[slideshow auto=”on” thumbs=”undefined”]
A STOCCOLMA L’ABRUZZO PERDE UN FIGLIO, APPASSIONATO DELLA SUA TERRA
di Goffredo Palmerini
L’AQUILA – Era l’allegria fatta persona, Luciano Mastracci. Ma anche la sensibilità, la tenerezza e la profondità negli affetti e nelle relazioni umane. Avevamo condiviso quattro giorni insieme, a fine settembre inizio ottobre del 2013, in Belgio, tra Bruxelles, Charleroi e Marcinelle, per i lavori dell’annuale assemblea del Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo (CRAM), egli delegato della Svezia. Era arrivato con le stampelle a Charleroi, faceva fatica a muoversi, ma senza mai lamentare alcunché aveva seguìto come e meglio di tutti gli impegni nei lavori e le convivialità. Ci eravamo riabbracciati in Belgio dopo quattro anni e mezzo da quel breve nostro incontro all’Aquila, il 30 marzo 2009, quand’egli terminata la visita era in procinto di ripartire per Stoccolma, appena in tempo prima che la violenza del terremoto devastasse L’Aquila. Vi era tornato dopo anni portando la figlioletta Amber per farle vedere la bellezza della sua città, dalla quale era partito per amore alla volta della Scandinavia, negli anni Settanta, dapprima in Finlandia poi in Svezia. Ci vedemmo al bar del Grand Hotel, quella mattina del 30 marzo. Era con Amber e con Paolo Cerasoli, l’amico di sempre, musicista e docente al Conservatorio, con il quale aveva condiviso molti anni di giovinezza e di forte complicità musicale, negli anni a cavallo tra il Sessanta e il Settanta del secolo scorso. Ma ne parleremo più avanti.
Era stata un’avventura festosa, malgrado il disagio delle stampelle e della fatica, venire in Belgio per la prima volta al meeting del CRAM, essendo l’Associazione degli Abruzzesi in Svezia (AAIS) stata iscritta all’albo regionale delle associazioni riconosciute soltanto nel 2012, data la recente costituzione risalente al 2008. Luciano non aveva voluto mancare alla prima riunione utile, per presentare ai colleghi del CRAM, delegati dei vari Paesi – Canada, Stati Uniti, Venezuela, Brasile, Uruguay, Paraguay, Cile, Argentina, Australia, Sud Africa, Algeria, Svizzera, Belgio, Lussemburgo, Germania, Gran Bretagna e Italia – la realtà dell’emigrazione abruzzese in Svezia e le attività svolte dall’AAIS. Aveva fatto breccia immediatamente su tutti, per quella sua immediatezza di carattere, franco e comunicativo, dove spiccavano la capacità di entrare in sintonia ed un forte senso dell’ironia, anche riferita a sé medesimo. A chi gli chiedeva notizie sul motivo delle stampelle, aveva risposto d’essere reduce da alcune settimane da un’operazione chirurgica alla spina dorsale per alcune vertebre malconce. Ma subito invitava gli interlocutori a parlare d’altro, di cose più piacevoli. Assiduo ed attento durante i lavori del meeting, aveva esposto con chiarezza e con una saggia visione del futuro le attività che contava d’avviare per il 2014, per promuovere le eccellenze abruzzesi in Svezia con iniziative culturali che facessero meglio conoscere l’Abruzzo nel paese scandinavo. In poco tempo aveva conquistato la fiducia, l’amicizia e la stima di tutti, testimoniata a conclusione dei lavori con un riconoscimento della Regione Abruzzo consegnatogli ai Consiglieri regionali, componenti del CRAM, Caramanico e Prospero. Insomma, Luciano era entrato, con la sua simpatia e sensibilità, nel cuore di tutti.
Avevamo vissuto insieme l’emozione e la commozione della giornata passata all’interno della miniera di Bois du Cazier, dove l’8 agosto 1956 persero la vita 262 minatori, dei quali 136 italiani, ben 60 gli abruzzesi. Coetanei, noi amici d’infanzia a Paganica, dove egli ha vissuto fino all’età di 13 anni, sua madre Carmelina per un anno mia maestra – poi tragicamente morta, investita – era più naturale per noi farci qualche confidenza in più sulla vita e anche su qualche lacrima sfuggitaci nel cimitero di Marcinelle e nella miniera maledetta, ora diventata patrimonio dell’Umanità. Ancor più nel profondo Luciano era entrato nel cuore dei colleghi del CRAM durante le conviviali, quando non faceva mancare folgoranti e argute ironie su aspetti della vita e su personaggi. Spesso l’ironia riguardava proprio se stesso, la sua temporanea disabilità, la sua esperienza di vita. Solo l’ultimo giorno, chiedendomi l’impegno a tenere la sua confidenza solo per me, mi aveva parlato con tutta franchezza della gravità della sua malattia, un cancro alle ossa, e la previsione che non sarebbe vissuto a lungo. Una confidenza terribile che egli invece mi aveva fatto con naturalezza e francescana attesa di “sorella morte”, solo sperando d’avere ancora un po’ di tempo per lasciare alcuni ricordi meglio organizzati, per i figli più piccoli e i nipotini. Mi disse che avrebbe molto tenuto alla dignità personale, che la malattia non doveva scalfire. Parlammo anche di cose più profonde, di spiritualità, della straordinaria figura umana e divina di Cristo, della Fede autentica che rifugge dai formalismi. E ancora di un suo ultimo desiderio: rivisitare con la sua sensibilità musicale alcuni canti aquilani e farne un Cd. Non so se gli sia riuscito, ma durante la lunga degenza ospedaliera ha riportato su Facebook molte foto della sua giovinezza aquilana, stimolando riflessioni e riagganci di relazioni con numerose amicizie che il tempo e la lontananza avevano attenuato. Era stato, all’inizio dell’anno, proprio lui a parlare, con sincerità e naturalezza, della gravità della sua malattia sul suo diario Facebook, colpendo tutti con la sua serenità. Ma nel suo struggente post aveva anche scritto che non avrebbe affatto gradito parlare di malanni, suoi o altrui, ma solo di cose belle, di arte, musica, amicizia, ricordi, aspettative e futuro. Fatto che ha prodotto un intenso colloquio con tanti amici, il dispensare quasi quotidiano di pillole di saggezza, vivendo con grande dignità la sua malattia e godendo ogni ora e minuto gli affetti della sua famiglia che, in ospedale prima e nella struttura per malati terminali poi, andavano a stare con lui.
