MAMMA ACCADEMIA.NEL 53° ANNIVERSARIO DEL MIO INGRESSO IN ACCADEMIA MILITARE DI MODENA. 150° CORSO “MONTELLO”.

24 Ottobre 2021
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Gen. C.A. Luigi Chiavarelli

 Su richiesta di alcuni amici, ripubblico un articolo che scrissi tanti anni fa.

Mamma Accademia

Accademia Militare di Modena. Mamma Accademia. Così la chiama chi è passato tra le sue mura nel fiore della gioventù. I ricordi di quei due anni nella bella città emiliana sono ancora vivissimi dopo tanti lustri. Ma con maggiore nitidezza riemergono i giorni del Tirocinio, vale a dire i primi due mesi e un episodio che avvenne negli ultimi giorni di corso, due anni dopo.

Durante il Tirocinio, dal 21 ottobre del 1968 alle feste natalizie, si era Aspiranti Allievi, un qualcosa d’indefinito, materia informe da sbatacchiare, maltrattare, strapazzare dalla mattina alla sera per testare se la voglia di fare l’Ufficiale era reale, ponderata, convinta ed eliminare i tiepidi e i deboli.

Eravamo assolutamente certi che tutti ce l’avessero con noi e manifestassero il loro livore urlandoci contro dalle sei del mattino sino al momento di coricarci. Ogni spostamento andava fatto di corsa e sembrava che un sadico avesse fatto in modo che le lezioni e gli addestramenti fossero sempre dalla parte opposta a quella in cui ci trovavamo. Di continuo, plotoni di centometristi affannati, sudati, puzzolenti, si incrociavano per scale e corridoi gridando “Tenere la destra! Tenere la destra!” Chi non lo avesse fatto sarebbe stato inesorabilmente travolto.

L’allievo Scelto di plotone, cioè l’Allievo del secondo anno che dormiva con noi nelle grandi, gelide camerate e che ci insegnava l’ ABC della vita militare, non sembrava un giovane come noi e che, in fin dei conti, era entrato in Accademia solo l’anno prima, ma un marziano senza cuore, un automa messo apposta per non lasciarci un solo attimo di tregua e a cui mai, per nessuna ragione al mondo, ci saremmo permessi di dare del tu.

Niente libera uscita, non c’era riscaldamento, non c’era acqua calda. La doccia si faceva tutti insieme , per compagnia, una volta alla settimana. La prima punizione, due giorni di consegna, arrivò il terzo giorno d’Accademia: piedi accavallati sotto la sedia durante il pranzo e non paralleli come prescritto.

Ricordo quei giorni come in una dimensione onirica. Rammento un istante di profondo godimento: di nascosto mi fermai ad occhi chiusi per farmi baciare per alcuni secondi da un caldo raggio di sole che entrava da un finestrone. Solo pochi istanti di sosta ma con un piacere così profondo che me ne ricordo ancora dopo 50 anni.

Dopo il contrappello serale irrigiditi sull’attenti, finalmente si poteva andare a letto e il sonno non era un sonno normale ma un coma profondo, un pozzo nero dove affondavano istantaneamente un corpo dolente e uno spirito affranto. Ma non era così semplice. Non poche volte, nel cuore della notte si accendevano tutte le luci e le urla inumane degli Scelti ci strappavano brutalmente dal meritato riposo “Tutti in tuta da combattimento, tra cinque minuti adunata in cortile.”

Poco dopo, decine di fantasmi ubriachi di sonno, stravolti dalla stanchezza, correvano a corsa cadenzata nel gelo e nella nebbia, immancabile, indifferente compagna di quelle sfuriate notturne. E loro, gli istruttori anziani, a urlare come dannati, il berretto calato sugli occhi, sempre impeccabili, sempre puntuali, sempre glaciali, sembravano non essere mai stanchi, non avere mai sonno, maledetti loro !.

