11 agosto 2020
di Goffredo Palmerini
L’AQUILA – “La famiglia Pomilio”, l’ultima opera in ordine di tempo di Maurilio Di Giangregorio, sebbene egli ne abbia già altri 5 in corso di pubblicazione e vedranno la luce entro il 2020. L’interessante volume, fresco di stampa, racconta i Pomilio, una famiglia di talenti abruzzesi che affonda le sue radici ad Archi, un paese dell’entroterra in provincia di Chieti. Capostipite fu Domenico Livio Giuseppe Pomilio, nato ad Archi il 16 luglio 1843, da Donna Diana Lannutti e Don Massimo Pomilio, entrambi del luogo e discendenti di famiglie di notabili locali.
“Con questa importante opera – scrive Maurilio Di Giangregorio nella pagina di Presentazione che apre il volume -, ho voluto approfondire la conoscenza di una famiglia abruzzese, quella dei POMILIO, i cui componenti maschili hanno contribuito allo sviluppo del capitalismo industriale italiano tra la fine dell’età giolittiana e il periodo del “miracolo economico”. Particolare attenzione è stata dedicata alle iniziative industriali localizzate nelle regioni del sud dell’Italia. Ho voluto documentare l’opera con le notizie riguardanti i singoli componenti: fatti, storie e personaggi, non trattati, o omessi, in altre pubblicazioni, anche di successo, perché sconosciuti, nella loro essenza intima e strettamente famigliare. Questo ci mostra un aspetto inedito particolare, che mette a nudo l’anima di una famiglia illuminata, che ha risentito in pieno, vivendole, le vicende storiche di quel periodo, anche in contrapposizione ideologica, ma che non hanno prodotto divisioni nel nucleo famigliare. Quasi tutti i componenti della famiglia Pomilio, nella morte, si sono ritrovati nel Mausoleo del Cimitero di Francavilla al Mare, intitolato a Pomilio Livio, Ingegnere di Archi (Chieti), loro genitore, come ultima dimora. Questa ricerca, che mi ha impegnato per diversi anni, seppure lacunosa e incompleta, raccoglie tutta la pubblicistica riguardante la famiglia Pomilio, reperita nelle biblioteche e archivi nazionali, e ci mette in condizione di approfondire ulteriormente la conoscenza di umanisti, professionisti e imprenditori, che al primo posto hanno messo l’interesse per lo sviluppo della loro terra d’origine: l’Abruzzo.”
Domenico Livio Pomilio, il capostipite, fu direttore tecnico della Provincia di Chieti dal 1861 al 1911. Come tale realizzò tantissime opere pubbliche nel territorio provinciale. Fu redattore del Piano regolatore del nuovo rione fuori Porta Sant’Anna di Chieti. Fino al 1911, quando andò in pensione, aveva realizzato una rete stradale rotabile di oltre 600 chilometri, praticamente unendo tutti i centri abitati del chietino. L’ingegnere Domenico Livio e sua moglie Giuseppina Cortese, di ricca famiglia napoletana, ebbero 11 figli. Ad eccezione di Amalia e Beatrice, tutti gli altri figli maschi erano laureati in ingegneria, chimica, economia e giurisprudenza. Tutti professionisti e tecnici di elevatissimo valore: Federico avvocato; Amedeo, Ernesto, Giulio si laurearono in scienze economiche; Alessandro, Carlo, Ottorino e Vittorio in ingegneria; Umberto in chimica. Questi, nel dettaglio, i principali discendenti della stirpe.
