La scarcerazione di Brusca ha acceso polemiche e discussioni. Eppure è un beneficio concesso a tutti i collaboratori di giustizia.
di Giulia Fioravanti, Avvocato
Articolo tratto dalla Rivista ufficiale dell’Associazione Nazionale della Polizia di Stato. Anno XLVIII – n 2 – maggio luglio 2021
Ha suscitato grande clamore e sconcerto nell’opinione pubblica la recente scarcerazione del pluripregiudicato Giovanni Brusca. La scarcerazione, lo ricordiamo, è conseguente ai benefici a lui concessi in virtù della legge sui collaboratori di giustizia. Tale norma fu caldeggiata, e fortemente voluta, proprio da colui che è stato una delle vittime di Brusca. Giovanni Falcone, negli anni precedenti alla sua barbara uccisione, volle infatti fortemente dotare lo Stato di uno strumento legislativo, in grado di favorire la collaborazione dei membri delle associazioni criminali di stampo mafioso. Collaborazione ritenuta, dal Magistrato, essenziale per scardinare il vincolo di omertà interno alle cosche mafiose, e utile a raggiungere risultati investigativi determinanti nella lotta alla mafia.
LA LEGGE VOLUTA DA FALCONE
Oggi colui che, nel maggio del 1992, premette il pulsante del telecomando dell’esplosivo posto sotto l’autostrada, percorsa in quel momento da Falcone con la consorte e dagli uomini della scorta, ha goduto di un beneficio previsto proprio da quelle norme. In effetti, in virtù di quelle disposizioni di legge, predisposte anche dal giudice Falcone allora incaricato al Ministero di Giustizia, il pluripregiudicato Brusca ha ottenuto quei benefici che gli hanno consentito di evitare l’ergastolo ostativo e di riguadagnare la libertà. Tutti ci siamo posti, increduli, la stessa domanda: com’è possibile che un famigerato e spietato criminale possa essere tornato in libertà?
L’ARTICOLO 41 BIS
Per comprendere quello che è accaduto, dobbiamo considerare che il nostro ordinamento, al fine di fronteggiare il fenomeno mafioso, di fronteggiare il fenomeno mafioso, ha negli anni predisposto un insieme di misure fortemente restrittive, in tema di esecuzione della pena, per i condannati per reati di mafia. Questi ultimi, infatti, sono sottoposti a uno speciale regime detentivo previsto dall’articolo 41 bis dell’Ordinamento penitenziario. Inoltre, all’art. 4 bis dello stesso Ordinamento, è prevista una speciale disciplina che impedisce la concessione dei benefici di legge per i detenuti che scontano reati di mafia, o reati connessi con le organizzazioni criminali di stampo mafioso. Tale regime penitenziario, proprio in ragione delle forti restrizioni in esso previste, è stato recentemente censurato dalla Corte costituzionale, che lo ha ritenuto incompatibile con i principi costituzionali in tema di finalità rieducativa della pena. E bene, però, precisare che la scarcerazione di Brusca non è avvenuta in conseguenza dell’intervento della Corte Costituzionale, ma costituisce l’esito di un percorso di collaborazione intrapreso dal Brusca e previsto dalle norme sui collaboratori di giustizia “pentiti”, e non messo in discussione dalla recente pronuncia della Corte Costituzionale.
DISSOCIAZIONE DALL’ORGANIZZAZIONE
L’art, 4 bis o.p. prevede, infatti, una deroga alle restrizioni e alla ostatività alla concessione dei benefici per reati di mafia, nel caso in cui il condannato dimostri di avere reciso tutti i legami con l’organizzazione criminale di cui faceva parte, fornendo alle Autorità una collaborazione fattiva in grado di far raggiungere esiti investigativi positivi. In sostanza, lo Stato attenua il regime restrittivo dell’esecuzione della pena a fronte della concreta collaborazione del detenuto che, dissociato dalla organizzazione criminale cui apparteneva, fornisca all’Autorità elementi di prova essenziali del fenomeno mafioso. Si tratta di un processo lungo ed estremamente delicato, nel corso del quale la magistratura deve valutare in modo approfondito, e monitorare in maniera continuativa, la genuinità del ravvedimento e la concretezza ed effettiva utilità investigativa di quanto offerto dal collaborante. Non ogni collaborazione viene, infatti, ritenuta utile ed idonea alla concessione dei benefici, ma solo quella giudicata rilevante per raggiungere proficui esiti investigativi.