Era un problema soddisfare le più elementari esigenze fisiologiche, era un problema lavarsi, era un problema mangiare nei pochi minuti a disposizione, era un problema persino sbucciare le arance con coltello e forchetta (ah le terribili arance!), non si aveva il tempo di fare alcunché. Correre, correre, irrigidirsi sull’attenti, scattare, presentarsi ai superiori urlando nel modo corretto (e tutti erano superiori !), correre, correre, signorsì, signorsì, scattare, battere i tacchi, signorsì, signorsì correre, correre “Stia punitoooo!” “Venti pompateeee!!”(1) Correre, correre………. “Mamma dove sei !!! “.

Avevo diciotto anni e il passaggio dal liceo e dalle dolci tenerezze materne all’Accademia di Modena fu veramente tosto e allora non c’erano nemmeno i telefonini.

Molti la sera, a letto, singhiozzavano nel buio. Molti se ne andarono ma i più restarono e un giorno, un bel giorno, dal termine Aspirante Allievo sparì Aspirante e restò l’Allievo. Mi sembrava impossibile, ce l’avevo fatta, ero un Cadetto della più antica Accademia Militare del Mondo. Ma quei due mesi non li avrei più dimenticati.

Due anni passarono in fretta. La dura disciplina cementò lo spirito di corpo e si tramutò in autodisciplina. Tutto divenne normale. Ci scafammo (2). Imparammo a conoscere ogni angolo dell’Accademia e ne diventammo i padroni. Il tempo era divenuto addirittura sovrabbondante. Le corse si ridussero. Scoprimmo che gli allievi anziani, strano a dirsi, erano fatti di carne come noi. Lo Scelto, fatto inaudito, sorrise e ci consentì di dargli del tu. Oltre alle materie militari e d’ingegneria, imparammo lo judo, a tirare di scherma, a sparare, ad andare a cavallo, a nuotare con l’equipaggiamento in dosso e tante altre cose. Non mancarono i momenti di allegria. Tornammo ad essere giovani quasi normali. Poi fummo noi a diventare anziani, i venerabili anziani. Con sufficienza e il labbro atteggiato a una smorfia di schifo, vedevamo correre i “lerci cappelloni”(3) del primo anno. La ruota del tempo girava, gli studi ci assorbivano, i mesi passavano, la meta si avvicinava.

Poi, un giorno di primavera, il Comandante di Battaglione, un lagunare (4), ci riunì in una grande aula. Non ricordo esattamente cosa ci disse . Mi sembra parlasse del lungo cammino percorso, di quello che ancora ci attendeva, di dovere, di sacrificio ecc. ecc.

Al termine, il Vice Comandante diede l’attenti e presentò la forza per il commiato. Ci fu un attimo di assoluto silenzio. Il tempo sembrò fermarsi. Qualcosa stava per succedere.

Poi la voce stentorea del Comandante ci folgorò, ci rivoltò l’anima come un pedalino, colpì quanto di più intimo e profondo ognuno di noi possedeva con una semplice, semplicissima, inattesa frase: “I signori Ufficiali sono in libertà”.

Non più Allievi, ma Signori Ufficiali! Ce l’avevamo fatta, il bel sogno si era avverato. Sentimmo le lacrime assalirci e non tutti riuscirono a ingoiarle. Fra poco il motto dell’Accademia, scritto a caratteri cubitali all’ingresso dell’austero palazzo degli Estensi, vicino ai nomi delle migliaia di Ufficiali, ex allievi, caduti per l’Italia, sarebbe diventato norma di vita:

“Ingoiare lacrime in silenzio,

donare sangue e vita,

questa è la nostra legge,

e in questa legge è Dio”.

(1) – pompate: piegamenti sulle braccia.

(2) – scafato: allievo che ha capito tutto.

(3) – cappellone: termine tradizionale per indicare gli allievi del 1° anno.

(4) – lagunare: appartenente alla specialità dei Lagunari.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante una o più persone, persone in piedi e monumento

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