Amedeo Pomilio (Chieti, 1882 – Francavilla al Mare, 1963) conseguì la laurea in Scienze economiche in Svizzera. “E’ anch’egli un esponente di quel coacervo di personaggi geniali ed intraprendenti, straordinario per l’Abruzzo ed il Mezzogiorno nel complesso, che è stata nella prima metà del Novecento la famiglia Pomilio. […] L’arte misteriosa degli alchimisti, dicono tutte le testimonianze, era una passione che Amedeo nutriva da ragazzo. Fornito di un rudimentale alambicco, si era costruito un proprio laboratorio dove cercava di carpire in sofisticate miscelazioni, sulla base di antiche usanze paesane, i sapori e i profumi della terra d’Abruzzo.” (Emanuele Felice). Amedeo, infatti, viene ricordato come fondatore della Distilleria Aurum, società nata nel 1923 che realizzò il caratteristico stabilimento di liquori progettato dal grande architetto fiorentino Giovanni Michelucci. Qui si produssero l’Aurum, la Cerasella, la Mentuccia di San Silvestro, confezionate con bottiglie caratteristiche e con etichette xilografate da Armando Cermignani. Ebbe dell’Abruzzo una sua visione economico e culturale di regione-cerniera fra l’Adriatico e le tre parti del Paese.
«Quando per vicende di guerra la figura storica della patria può sembrare scaduta, ella ha una riserva antichissima e vergine nella regione; la cui civiltà indigete e materna, cioè generosamente italiana, non si è ancora compromessa perché non mai riconosciuta. Tuttavia essa è quanto mai presente e radicata nel cuore di tutti». «La regione dunque può garantire al mondo il valore umano della stessa nazione. Esente da ogni possibilità nazionalistica aggressiva, come organismo minore, lascia meglio individuare nell’unità indivisibile dell’Italia la sua fisionomia, che perciò ogni altro popolo è disposto a riconoscerle. Con il che, essendo la regione ottima mediatrice e pegno di pace e di comprensione dell’Italia presso le altre genti del mondo, concorre all’unità europea».
Questa era la premessa ideale alla fondazione dell’Unione delle Genti d’Abruzzo, un sodalizio attraverso il quale, fin dalla primavera del 1946, Amedeo Pomilio formulava – ancor prima che l’Assemblea Costituente gli desse dignità istituzionale – il suo pensiero regionalistico, conferendogli il carattere d’una iniziativa nascente non da un potere centrale, ma dall’impulso di forze economiche e culturali locali. Lo statuto dell’Unione delle Genti d’Abruzzo contiene tutta la filosofia regionalistica di Amedeo Pomilio. Esso è una specie di atto di fede nella regione, fondato sulle sue tradizioni, sulla sua storia, ma soprattutto sulla valutazione delle sue potenzialità ancora quasi tutte inesplorate.
Ottorino Pomilio (Chieti, 1887 – Roma, 1957) studiò al Liceo G. B. Vico per poi trasferirsi a Napoli dove si laureò in ingegneria industriale ed elettrotecnica. Vincitore di borsa di studio si trasferì a Parigi ottenendo la specializzazione che gli consentì, una volta rientrato in Italia, di essere nominato capo dell’Ufficio Tecnico del Battaglione Aviatori, potendo così sviluppare appieno la sua vocazione di inventore e progettista nel campo dell’aeronautica. Nel 1913 stabilì il primato italiano di volo in altezza e nel 1915 divenne sottotenente del Genio militare. Chiamato come progettista alla Direzione Tecnica dell’Aviazione Militare (DTAM), lavorò a stretto contatto con il fratello Carlo e con un altro grande talento abruzzese dell’ingegneria aereonautica, Corradino D’Ascanio. L’intesa tra i tre ingegneri diede vita ad un proficuo rapporto collaborativo negli stabilimenti italiani di Pisa e Torino e li portò a lavorare anche oltreoceano, tant’è che nel 1918 il Governo americano chiese ufficialmente al Governo italiano di avere la collaborazione dei fratelli Pomilio e di D’Ascanio. Infatti, giunti negli Stati Uniti, presso Dayton (Ohio) diedero subito vita alla società “Airplane Pomilio Brothers Corporation”, con l’intenzione di costruire una fabbrica aeronautica avvalendosi della collaborazione di altri fratelli (Alessandro, Ernesto e Vittorio) e di Corradino D’Ascanio, oltre ad una ventina di tecnici giunti in gran parte dall’Abruzzo. Finito il conflitto mondiale si concluse anche la collaborazione con gli stabilimenti di Indianapolis ed Ottorino, non riuscendo nel programma di convertire la sua progettualità dal campo dell’aereonautica militare a quella civile, abbandonò definitivamente l’aeronautica per dedicarsi esclusivamente alla chimica, settore nel quale i fratelli Umberto ed Ernesto avevano già ottenuto qualche successo a Napoli con la Elettrochimica Pomilio.
