Il sogno americano dell’emigrato abruzzese è raccontato in un bel libro curato da Goffredo Palmerini
di Franco Presicci
MILANO – Si legge tutto d’un fiato “Mario Daniele, il sogno americano” (One Group Edizioni, 2021), un libro che pare un romanzo sulla vita di un emigrato abruzzese negli Stati Uniti, curato da Goffredo Palmerini. Lo dice lo stesso curatore come il volume – 350 pagine, con belle immagini fotografiche – è venuto alla luce, nato da un desiderio di Mario Daniele di lasciare traccia della sua vita alla famiglia, ai nipoti, agli amici. E tuttavia il desiderio non trovava la persona giusta capace di raccogliere e organizzare una narrazione fedele. […] Avvertii la sua amarezza – scrive Palmerini nella Presentazione – nel vedere in difficoltà un desiderio coltivato nel profondo del cuore. Fu in quel momento che gli offrii una disponibilità, però condizionata: avrebbe dovuto essere proprio lui, Mario, attraverso appunti e ricordi – scritti in qualunque idioma – a raccontarmi la sua storia. Io l’avrei solo trasposta in un italiano chiaro, leggibile, scorrevole, riportando con fedeltà nel racconto quel grande patrimonio di sensibilità, desideri, sogni, nostalgie, amore per la terra natia, voglia di conquistare il proprio futuro in terra straniera, che sono sentimenti così fortemente presenti negli emigrati ma che sfuggono a chi non ha confidenza e conoscenza del fenomeno migratorio italiano. […] Ma ora ecco qualche appunto su questa storia che mi ha inchiodato un giorno e mezzo su un divano, monopolizzando la mia attenzione. Il tempo per leggerlo, quasi senza pausa, apprezzando la scrittura coinvolgente della storia e alcuni brani del curatore, inseriti per illustrare i luoghi (Castelnuovo, Detroit, Rochester) dove le vicende si svolgono o altre utili annotazioni.
Mario Daniele amava il trattore. Già da ragazzo lo sognava di notte, a Castelnuovo, un piccolo borgo dell’aquilano. Si vedeva già al volante del veicolo che con i suoi denti d’acciaio solcava la terra. E quando in famiglia cominciò a circolare l’idea di comperarlo, fu per Mario come vincere un terno al lotto. Quando infine si decisero, egli saliva sul Same all’insaputa di tutti per studiarne i comandi. Un giorno, presente il padre Quirino, lo guidò per lavorare il campo e ne raccolse la stupita ammirazione. L’esperienza si ripetette e venne chiamato a far rombare il trattore anche nei campi degli altri. Quando si spremevano le uve del vigneto di famiglia, il vino che ne usciva non era sufficiente per l’intero anno. Si comperava quindi il resto dell’uva a Ofena o a Capestrano, a una ventina di chilometri di distanza. Un’ora per arrivarci con il vecchio Ford, lasciato dagli americani nel ’45. Il lavoro nei campi era tanto, ma il guadagno scarso e tardivo, perché i contadini potevano pagare solo dopo i raccolti. Cercò quindi lavoro a Chieti scalo, dove il grano per via dell’altitudine si mieteva prima di Castelnuovo. A scuola non andava bene, era distratto e in quinta elementare si portò l’italiano a settembre. Pensava sempre ai motori e alla fine, a 16 anni, fu assunto in un’officina, mentre a casa gli raccomandavano di non tralasciare la scuola. Si iscrisse ad un corso serale intensivo per ottenere un certificato di studi valevole come il terzo anno delle superiori… Ma la passione per la meccanica cresceva, lo attiravano i motori e quando ne sentiva uno rombare subito gli veniva voglia di metterci mano.
Frequentava la parrocchia e don Carmine, un prete intransigente per la “dottrina”, come si chiamava allora il catechismo, chiamava i ragazzi con il suono di una campanella e se facevano i bravi li gratificava con un formaggino, di quelli che arrivavano alla parrocchia dalla Poa (Pontificia Opera Assistenza), che a sua volta li riceveva dagli aiuti americani del Piano Marshall. Era il 1957. Con queste e tante altre notizie Mario Daniele comincia il libro sulla sua vita, curato saggiamente da Palmerini. Daniele gli ha consegnato fogli densi di appunti e il giornalista e scrittore, che da sempre va a in giro per il mondo a pescare le storie degli emigrati, li ha tradotti in un volume che vale la pena di leggere anche per conoscere le idee, i progetti, le fatiche, la laboriosità dei nostri connazionali che in terre lontane hanno fatto onore al loro Paese.