LA LIBERTÀ Dl BRUSCA
Brusca ha scontato 25 anni di reclusione, in quanto ritenuto responsabile di decine di omicidi efferati, tra cui quello del magistrato Falcone e della sua scorta e quello dell’indifeso Giuseppe Di Matteo, sequestrato e ucciso, per poi essere sciolto nell’acido. Reati violenti e raccapriccianti, la cui tragica memoria è ancora impressa nel consesso civile che ha vissuto, con angoscia e terrore, la lunga stagione di sangue che vide perdere la vita di numerosi servitori dello Stato, appartenenti alle Forze dell’ordine, alla Magistratura e alla stessa società civile. Il dato emotivo, legittimo e del tutto naturale, presente nell ‘opinione pubblica deve, però, essere valutato alla luce delle scelte politiche strategiche intraprese dallo Stato Italiano, al fine di fronteggiare in tutti i modi la sanguinosa guerra alle organizzazioni mafiose.
LO SCETTICISMO DI SCIASCIA
Per la verità, alla fine del secolo scorso, al momento della genesi della Legislazione emergenziale in tema di mafia, furono molte le voci critiche che si levarono. Posizioni però maggiormente concentrate sul rischio costituito dalla inaffidabilità delle dichiarazioni rese dai pentiti fuoriusciti da organizzazioni criminali, che non sulla opportunità dei conseguenti benefici al momento della successiva esecuzione della pena. Tali posizioni, tra cui quella più celebre è certamente quella dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia, fortemente scettico sull’efficacia delle misure allora inaugurate, furono mano a mano superate a fronte, e in conseguenza, degli oggettivi, validi, risultati investigativi conseguiti dallo Stato per mezzo dei collaboratori di giustizia.
LA COLLABORAZIONE Dl BRUSCA
Non può non considerarsi, infatti, che proprio sulla base delle dichiarazioni rese dal collaborante Brusca, la Magistratura è riuscita a ricostruire l’organizzazione mafiosa, a fare luce al suo interno e ad attribuire le responsabilità di molteplici, efferati, fatti di sangue perpetrati a danno di decine di persone innocenti. Molti pericolosi mafiosi sono stati, infatti, arrestati grazie a quanto riferito da Brusca. La collaborazione quando è proficua, come nel caso di Brusca, è in grado in effetti di recidere e indebolire il vincolo di omertà interno alle organizzazioni mafiose. Omertà che è sempre stato il punto di forza e resistenza di tali organizzazioni. Qualche osservatore ha commentato la scarcerazione di Brusca paragonandola all’esito di un inevitabile compromesso, effettuato in tempo di guerra, tra lo Stato ed ex membri di organizzazioni criminali. Un compromesso, dunque, dettato da oggettive ragioni di emergenza, ma che ha consentito allo Stato di conseguire risultati di intervento repressivo, non altrimenti raggiungibili attraverso le ordinarie indagini di Polizia. La caratura criminale di Brusca, e il feroce comportamento tenuto durante l’appartenenza alla mafia, appare incontrovertibile quanto, però, innegabile è stata la rilevanza e utilità delle acquisizioni investigative raggiunte, proprio attraverso la sua collaborazione.
SOMMO DIRITTO, SOMMA INGIUSTIZIA
I Latini avrebbero sintetizzato la questione con la massima “Summum ius summa iniuria” ossia “sommo diritto, somma ingiustizia”. In effetti, se oggi conosciamo gli autori e i responsabili della strage di Capaci, nella quale sono, purtroppo, tragicamente rimasti vittime Giovanni Falcone, la consorte e i suoi agenti della scorta, e di molti altri efferati delitti; e se quegli autori sono stati ormai da tempo assicurati alla giustizia e posti nella condizione di non nuocere, lo dobbiamo, soprattutto (per uno strano gioco del destino), all’istituto giuridico della collaborazione di giustizia. Strumento giuridico quest’ultimo, considerato unanimemente dai magistrati impegnati nella lotta alla mafia, come utile ed efficace nel contrasto alle organizzazioni criminali di quel tipo, e fortemente voluto proprio da Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino. Magistrati-eroi, questi ultimi, il cui estremo sacrificio, al pari di quello dei numerosi uomini dello Stato caduti in questa guerra infinita, non può e non deve ritenersi scalfito, né minimamente oscurato, dalla recente scarcerazione di Brusca.