Umberto Pomilio (Chieti, 1890 – Francavilla al Mare, 1964) si era laureato in chimica all’Università di Napoli in giovane età, col massimo dei voti e la lode. Fu libero docente. Successivamente in Svizzera si laureò in ingegneria chimica. Dopo essersi specializzato in Germania, elaborò un metodo per l’estrazione della cellulosa dallo sparto e dalla paglia che consentiva di fare a meno del legno ed assieme al fratello ingegnere Ottorino brevettò il Processo Pomilio grazie al quale, nel 1936, il regime fascista decretò la nascita a Chieti di una fabbrica per la produzione della carta. Con un massiccio finanziamento, testimonianza del progetto rivoluzionario nel metodo, nacque nel 1938 lo stabilimento CEL.D.IT. Cellulosa d’Italia. Fu scelta, per l’edificazione della fabbrica, un’area dove al tempo c’erano solo campi coltivati, destinata a divenire negli anni successivi La Vallata del Lavoro, come amava definirla Ottorino. Umberto fu Cavaliere del Lavoro. Sposò Sabatier Marie Edmée Celine Geneviève, figlia del premio Nobel per la chimica Paul Sabatier, di Tolosa (Francia). Il loro figlio unico Bruno Pomilio, nato a Napoli nel 1924, morì sui Pirenei in Francia nel 1939, all’età di 15 anni. Nell’agosto del 1953 il CAI di Chieti volle intitolargli il rifugio sulla Maiella, denominato “Rifugio Bruno Pomilio“.
Vittorio Pomilio. Nel cielo di Pola d’Istria, il mattino dell’11 luglio 1924, la folgore del fato recideva la giovinezza di Vittorio. Studente di ingegneria, aveva frequentato l’Accademia navale di Livorno. Quando cadde con il suo aereo rivestiva il grado di Tenente di Vascello.
Amalia Pomilio sposò a Chieti, il 19 luglio 1902, l’avvocato Giacomo Costa. Questi subì la repressione del regime fascista. Era stato confinato alle isole Tremiti e successivamente a Lampedusa, da dove evase rifugiandosi in Francia. E’ morto a Roma il 5 aprile 1963.
In pillole, questa la storia della “dinastia” Pomilio, ma ampia trattazione l’Autore dedica al capostipite Domenico Livio e agli 11 figli Amedeo, Umberto, Ottorino, Carlo, Giulio, Amalia, Alessandro, Beatrice Federico, Ernesto e Vittorio. Chi riterrà opportuno approfondire, potrà farlo leggendo il volume “La famiglia Pomilio”, 806 pagine, ricco d’un corposo apparato di documenti e immagini fotografiche. L’opera è solo l’ennesimo lavoro saggistico dello scrittore e storico Maurilio Di Giangregorio, nel cui notevole corpus di pubblicazioni si possono trovare le storie di altre famiglie (Giovannucci, Morante, Federici, Strozzi, Del Fante, prossimamente Cappelli e De Angelis) e di personaggi abruzzesi (tra i quali Vincenzo Gentile, Michele Iacobucci, Panfilo Gentile, Gabriele D’Annunzio, Giovanni Del Guzzo, Luigi Casale, Elia Federici, Amelio Cichella, Andrea Bafile, Luigi Boschis, Filippo Carusi, Tito Acerbo, Panfilo Serafini, Adelchi Serena ed altri).
