Perché il cinema, in fondo, è un orologio che sogna
Italo Nostromo.
di Carlo Di Stanislao
Il cinema e il sogno sono due linguaggi universali che abitano lo stesso spazio liminale, dove l’irrazionale diventa logica, il caos si trasforma in armonia, e l’invisibile prende corpo. Come un sogno, il cinema non si limita a raccontare storie: le incarna, le fa respirare attraverso la luce, il movimento, il suono. È un’arte che, come osservava André Bazin, “mummifica il tempo”, cristallizzando attimi effimeri in un eterno presente. Fellini, con la sua visione barocca dell’esistenza, paragonava la macchina da presa a “un occhio che sogna”, mentre Luis Buñuel, nel suo “Il cane andaluso”, sfidava ogni convenzione narrativa per scavare nelle ossessioni dell’inconscio collettivo. Il cinema, come il sogno, è un atto di ribellione contro i limiti del reale: un luogo dove anche il silenzio può urlare, e un primo piano può rivelare l’infinito.
Strutture parallele: il codice segreto dell’onirico
- Narrazione liquida:
Nei sogni, il tempo non scorre, danza Lo stesso accade in pellicole come “Momenti di gloria” di Terrence Malick, dove i flashback si fondono con visioni future, o in “Synecdoche, New York” di Charlie Kaufman, in cui la vita del protagonista si replica in un labirinto di meta-teatri. Anche il concetto di “sogno dentro il sogno”, reso celebre da “Inception” di Nolan, ricorda le matrioske della coscienza descritte da Freud: ogni livello rivela un desiderio nascosto, una paura sepolta. Il cinema, come il sogno, gioca con la nostra percezione, trasformando un semplice taglio di montaggio in un salto dimensionale. - Simbolismo e archetipi:
Le immagini oniriche parlano per enigmi, e il cinema ne ha fatto un vocabolario. In “Persona” di Bergman, il volto spezzato di Bibi Andersson diventa un simbolo dell’identità frammentata; in “Stalker” di Tarkovsky, la Zona è un labirinto metafisico che riflette le paure dell’anima. Persino il colore assume un ruolo simbolico: il rosso sangue in “Suspiria” di Argento o il blu ipnotico di “Blue Velvet” di Lynch non sono mere scelte estetiche, ma chiavi per decifrare universi emotivi. - Libertà emotiva e catarsi:
Nel buio della sala, come nel sonno, siamo vulnerabili eppure liberi. Il cinema ci permette di vivere tragedie epiche (“Schindler’s List”), passioni proibite (“Chiamami col tuo nome”), o viaggi surreali (“Il labirinto del fauno”) senza conseguenze, offrendo una catarsi aristotelica. Come scriveva Jung, “il sogno è un teatro in cui il sognatore è allo stesso tempo scenografia, attore e pubblico”: nel cinema, questa triplice identità si moltiplica all’infinito.
“Il mio sogno è il cinema”: tra ossessione e rivoluzione
Dire che il cinema è il proprio sogno significa abbracciare una forma di follia sacra. È la stessa follia che spinse Stanley Kubrick a girare 127 volte la scena del milk bar in “Arancia Meccanica”, o a Hayao Miyazaki a disegnare a mano 144.000 fotogrammi per “La città incantata”. Per registi come Agnès Varda o Paolo Sorrentino, il cinema è un diario intimo scritto con la luce: in “Cleo dalle 5 alle 7” o “La grande bellezza”, ogni inquadratura rivela un frammento della loro anima.
Ma il sogno del cinema è anche un atto politico. Il neorealismo di De Sica e Rossellini ha ridato voce agli ultimi, mentre registi come Ava DuVernay o Bong Joon-ho usano lo schermo per denunciare ingiustizie. Come disse Pasolini, “il cinema non rappresenta la realtà, la interroga —e in questa interrogazione risiede la sua potenza rivoluzionaria.
Cinema come autoritratto onirico: lo specchio dell’anima
Se il cinema è un sogno, allora ogni film è un autoritratto. Per Wong Kar-wai, i motivi ricorrenti—orologi, pioggia, stanze d’albergo—sono tasselli di un puzzle autobiografico (“In the Mood for Love”). Per Tim Burton, le figure grottesche e i paesaggi gotici (“Edward mani di forbice”) rivelano un’infanzia vissuta tra fumetti e solitudine. Anche il concetto di “soggettiva” acquista un senso nuovo: la macchina da presa non mostra il mondo, ma come il regista lo sogna.
E qui il cinema sfiora la magia: con il montaggio, puoi far convivere due realtà in un singolo fotogramma (Ejzenštejn); con la musica, trasformi un tramonto in un addio (Ennio Morricone in “C’era una volta in America”). È un’arte che, come il sogno, non ha regole—solo istinti.
Conclusione: il sogno collettivo che ci salva
Il cinema è l’ultimo rituale pagano dell’umanità: milioni di persone che, nel buio, condividono lo stesso sogno. È un atto di resistenza in un’era di algoritmi e frammentazione, un promemoria che la bellezza può esistere anche nel caos. Forse, come suggeriva il poeta Tonino Guerra, “il cinema è una carezza che ci facciamo per non impazzire”.
E allora, se il cinema è il tuo sogno, non smettere mai di sognare. Perché ogni frame è un passo verso l’ignoto, ogni storia un grido contro l’oblio. Come scrisse Wim Wenders: “Il cinema non è un’arte che filma la vita. Il cinema è tra le arti quella che più si avvicina alla vita… e per questo la salva, ogni volta.”