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di Domenico Logozzo *
REGGIO CALABRIA – La Calabria ha beni di immenso valore che tutto il mondo ci invidia. Sono una grossa componente culturale, turistica e anche economica della vita regionale. Ma molti di questi beni rischiano di essere persi irrimediabilmente. Preziose testimonianze della storia dell’umanità. Gli studiosi invocano salvaguardia e difesa, ma riscontrano poca tutela e molti danni. Bisogna agire, prima che sia troppo tardi. Negligenze, tante. Emergenze, troppe. Interventi risolutivi, pochi. Insufficienti. Da un capo all’altro della regione. Si mobilita ancora il mondo culturale. Servono fondi adeguati che in questo momento di crisi è difficile ottenere, sia a livello di governo regionale che nazionale. I tagli non risparmiano i tesori archeologici. Non sempre c’è la necessaria sensibilità. Si ripetono gli appelli di chi da una vita si dedica alla scoperta, al restauro, alla conservazione e alla valorizzazione delle testimonianze del passato. No deciso al pessimismo della rassegnazione. Sì all’ottimismo della volontà. Fare come i soci del Rotary Club di Locri, presieduto dal prof. Vincenzo Naymo, docente di Storia Economica presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università di Messina. Il 12 dicembre ha preso il via, per iniziativa del Club locrese, con la supervisione della Soprintendenza per i Beni archeologici della Calabria, una campagna per salvare il Parco Archeologico di Monasterace, in provincia di Reggio Calabria.
“La raccolta fondi – ci dice lo studioso di Gioiosa Jonica – è stata avviata dal Rotary Club di Locri con una tombolata nel Circolo di riunione di Locri e con l’appello “a tutti gli amici, rotariani e non, affinché, ciascuno secondo le proprie possibilità, dia un piccolo contributo per aiutarci a salvare questo grande patrimonio di una fra le più antiche e illustri culture del mondo”. Nello stesso tempo viene rivolto con una mail l’invito a tutti i rotariani del mondo (1.200.000 circa) di versare un euro: “Aiutateci a salvare il tempio dorico e i mosaici dei draghi e delfini di Kaulonia, un patrimonio straordinario, di una fra le più antiche e illustri culture del mondo!”. Ricorda il prof. Naymo: “Nel 2012 nell’antica città magnogreca di Kaulonia gli scavi archeologici hanno portato alla luce uno straordinario mosaico pavimentale, esteso oltre 25 mq, (datato tra la fine del IV-inizio del III sec. a. C.) che per lo sviluppo dei suoi decori, per lo stato di conservazione e per la sua estensione può essere considerato fra i più importanti ed i più antichi finora rinvenuti nel mondo. La mancanza di mezzi economici per poter procedere alla tutela e alla salvaguardia dell’opera ritrovata, purtroppo hanno costretto l’équipe degli archeologici a reinterrare il tutto, per preservarlo dagli agenti atmosferici. Le violente mareggiate hanno altresì messo a repentaglio la stessa sopravvivenza dell’area del mosaico”. Per questo è necessario “provvedere alla progettazione e costruzione di un’adeguata copertura per le aree mosaicate, al fine di impedirne il deterioramento da parte delle intemperie, rendendole fruibili ai visitatori”. Ma è improcrastinabile l’esigenza di “intervenire rapidamente per fermare al più presto l’azione erosiva delle acque marine”. Occorre dunque accelerare “la costruzione di imponenti strutture di sbarramento a protezione della duna superstite, scongiurando così la distruzione di tutta l’area”. Non si può perdere altro tempo: ”Misure irrinunciabili e impellenti” sostenute da finanziamenti “adeguati e consistenti” perché “i fondi dello Stato sono scarsi e quasi inesistenti!”
Ma approfondiamo la conoscenza del complesso archeologico termale e del mosaico del “drago” di Kaulonia, attraverso la scheda della studiosa Maria Teresa Iannelli, direttrice del Museo e dell’area archeologica di Monasterace, nonché direttrice del Museo Nazionale di Vibo Valentia. Scrive: “L’antica Kaulonia, agli inizi del Novecento, è stata identificata dall’archeologo Paolo Orsi nella moderna cittadina di Monasterace Marina, in provincia di Reggio Calabria. Si tratta di una colonia achea fondata all’inizio del VII sec. a.C., sulla costa ionica calabrese. Nell’ambito del Parco Archeologico di Monasterace, le indagini effettuate dalla Soprintendenza per i Beni archeologici della Calabria, condotte nel tempo, con l’ausilio di studenti provenienti da varie università italiane e straniere, dirette da me e da Francesco Cuteri, hanno rinvenuto un edificio riferibile alla fine del IV secolo a.C., che rientra nella nuova organizzazione urbanistica, promossa in seguito alla distruzione della città operata dai Siracusani, nel 389 a.C.”
