Put out Put-in

23 Marzo 2022
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Stiamo vivendo l’agonia del pianeta e non siamo ancora pronti a trasferirci su un altro corpo celeste

di Alan Davìd Baumann

Carro armato russo con la bandiera sovietica. Uno sfondo rosso con disegnate la falce ed il martello. Simbolo dell’Unione delle Repubbliche Socialistiche Sovietiche (URSS) dal 1922 al 1991. L’Unione Sovietica era composta da 15 repubbliche tra le quali la Russia, l’Ucraina e la Bielorussia attuali, con altri stati d’Europa orientale e di Asia centrale.

Questa la drammatica situazione nella quale ci troviamo 84 anni dopo l’Anschluss di quel fatidico 12 marzo 1938 nel quale la Germania nazista annetteva l’Austria. Erano passati 20 anni dalla disfatta dell’Impero Austro-Ungarico e la fine dell’Impero Ottomano e quasi tutti gli austriaci sono stati ben lieti di far parte di quello stato unificatosi da poco, nel 1871. Un anno dopo, il 15 marzo 1939, Hitler invase la Cecoslovacchia ed il primo settembre la Polonia, scatenando una nuova Guerra Mondiale. Ma due furono i conflitti paralleli del Fuhrer germanico: uno rivolto verso l’esterno contro il resto del mondo, l’altro volto verso l’interno e con l’obiettivo di estinguere il popolo ebraico, ma combattuto anche contro gli omosessuali, i Testimoni di Geova, i malati, i gemelli, i neri, i gay, gli zingari, tutti coloro che non venivano considerati di pura razza ariana.

Non è trascorso molto tempo da quando il 26 dicembre 1991, il Soviet dissolse formalmente l’Unione Sovietica. Gran parte dei paesi allora sotto l’ombrello del Patto di Varsavia cambiarono casacca rapidamente diventando capitalisti e filo americani, con grande desiderio di unirsi al resto dell’Europa. Hanno abiurato quasi completamente le idee e gli ideali socialisti, spesso scaraventando la loro politica dal lato opposto.  Alcuni gruppi razzisti, xenofobi ed antisemiti hanno approfittato dei nuovi status nazionali, alleandosi con i confratelli occidentali. Questo nostro mondo non ha fatto in tempo a riprendersi completamente da due anni di pandemia, per ritrovarsi immerso in un’altra guerra. Sin dall’inizio, ai caduti a causa del virus si sono dovute aggiungere le vittime del rincoglionimento da Covid, in alcuni casi molto pericolose, specialmente se alla guida di automezzi, ma anche normali pedoni che appaiono improvvisamente nel bel centro di una strada.

Per mesi le forze militari di Putin si sono “esercitate” in Russia e Bielorussia lungo i confini con l’Ucraina. La Nato, la UE e gli USA temevano un’invasione ma nel frattempo si sono astenuti dal partecipare attivamente ai preparativi difensivi del governo di Volodymyr Zelenskyj. Dal 20 febbraio, inizio dell’invasione neosovietica, hanno poi reagito con forti sanzioni economiche.  Si teme che la chiusura di tutti i rapporti commerciali possano portare al collasso anche alcuni fabbisogni europei, sebbene molto più lentamente del prossimo default russo. Manca ad esempio il coraggio di chiudere i serbatoi del gas di cui la Russia è il primo fornitore.  Condizione che dovrebbe essere rapidamente presa per non far entrare nelle casse di Putin un miliardo di Euro al giorno. I governi dell’Unione si dicono capaci di sopperire per alcuni mesi, ma il timore di non conoscere la durata del conflitto induce a non giudicare saggia questa decisione, quasi aspettando che lo faccia, per ritorsione, lo stesso Zar Putin.

È che noi europei siamo comodosi ed abituati ad usufruire per diverse ore giornaliere di riscaldamento a gas in inverno (e nell’elenco annuale proposto dalle Nazioni Unite riguardo al benessere degli stati, i primi 8 sono europei, seguiti da Israele e dalla Nuova Zelanda. L’Italia è trentunesima). Finito l’inverno, quali nuove ritorsioni attueremo qualora continuasse il conflitto? Quanti miliardi di Euro avremo ulteriormente versato nelle casse russe? Vi è poi la guerra legata alla comunicazione. E se è vero che la realtà sta nel mezzo, vediamo immagini di palazzi distrutti in Ucraina, donne e bambini che lasciano forse per sempre padri, fratelli, fidanzati e mariti, per scappare dalla loro terra martoriata. Notiamo carri armati che avanzano, lanciamissili, bombardamenti. Vengono mostrati dei teatri abbattuti, palazzi sventrati. Vediamo morti e feriti. Riusciamo con difficoltà a non credere che quelle siano macerie cinematografiche e che lo strazio dipinto nei volti non sia quello delle migliori attrici di Ukrainewood.