Notevole il contributo storico che Di Giangregorio ha riservato all’epopea alpina – Maurilio, ufficiale degli alpini, è stato esponente dell’ANA Abruzzi -, agli eroi abruzzesi nei vari fronti di guerra, alla Resistenza in Abruzzo. Rilevante anche il suo contributo nella ricerca storica nel campo dell’emigrazione abruzzese – importanti i suoi volumi sulla tragedia di Marcinelle, per i quali è stato insignito nel XXX e XXXI Premio internazionale Emigrazione -, ed i suoi numerosi saggi storici sui terremoti, per i quali ha meritato nel 2009 il riconoscimento alla Cultura come “Uomo dell’Anno” nel Premio L’Aquila “Zirè d’Oro”. Maurilio Di Giangregorio è giornalista pubblicista dal 2004 e collabora con il quotidiano dell’Abruzzo il Centro. E’ inoltre corrispondente dall’Italia del mensile “La Voce”, la rivista degli italiani in Francia (Parigi) diretta da Patrice Gaspari. E’ infine socio ordinario della Deputazione di Storia Patria per gli Abruzzi e socio dell’Istituto abruzzese di Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea.
Maurilio Di Giangregorio è nato il 2 ottobre 1950 a Castel di Ieri, un grazioso borgo della Valle Subequana ad una cinquantina di chilometri da L’Aquila. Chimico industriale e ingegnere chimico, due lauree, la prima a Roma La Sapienza nel 1974, l’altra cinque anni dopo all’Università dell’Aquila. E’ stato apprezzato docente negli Istituti superiori dell’aquilano fino alla meritata pensione. Un’intensa vita tra libera professione e insegnamento, si direbbe. Maurilio, invece, persona di grande affabilità quanto d’impareggiabile modestia, coltivava nel frattempo un amore per nulla segreto per gli archivi, per la cultura del territorio, per la ricerca storica. Personaggi, fatti e vicende che hanno intessuto la vita secolare di città e borghi d’Abruzzo lo intrigavano quanto e più delle discipline scientifiche. E infatti la sua ricerca storica ha messo così bene in luce, oltre le vicende che solo affidate alla tradizione orale si sarebbero irrimediabilmente perse, la grande fioritura d’intelligenze che hanno connotato la nostra regione a dispetto del secolare isolamento vissuto dall’Abruzzo fino ad alcuni decenni fa, dovuto all’asperità d’un territorio montano duro da vivere, gramo ed a volte selvaggio, sebbene nell’eccezionale sua suggestione. Quella condizione di difficoltà di vita nel nostro Abruzzo, insomma, tale da assicurare, durante lo scorso secolo, il cospicuo contributo di braccia all’esodo migratorio italiano, nella più grande tra le diaspore che la storia moderna ricordi, con quasi 30 milioni d’emigrati in un secolo o poco più.
La straordinaria passione di Maurilio Di Giangregorio, infaticabile ricercatore di storia locale, ha dunque cominciato a dare i suoi frutti dal 2003 con un’incessante e feconda produzione di saggistica storica, risultato di anni di frequentazione appassionata di archivi, biblioteche, fonti documentali, ascolto della memoria orale, consuetudine con i fondi archivistici delle famiglie abruzzesi, sovente veri e propri scrigni di storia. E di storie! Quel che non manca a Maurilio è la pazienza, l’assiduità e la determinazione nell’affrontare ogni impresa. Ha così regalato alla cultura storica abruzzese risultati di grande valore ed interesse. Poi il rigore della ricerca, che gli consente di pubblicare i suoi saggi storici sempre con un notevole apparato documentale, rendendo la sua opera preziosa per lettori e studiosi. E’ così che il suo amore per la ricerca storica, animata da una passione irrefrenabile, in scarsi vent’anni ha portato alla pubblicazione di ben 68 libri di saggistica storica, composti e stampati in proprio, e alla ristampa – a sua cura – di altri 57 volumi di storia locale. Una produzione “industriale” di storia che ha reso e rende un contributo di eccezionale rilevanza alla storiografia abruzzese, e non solo. Tra le sue opere va particolarmente citata la monumentale pubblicazione in 8 volumi “Il terremoto della Marsica, 13 gennaio 1915, nei documenti d’archivio”, edita nel 2015 nella ricorrenza del Centenario.