La direttrice del Museo descrive “l’edificio, particolarmente monumentale (oltre 35 m. x 17), che occupa più di un intero isolato e si configura probabilmente, fin dalle origini, come un’area pubblica. A questa prima fase, definita dall’insieme delle strutture murarie, sono da riferire le preziose tracce di intonaco rosso presenti sulle pareti di alcuni ambienti. Tra la fine del IV ed il III secolo l’edificio, pur continuando a mantenere una connotazione di carattere pubblico, viene trasformato in un articolato complesso termale. Vari ambienti di rappresentanza si alternano a quelli di servizio muniti di panche in muratura: una grande vano di forma circolare è stato identificato come bagno per la presenza di almeno cinque vasche in terracotta, per abluzioni singole, ora esposte nel locale Museo; un ipocausto (fornace) era finalizzato al riscaldamento dell’acqua utilizzata nelle terme; un grande ambiente rettangolare, munito di panche, di una lunga piscina rettangolare, e pavimentato con un mosaico policromo, era usato per il bagno caldo. Il complesso termale è unico nel suo genere (gli altri pochi esempi sono stati rinvenuti: a Velia, a Morgantina, a Gela, e a Siracusa)”.
Quindi Maria Teresa Iannelli spiega che “la monumentalità e l’articolazione funzionale dell’edificio termale sono state ulteriormente sottolineate dalle più recenti ricerche, condotte nell’estate de 2012, che hanno portato alla scoperta, nel cosiddetto ambiente H (grande vano con lunga piscina rettangolare per il bagno caldo), che deve essere inteso, a pieno titolo, come il cuore dell’intero complesso, di uno straordinario mosaico pavimentale, esteso oltre 25 mq., che mostra un repertorio decorativo particolarmente ricercato. Il mosaico (datato tra la fine del IV – inizio del III sec. a.C.), per lo sviluppo dei suoi decori, per lo stato di conservazione e per la sua estensione può essere annoverato fra i più importanti ed i più antichi finora rinvenuti tra Magna Grecia e Sicilia. Esso era coperto dal monumentale crollo della volta dell’ambiente le cui componenti, in corso di rilievo e di studio da parte degli archeologi che hanno condotto lo scavo, hanno permesso di delineare interessanti analogie con il sistema di copertura proposto per il calidarium delle terme di Fregellae e di far ipotizzare che la struttura kauloniate, vista la più alta cronologia, ne rappresenti in un certo senso, l’archetipo”.
La direttrice del Museo e dell’area archeologica di Monasterace, conclude illustrando il pavimento mosaicato che “si articola in due fasce decorate con figure di animali che inscrivono nove riquadri con motivi floreali; su quella più esterna si affrontano a coppie un delfino ed un drago marino, che alla fine della decorazione sul lato nord, viene sostituito da un ippocampo. Davanti all’ingresso del vano è riprodotto un grande rosone. Per la definizione dei riquadri e dunque della geometria del mosaico, è diffuso l’impiego, di sottili lamine in piombo che ci sono giunte in ottimo stato di conservazione. I draghi raffigurati su questo mosaico sono molto simili a quello di maggiori dimensioni rinvenuto nel 1969, sempre a Kaulonia, nella cosiddetta “Casa del Drago”, datato alla fine del III sec. a.C. Tuttavia, non è da escludere che il drago più piccolo sia servito da modello per l’altro e che la sua matrice culturale sia da ricercare in Sicilia e, soprattutto, nell’area di influenza siracusana. La collocazione del drago in prossimità dell’ingresso rimanda probabilmente alla funzione bene augurante che l’animale marino ha assunto nel mondo antico”.
Patrimoni dell’umanità che vanno tutelati. E fatti conoscere a tutto il mondo. L’appello che parte dagli studiosi della Locride è un atto d’amore per i tesori del passato da conservare e da tramandare alle generazioni future. La cultura del fare.Un bell’esempio che parte dal profondo Sud per la rinascita del Mezzogiorno!
*già Caporedattore del Tgr Rai