di Mira Carpineta
“Presenti dappertutto, irrilevanti ovunque”. Con questa ironica e forse provocatoria frase, si definisce oggi, l’atteggiamento passivo dei cattolici nell’agone politico italiano degli ultimi anni.
Se è indubbia infatti la loro presenza, da qualche tempo sono in molti a chiedersi che fine abbia fatto la cultura politica cattolica nel nostro Paese, se è ancora presente nelle istituzioni e se c’è ancora posto per questa presenza.
Nel 2021, il 79,6% della popolazione residente in Italia si professa cristiana, e in particolare il 74,5% cattolica; il 15,3% è ateo o agnostico e il 5,1% professa una religione non cristiana
Nel saggio del 2020 “Gente di poca fede” di Franco Garelli (il Mulino), 22% degli intervistati dice di partecipare alla messa settimanale e il 57% si sposa in Chiesa (negli anni ’90 era l’83%). C’è poi una larga percentuale di «cattolici culturali» (43% della popolazione) di persone, cioè, che aderiscono al cattolicesimo come «deposito di tradizioni e valori». Sette italiani su dieci sono favorevoli al crocefisso nei luoghi pubblici e più del 30% crede di aver ricevuto una grazia o un miracolo nella sua vita.
Ma qual è la situazione in politica? Chi sono e dove sono oggi i cattolici che partecipano alla vita politica con la loro sensibilità e professione di fede?
La crisi dei cattolici in politica si fa spesso riferire alla “diaspora” della DC, quando il partito, sulla spinta di eventi che marcano indelebilmente la Storia della Repubblica (il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, gli anni di piombo delle stragi brigatiste, l’inesorabile secolarizzazione della società, il capitalismo ruggente degli anno 80, tangentopoli, ecc.) si dissolve andando a trovar casa indistintamente sia a destra che a sinistra dell’arco parlamentare.
Tuttavia non è solo la dissoluzione della DC la causa della crisi. Senza dubbio la secolarizzazione influisce sui costumi sociali, sulle mutate esigenze civili che richiedono leggi difficili da accettare per una cultura cattolica ancora così ortodossa e didascalica. Divorzio, aborto, sono argomenti che dilaniano i cattolici praticanti.
La difficoltà di vivere la pratica e il conflitto interiore che queste scelte comportano, innesca un meccanismo di scissione, tra la politica e la religione. I cattolici vivono così più privatamente la sfera religiosa, mentre esercitano in pubblico, sul lavoro, nella società, la laicità razionale.
Questa condizione permette e favorisce una progressiva uscita della sensibilità cattolica dalle istituzioni governative, dai luoghi della politica attiva, dai mercati, dal mondo del lavoro, dalle leggi. I cattolici smettono così di esercitare in pubblico la loro professione di fede, perdono voce, si ritirano “sull’Aventino” fino al punto di temere di esprimersi per non essere tacciati di essere “conservatori”, “retrogradi” o “di destra”.
Il mercato e il capitalismo spinto ringraziano e avanzano inesorabilmente verso i loro obiettivi, che sono solo ed esclusivamente economici e che sottostanno alla domanda e all’offerta del “prodotto” di turno.
Gli anni 2000 segnano, fino ad oggi, un’accelerazione esponenziale dei consumi e della finanza “creativa”, la società è investita da mutamenti epocali, che vanno dalla tecnologia sempre più invasiva della sfera personale, alle crisi economiche innescate dalle grandi speculazioni. E’ il mondo globalizzato che attraverso un “effetto domino” contagia tutte le società e non solo con bolle finanziarie, come la pandemia Covid19 ci ha insegnato.
La domanda che ne scaturisce è se ci sia ancora posto per i cattolici in politica, una domanda a cui hanno risposto in molti, a cominciare da Papa Francesco che non si stanca mai di ripetere quanto sia necessaria l’azione delle persone di fede nella vita quotidiana, nelle scelte e nelle politiche sociali, dall’accoglienza all’ambientalismo. Non c’è ambito in cui non venga sollecitata la presenza del pensiero cattolico che ha come fine il “bene comune”. E’ un cattolicesimo che non rifiuta la ragione, ma che la interiorizza come ulteriore risorsa spirituale. Emblematica la drammatica visione di Papa Francesco in una Piazza San Pietro completamente vuota durante la Pasqua del 2020 in pieno lockdown, come esempio di fede contemporanea.
L’appello che oggi la Chiesa rivolge ai cattolici è di agire, in tutti i campi della realtà contingente, per la difesa e la salvaguardia della dignità della persona che sempre più spesso torna ad essere messa in difficoltà e sempre per motivi economici.
Dalle problematiche del mondo del lavoro ( lavoratori poveri, sfruttamento di alcune categorie, mancanza di tutele adeguate cc.) a quelle della vita civile ( eutanasia, omofobia, femminicidi, uteri in affitto ecc.) i cattolici in politica hanno molti argomenti su cui poter agire, ma al momento non riescono ancora a superare il conflitto di appartenenza all’una o all’altra ideologia politica in cui si sono collocati.
Questo disagio sembra essere ancora più acuto per i cattolici di sinistra che si sono trovati a dover scegliere tra la fede e il partito. Il complesso di inferiorità in cui si sono cristallizzati non può che impoverire il dibattito e la crescita sociale, appiattendo tutte le questioni su livelli mercantili, economici, materiali ed esautorando dalla discussione legislativa in primis, i valori etici, morali, evolutivi che la sensibilità cattolica incarna.
E’ ciò che il prof. Stefano Zamagni definisce “comunanza etica” ovvero un luogo in cui riconoscere valori etici condivisi affinchè una società possa durare nel tempo. Senza un sistema comune di principi e di valori nei quali tutti concordano, i singolarismi, gli pseudo diritti, che altro non sono che egoistiche forme di legittimazione di poteri di acquisto, non trovano “anticorpi” efficaci.