Mario Daniele è nato a Castelnuovo di San Pio delle Camere il 12 maggio del ’46, “in un’ora bella, le 5 del mattino, quando il sole già illuminava l’altopiano, come mi raccontava mia madre Esilde”. Daniele si racconta nei minimi particolari, pagine interessanti, che risvegliano anche i ricordi di chi legge. Per esempio: a scuola si andava in “divisa”: grembiule nero con il colletto bianco, una grande “sfiocca” al collo di colore blu. Le punizioni venivano date con una riga spessa che colpiva le mani così forte da renderle rosse come il fuoco. A lui non interessavano Omero e Romolo e Remo: a volte, invece di presentarsi in classe, sostava davanti a un’officina per osservare gli operai piegati sui motori delle auto. E’ lì che voleva passare i suoi giorni e a 16 anni cominciò a fare il meccanico nell’officina davanti alla quale, marinando le lezioni, si fermava ad osservare i meccanici chini sul vano motore. Poi un compare tornato dall’estero prese lui e il fratello in un affare che consisteva nell’acquistare nella zona tartufi e zafferano, da rivendere poi a Milano e in altre città. Tale fu il suo impegno e la sua bravura da essere promosso a dirigere questa attività.
Aprì poi a Castelnuovo un negozio di elettrodomestici, aggiungendo questo lavoro al primo. Stava per avviare la costruzione di una stazione di carburanti, ma nel frattempo era arrivata la cartolina precetto per la leva militare e il progetto si bloccò. Ne aveva di stoffa, Mario Daniele! Che piacere poter seguire la sua biografia di uomo intelligente e laborioso. Quando era in servizio di leva in Aeronautica partecipò a una selezione per meccanici specializzati da inviare in Canada, per una collaborazione con l’aviazione canadese, e lo vinse. Quando arrivò in Canada, accolto festosamente da familiari e amici, si accorse del grande amore che gli emigrati avevano per il Paese d’origine. Il lavoro in aeronautica avrebbe dovuto durare sei mesi, sino alla fine del servizio militare. Ma nessuno dell’Aeronautica canadese lo cercò. Allora si cercò un lavoro a Windsor, trovandolo alla Downtown Motors, su Erie Street, sempre come meccanico, per 9 dollari all’ora.
Ma ecco sorgere il problema della lingua, che rendeva difficile la comunicazione. Il capo officina gli dette del beduino in inglese, almeno così lui capì, ma il “boss” tornò con un sorriso largo e Daniele capì che doveva studiare la lingua del luogo. Lo fece quando andò a stare a casa degli zii a Detroit. La sera e il sabato si occupava di lotti di terreno per un’azienda immobiliare e aveva bisogno di un’auto. Un cugino provvide subito a procurargliela. Daniele gli promise di restituirgli il denaro al più presto, sentendosi da lui rispondere che avrebbe potuto sdebitarsi riparando gli attrezzi e i mezzi, la ruspa e il camioncino… Passo dopo passo, il giovanotto saliva gli scalini, guadagnando sempre di più. Cambiò ancora società, ma qui si subivano ingiustizie e passò a una compagnia di costruzioni. Reggeva alla fatica: una volta lavorò per 30 ore di seguito. Ma si divertiva anche. La sera con un amico passava da un bicchiere di birra a un ballo in un apposito locale. Ma pensava anche all’Italia e ad Anna Maria, la ragazza che gli aveva toccato il cuore al paese.
Era però indeciso se restare in Canada, dove la paga era ottima, era ben voluto e il lavoro gli piaceva, oppure rientrare in Italia. Troneggiava il pensiero di Anna Maria, la cui famiglia riteneva che al suo rientro a Castelnuovo l’avrebbe sposata. Intanto frequentava Detroit e aiutava il cugino Johnny, ma in una visita a parenti a Rochester aveva conosciuto Flora… Fu capace di conquistarne l’interesse e le chiese la mano, superando le prime riserve di lei. Pensava anche ai progetti lasciati in sospeso in Italia, alla promessa fatta alla compagnia Api per la costruzione di un distributore a Castelnuovo …Il padre Quirino si era persino innervosito perché non gli aveva fatto seminare il terreno, destinato alla costruzione dell’impianto per il carburante…
Il libro è costellato di particolari: le famiglie, la descrizione storica della città che aveva accolto il suo primo vagito, tanti nomi e cognomi e legami, intrecci di rapporti, descrizione di cene americane in cui la carne veniva servita più cruda che cotta…Del resto Daniele questo libro, avvincente, lo ha dedicato soprattutto ai figli e ai nipoti, perché conoscessero la sua storia, quella di un uomo non è mai stato con le mani in mano. Un uomo che è un esempio, un modello, un emblema. Un uomo che ha avuto il lavoro come mezzo, scopo, orgoglio; nato con l’amore per la meccanica, che aveva il trattore come simbolo. Un libro che si legge volentieri, anche per la bella prefazione di Goffredo Palmerini che apprezza questi uomini, che poi finiscono nei suoi libri.
Mario fa una lunga carrellata di iniziative che non annoia, anzi cattura l’attenzione. Racconta dettagli e fatti importanti. Come il suo amore per Flora e il fidanzamento. Alla fine di novembre ’68 le regala un anello con un piccolo diamante mandatogli dalla madre. La data del matrimonio fissata al 12 luglio ’69. La cerimonia affollata, anche con parenti arrivati dall’Italia. Sposati vanno ad abitare a Windsor, in Girardot Street. Flora viene assunta dalla compagnia Burros a Detroit; lui è ancora alla Marendette Bros, una compagnia che costruisce strade, ponti, i parcheggi all’ippodromo di Windsor, e altre opere. E la sera, per la stessa compagnia, Mario va con la ruspa a caricare sale che arriva dalla miniera sulle navi da trasporto ormeggiate sul Detroit River.
