziani, che godono i tramonti silenziosi e melanconici stagliati dietro alle montagne”, spiegò, per poi raccontare la storia dell’emigrazione dei suoi avi. “Da quel pintoresco posto intrapresero i miei nonni l’avventura di emigrare verso l’Argentina alla fine del XIX secolo e con spirito di pionieri, si stabilirono a Juarez, un paese di campagna dove nacque mio padre il quale, seguendo la storia itinerante della famiglia, a 20 anni si stabilì in Genera Villegas. Mia madre era spagnola e mi allevò con i miei nonni iberici e anche se la mia educazione fu ispanica, mi sono sempre sentito attratto e fiero del mio origine italiano e abruzzese in particolare”.
Poi la conversazione, già tra amici continuò su altri binari, a partire dal calcio, e Carrizo, su quello italiano, spiegò che non era tifoso di nessuna squadra, ma che seguida le società dove giocavano gli argentini, come “il Napoli di Diego o la Fiore di Battistuta”. Sul cinema, confessava la sua ammirazione per il neorealismo di Rosellini e De Sica, ma anche per Antonioni e raccontava dell’affettuosa amicizia che lo legava a Vittorio Gassman e andavano spesso a vedere la squadra del Boca Junior
Tra i cantanti Modugno era il suo prediletto (“un grande al quale ho avuto il piacere di presentare in varie occasioni”), ma ricordava di aver mantenuto un eccellente rapporto con tutto “l’équipe “ di San Remo con Claudio Villa, Aurelio Fierro, Tony D’Allara e Tedy Reno, tra gli altri, “ai quali ho presentato nello stadio Luna Park nel1961, in occasione del Festival San Remo in Buenos Aires”. Sulla letteratura italiana, si è detto fascinato da Umberto Eco.
Durante l’incontro Carrizo fece riferimento ad un altro evento che aveva presentato, sul quale serbava un grato ricordo: l’omaggio della collettività a Mario Basti, fondatore e direttore della Tribuna Italiana , in occasione dei cinquant’anni di vita giornalistica del dott. Basti, nel 1999. “Tony”, aveva conosciuto Basti una quindicina di anni prima, e avevano collaborato in una iniziativa per promuovere l’immagine dell’Italia nella società argentina.
Quasi alla fine dell’intervista di allora, confidò al cronista una lamentela e una inquietudine. La prima riguardava il tentativo non riuscito, di avere riconosciuta la cittadinanza italiana. “Credo di averne diritto – confidava – e inoltotre sarebbe per me un orgoglio portare quel passaporto. Ma nel Consolato ho trovato un atteggiamento ostile e neanche un pizzico di buona volontà. Speravo di meritare un minimo di considerazione ma non è stato così. Mi sono sentito talmente male che sono andato via e ci ho rinunciato”. Questo lo diceva nel 1999.
Quanto all’inquietudine si domandò: “Non capisco come la lengua italiana perse la sua battaglia in Argentina, vinsero gli spagnoli. Ma come è possibile che in un paese nel quale oltre il 50% della popolazione è di origine italiana, si parli lo spagnolo?”
Sul particolare ci fu uno scambio di vedute col cronista e si arrivò a spiegare il paradosso col fatto che in gran parte quei connazionali emigrati erano modesti lavoratori,in tanti analfabeti che non parlavano nemmeno l’italiano, ma il loro dialetto. Ma, a modo di magra consolazione sottolineò: “comunque abbiamo vinto un’altra battaglia, quella gastronomica”. Altre definizioni e atteggiamenti manifestati allora e dopo da Carrizo, confermano che il nostro protagonista, appena scomparso, ha sufficienti condizioni e meriti per far parte, ora in memoria, del gruppo che abbiamo battezzato “Uno dei Nostri”.
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