Vediamo altresì uno stadio stracolmo di un popolo che inneggia al proprio Condottiero, bandiere sventolare, gente apparentemente felice… ma per cosa? Gioisce perché hanno ammazzato migliaia di civili inermi, in gran parte apparentati con il popolo russo o perché a centinaia di madri il ministero dell’attacco (sembra ridicolo chiamarlo “della difesa”) telefona dicendo “puoi fare il funerale a tuo figlio”, perché costui è morto in una “esercitazione” e del suo corpo non si ha traccia. Avremmo voluto ascoltare ancora chi non pensa a favore dello Zar. I discorsi putiniani ricordano i dispacci dell’Eiar, l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche, che esaltavano i traguardi raggiunti dalle gloriose armate fasciste: Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro, comunemente chiamato Vittorio Emanuele III di Savoia, è stato Re d’Italia, Imperatore d’Etiopia, Primo Maresciallo dell’Impero, Re d’Albania e sottoscrittore delle Leggi razziali del 1938. Per il resto parla la Storia e la Storia non può essere cambiata.

Il riferimento putiniano è alle formazioni politiche e paramilitari di estrema destra che si sono moltiplicate e rafforzate nel Paese ex-sovietico, dalla sua indipendenza dall’Unione sovietica nel 1991. Queste frange estremiste hanno combattuto anche contro i separatisti nelle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Indubbiamente Kiev le ha appoggiate in funzione anti-russa, ma dall’altra parte vi erano dei cittadini ucraini-ribelli foraggiati da Mosca. Come dire: mal comune mezzo gaudio? Assai nazista è stato Kirill, il patriarca di Mosca che ha giustificato la guerra “contro chi organizza parate Gay”. Oltretutto l’ortodossia russa è nata in Ucraina.

Non mi permetterei certo di allearmi con dei filonazisti, dei filofascisti, dei filodittatori e negli ultimi anni l’Ucraina ha dimostrato la sua appartenenza ai valori europei. Non mi riesce facile, devo ammetterlo, schierarmi verso uno dei paesi storicamente più antisemiti del continente, ma non mi piace generalizzare: alcuni nazisti non rendono un popolo interamente nazista ed un Putin non mi porta ad odiare il popolo russo. Di nazisti ne abbiamo anche diversi qui in Italia e di antisemiti ancor di più. Non mi allineerò mai dalla parte di Bohdan Chmelnyzkyj, nonostante a Kiev vi sia una sua statua equestre, mentre ebrei e polacchi lo ricordano per i massacri da lui compiuti.

Da uno scritto di Wolf Murmelstein apprendo anche che “con il trattato dell’anno 1651 fra la Confederazione Polacco-Lituana e Chmelnyzkyj venne previsto il ritorno degli ebrei in Ucraina e Bielorussia. Con decreto della Zarina Caterina II nell’anno 1791 venne stabilito che gli ebrei erano esclusi da molte regioni russe, salvo concessioni speciali individuali, e potevano abitare principalmente in Ucraina, Bessarabia (l’odierna Repubblica di Moldavia), Crimea, Bielorussia e Lituania ma solo nelle città e villaggi e non nelle campagne. Queste regioni fecero parte, con alcune altre vicine, di quell’entità astratta chiamata lo “Yiddishland” (Terra dello Yiddish) dove le comunità ebraiche poterono comunicare fra di loro con l’uso dello Yiddish, un linguaggio di origine germanica-medioevale frammisto con elementi della lingua ebraica e di quelle slave. I dominatori seppero comunque fomentare il contrasto fra ebrei e contadini/cosacchi fino alla Shoah che cancellò definitivamente lo Yiddishland.

Qualche anno dopo la riconquista dell’indipendenza dell’Ucraina, dopo le prime elezioni libere, Yuschenko (che poi divenne Presidente) disse di desiderare che coloro che erano sopravvissuti e emigrati dopo la Shoah tornassero per far rivivere l’economia ucraina”.  Ritengo questa frase infausta, ma comprendo l’intenzione di voler riattivare una presenza storica. Dall’altra parte della barricata, basterebbe pensare a Stalin, che nel 1907 – ben prima della rivoluzione – scriveva una lettera distinguendo tra una “fazione ebraica” e una “vera fazione russa” nel bolscevismo, mentre in realtà gli ebrei costituirono una forte componente intellettuale. Gli israeliti patirono sotto Stalin molto di più che sotto lo Zar Nicola II. L’antisemitismo non morì neanche nell’era gorbacioviana.

Trovo allucinante che nel XXI secolo passi per “operazione militare speciale” un’invasione perpetrata a danni di uno stato europeo. Temo – scherzosamente ma non troppo – per l’Alaska, intravedendo un Putin che volesse “parcheggiare” la Russia: “ ’na botta avanti, ‘na botta addietro” . Mi preoccupa la situazione di Taiwan e la Cina, che potrebbe vedere l’Ucraina come un pretesto. L’ONU è inesistente, ma nonostante i 15000 guerriglieri siriani utilizzati dalla Russia, non vi sono arabi che soffrono mentre scagliano 2000 missili in pochi giorni: perciò l’ONU non ha motivo per deliberare sanzioni od inviare forze armate internazionali. Intanto gli Stati Uniti sembrano voler togliere i Guardiani della Rivoluzione Islamica tra i gruppi terroristici, pur di salvare l’intesa sul nucleare iraniano e praticamente concedere agli ayatollah di costruire delle bombe atomiche. All’inizio ho scritto di Covid e rincoglioniti: c’è chi dice che in Russia abbia colpito importanti figure, ma pare che si sia esteso anche altrove. Intanto Mosca minaccia l’Italia.

Put Out Put-in e speriamo prima di subito!

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