Dopo il matrimonio con Flora torna in Italia per una vacanza di sei settimana. Gli viene in mente di aprire una pizzeria in piazza Duomo a L’Aquila, ma le pratiche procedono con lentezza esasperante e decide di rientrare in Canada e poco dopo di andare a risiedere negli Stati Uniti. E’ in arrivo un figlio, ma lui non rallenta il passo. Dà l’anticipo per l’acquisto di una pizzeria, fa fatica ad avviarla ma poi trova le giuste misure per ingranare nelle sue attività imprenditoriali. Compera una casa a Livonia, nell’area metropolitana di Detroit; diventa socio del Rotary Club di Farmington Hill. E’ ormai un uomo che conta. Acquista un fabbricato, lo restaura e lo arreda, lo dà in affitto. Apre un ristorante, ma lo dà in fitto a buone condizioni ad una grossa catena del settore. A Rochester arriva il padre Quirino, che dopo 60 anni va a conoscere uno dei suoi fratelli partito prima della sua nascita. Il “Time Union”, il giornale di Rochester, dedica molto spazio all’evento. Nuovo ritorno in Italia e nuovi onori anche dal Rotary aquilano.
Al rientro negli Stati Uniti, nell’area di Detroit va in crisi l’industria automobilistica che ha qui le più grandi marche, anche a causa dell’aumento del prezzo della benzina, seguito alla guerra del Kippur. Quindi crisi energetica ed economica. A Detroit intanto scoppia una terribile rivolta dei neri contro la popolazione bianca, che richiese l’esercito per sedarla. I bianchi tendono a spostarsi sempre più in periferia. Mario acquista una fattoria, che poi liquida con buoni risultati. Chiude il ristorante per aprire un night club. Poi lascia definitivamente Detroit e si trasferisce a Rochester, nello stato di New York. Apre una pizzeria a Pittsford, con un successo enorme. E qui si apre una lunga serie di successi: nella ristorazione, con alcuni grandi ristoranti, la produzione e la vendita di preparati alimentari, la gestione di un porto turistico nella baia di Irondequoit sul lago Ontario, l’acquisto e il restauro di un albergo, l’avvio di un’attività di importazione di macchine da caffè e attrezzature da bar e commercializzazione, la realizzazione di una catena di impianti per lavaggio auto, grossi investimenti immobiliari con la costruzione di appartamenti e uffici, anche in Florida, l’avvio della costruzione di un imponente centro commerciale per una grande società americana. Insieme a queste attività economiche, tante altre iniziative di carattere sociale e un forte impegno nella comunità italiana, tra queste la realizzazione dell’Italian American Community Center, punto di riferimento per la comunità italiana, di cui Daniele è stato presidente per molti anni. Come pure è stato amministratore di un ospedale e per 15 anni Vice Console onorario d’Italia nella giurisdizione di Rochester.
Tante altre attività solidaristiche, negli Stati Uniti e anche a L’Aquila, dopo il terribile terremoto del 2009. Tanti i riconoscimenti ricevuti, sia negli States che in Italia. Tra questi il prestigioso Ellis Island Award. Numerose le relazioni ad alto livello con il mondo politico e istituzionale americano, a testimonianza delle qualità che Mario Daniele ha saputo mettere in campo per guadagnare la stima e il prestigio. […] Ciascuno da questi ricordi – annota infine Palmerini – trarrà stimolo per rammentare altre storie, arricchendo quella memoria condivisa che dà alimento al senso di comunità, sia di Castelnuovo nell’aquilano, come pure alle comunità italiane delle città del Canada e degli Stati Uniti laddove Mario ha intessuto la sua vicenda umana e imprenditoriale, lasciandovi sempre un segno positivo d’impegno sociale, di generosa solidarietà e di servizio alla comunità. Restano esemplari gli anni resi come Vice Console d’Italia a Rochester, una carica onoraria nella quale Mario Daniele ha dato il meglio di sé per servire la comunità italiana. L’apprezzamento al suo servizio “diplomatico” onorario è un ulteriore prestigioso riconoscimento ad una vita spesa anche per gli altri, nel campo dell’associazionismo, del sociale, della solidarietà. Egli con il suo esempio rende onore alla terra d’origine e all’Italia.” Sembra incredibile che un uomo solo abbia potuto realizzare tante cose. Mario Daniele le ha fatte, circondato da tantissimi amici, parenti ed estimatori. Fortuna? No, capacità, cuore, testa, impegno, voglia di creare. Il libro non finisce qui: seguono ancora pagine su pagine, attraverso le quali è narrato tutto quello che ha saputo fare un ragazzo di Castelnuovo che sognava il trattore.