Il cinema come sogno: un dialogo tra realtà e immaginazione

26 Febbraio 2025
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Perché il cinema, in fondo, è un orologio che sogna
Italo Nostromo.

di Carlo Di Stanislao

Immagine dal web

Il cinema e il sogno sono due linguaggi universali che abitano lo stesso spazio liminale, dove l’irrazionale diventa logica, il caos si trasforma in armonia, e l’invisibile prende corpo. Come un sogno, il cinema non si limita a raccontare storie: le incarna, le fa respirare attraverso la luce, il movimento, il suono. È un’arte che, come osservava André Bazin, “mummifica il tempo”, cristallizzando attimi effimeri in un eterno presente. Fellini, con la sua visione barocca dell’esistenza, paragonava la macchina da presa a “un occhio che sogna”, mentre Luis Buñuel, nel suo “Il cane andaluso”, sfidava ogni convenzione narrativa per scavare nelle ossessioni dell’inconscio collettivo. Il cinema, come il sogno, è un atto di ribellione contro i limiti del reale: un luogo dove anche il silenzio può urlare, e un primo piano può rivelare l’infinito.

Strutture parallele: il codice segreto dell’onirico

  1. Narrazione liquida:
    Nei sogni, il tempo non scorre, danza Lo stesso accade in pellicole come “Momenti di gloria” di Terrence Malick, dove i flashback si fondono con visioni future, o in “Synecdoche, New York” di Charlie Kaufman, in cui la vita del protagonista si replica in un labirinto di meta-teatri. Anche il concetto di “sogno dentro il sogno”, reso celebre da “Inception” di Nolan, ricorda le matrioske della coscienza descritte da Freud: ogni livello rivela un desiderio nascosto, una paura sepolta. Il cinema, come il sogno, gioca con la nostra percezione, trasformando un semplice taglio di montaggio in un salto dimensionale.
  2. Simbolismo e archetipi:
    Le immagini oniriche parlano per enigmi, e il cinema ne ha fatto un vocabolario. In “Persona” di Bergman, il volto spezzato di Bibi Andersson diventa un simbolo dell’identità frammentata; in “Stalker” di Tarkovsky, la Zona è un labirinto metafisico che riflette le paure dell’anima. Persino il colore assume un ruolo simbolico: il rosso sangue in “Suspiria” di Argento o il blu ipnotico di “Blue Velvet” di Lynch non sono mere scelte estetiche, ma chiavi per decifrare universi emotivi.
  3. Libertà emotiva e catarsi:
    Nel buio della sala, come nel sonno, siamo vulnerabili eppure liberi. Il cinema ci permette di vivere tragedie epiche (“Schindler’s List”), passioni proibite (“Chiamami col tuo nome”), o viaggi surreali (“Il labirinto del fauno”) senza conseguenze, offrendo una catarsi aristotelica. Come scriveva Jung, “il sogno è un teatro in cui il sognatore è allo stesso tempo scenografia, attore e pubblico”: nel cinema, questa triplice identità si moltiplica all’infinito.

“Il mio sogno è il cinema”: tra ossessione e rivoluzione
Dire che il cinema è il proprio sogno significa abbracciare una forma di follia sacra. È la stessa follia che spinse Stanley Kubrick a girare 127 volte la scena del milk bar in “Arancia Meccanica”, o a Hayao Miyazaki a disegnare a mano 144.000 fotogrammi per “La città incantata”. Per registi come Agnès Varda o Paolo Sorrentino, il cinema è un diario intimo scritto con la luce: in “Cleo dalle 5 alle 7” o “La grande bellezza”, ogni inquadratura rivela un frammento della loro anima.
Ma il sogno del cinema è anche un atto politico. Il neorealismo di De Sica e Rossellini ha ridato voce agli ultimi, mentre registi come Ava DuVernay o Bong Joon-ho usano lo schermo per denunciare ingiustizie. Come disse Pasolini, “il cinema non rappresenta la realtà, la interroga —e in questa interrogazione risiede la sua potenza rivoluzionaria.

Cinema come autoritratto onirico: lo specchio dell’anima
Se il cinema è un sogno, allora ogni film è un autoritratto. Per Wong Kar-wai, i motivi ricorrenti—orologi, pioggia, stanze d’albergo—sono tasselli di un puzzle autobiografico (“In the Mood for Love”). Per Tim Burton, le figure grottesche e i paesaggi gotici (“Edward mani di forbice”) rivelano un’infanzia vissuta tra fumetti e solitudine. Anche il concetto di “soggettiva” acquista un senso nuovo: la macchina da presa non mostra il mondo, ma come il regista lo sogna.
E qui il cinema sfiora la magia: con il montaggio, puoi far convivere due realtà in un singolo fotogramma (Ejzenštejn); con la musica, trasformi un tramonto in un addio (Ennio Morricone in “C’era una volta in America”). È un’arte che, come il sogno, non ha regole—solo istinti.

Conclusione: il sogno collettivo che ci salva
Il cinema è l’ultimo rituale pagano dell’umanità: milioni di persone che, nel buio, condividono lo stesso sogno. È un atto di resistenza in un’era di algoritmi e frammentazione, un promemoria che la bellezza può esistere anche nel caos. Forse, come suggeriva il poeta Tonino Guerra, “il cinema è una carezza che ci facciamo per non impazzire”.
E allora, se il cinema è il tuo sogno, non smettere mai di sognare. Perché ogni frame è un passo verso l’ignoto, ogni storia un grido contro l’oblio. Come scrisse Wim Wenders: “Il cinema non è un’arte che filma la vita. Il cinema è tra le arti quella che più si avvicina alla vita… e per questo la salva, ogni volta.”

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