Luciano Mastracci era nato a L’Aquila nel 1948. Dopo l’infanzia passata a Paganica, era con la famiglia andato ad abitare all’Aquila, dove aveva vissuto fino all’età di 28 anni. Diplomatosi perito elettrotecnico all’Istituto Tecnico Industriale, aveva però coltivato sin dall’adolescenza la sua passione per la musica, suonando la chitarra e vivendo quella straordinaria stagione che aveva portato la rivoluzione nel campo della musica e del costume, con l’avvento dei Beatles e dei Rolling Stones. All’Aquila, negli anni Sessanta e Settanta, egli infatti era stato un alfiere delle nuove tendenze musicali, insieme ad altri giovani di talento – Paolo Cerasoli, Enrico Gianforte (Jeff), Rolando Tiberti, Roberto Mariani, Marco Zanini, Carlo Pacini, Enzo Orsini, Nino Rondelli, Lucio Mattoni, ed altri – aveva dato vita, nel 1965, al gruppo “Gli Elettronici” e successivamente a varie Band di successo, nell’aquilano. Un decennio di forte impegno musicale, secondo le attese d’una intera generazione che viveva quegli anni non solo come un’esperienza di nuovi gusti musicali, ma anche come vera e propria rivoluzione di costumi che rompeva schemi anchilosati, s’apriva al mondo, affermava nuove tendenze e cercava nuove frontiere, particolarmente in una città di provincia condizionata per secoli dalla difficoltà dei collegamenti, fino a quando non si realizzò l’autostrada Roma-L’Aquila. Frequentava il DAMS di Bologna quando, nella seconda metà degli anni Settanta, seguendo l’innato suo spirito “hippy”, come il protagonista del romanzo On the road di Kerouac, aveva preso a girovagare per l’Europa e finalmente a prendere dimora in Finlandia, lì attratto dall’amore per una ragazza finlandese. Lì aveva messo su un’attività professionale di musicista nei locali – lui si è sempre definito “musicante”-, compositore, chitarra, voce e armonica. Mai band, sempre singer solista. Predilezione per i generi rock-country, folk, pop, oldies, alternative, quindi musica italiana d’autore, ha interpretato con la sua sensibilità brani dei Rolling Stones, The Doors, The Shadows, Eric Clapton, Bob Dylan, Woody Guthrie, Jimmie Rodgers, Willie Dixon, ma anche Paolo Conte, Renato Carosone, Francesco Guccini, Fabrizio De André e l’Equipe 84.
Dalla Finlandia, un anno dopo il suo arrivo, Luciano si era poi trasferito a Stoccolma, ampliando la sua attività di musicista, molto apprezzato nel suo genere e sopra tutto per la grande capacità di stabilire con immediatezza un particolare feeling con il pubblico. Una dote che ha sempre avuto e che è stata cifra dell’ampiezza e della qualità delle relazioni amicali. Molto stimato per l’indole e la ricchezza dei valori culturali, sociali ed etici, nel 2007 aveva raccolto prontamente lo stimolo a fondare un’associazione degli abruzzesi, che infatti l’anno successivo vide la luce con la costituzione dell’AAIS e con un evento-vetrina sulla gastronomia abruzzese. Molto benvoluto dalla comunità svedese, ha per anni insegnato gratuitamente la lingua italiana a chiunque volesse apprenderla. Dai due suoi matrimoni ha avuto quattro figli, dal primo Elena e Claudia ormai sposate, Amber e il maschietto Milde dal secondo. Tre i nipotini. Una famiglia ricca di affetti e di gioie. Nel 2009, per la felicità dell’allora piccola Amber, Luciano Mastracci aveva scritto, e pubblicato con la EU Editrice di Trento, la favola “Asinello vecchierello”, un simpatico ciuco che fa gli stessi sogni dei bambini. Nel gennaio scorso aveva prontamente rintuzzato le avventate critiche al CRAM espresse dal presidente della Regione Abruzzo, Gianni Chiodi, con una bella lettera, capolavoro di schiettezza e di garbo, con la quale gli aveva in nuce addebitato una scarsissima conoscenza del mondo dell’emigrazione oltre alla responsabilità d’aver lasciato senza risorse il CRAM durante il suo mandato presidenziale. Molte le testimonianze di affetto e di cordoglio giunte dalle comunità abruzzesi di tutto il mondo, a riprova di quanto forte fosse diventato il rapporto d’amicizia e di stima che Luciano si era conquistato in seno al CRAM e tra gli abruzzesi d’ogni continente. E’ stato un esempio autentico di semplicità, profonda umanità, cultura e grande dignità, fondata sui valori veri della vita che sopravvivono sempre, anche alla morte. L’Abruzzo può andare certamente fiero per questo suo figlio sensibile, legato alle sue radici, generoso, appassionato della terra che gli aveva dato i natali. Un abruzzese di cui andare davvero orgogliosi.