di Luigi Chiavarelli *
Strani soldati i soldati italiani. Ne ho comandati migliaia, in Fanteria di linea, nei Paracadutisti, nei Meccanizzati, nell’Aviazione dell’Esercito e ho tratto sempre le medesime conclusioni. In realtà i soldati rispecchiano le varie realtà regionali per cui parlare semplicemente di “soldati italiani” non rende l’idea della varietà, dell’eterogeneità di comportamenti e mentalità esistenti, tuttavia vi sono dei tratti comuni che li rendono diversi da tutti gli altri. Mi riferisco ai soldati di leva, quelli che hanno combattuto tutte le guerre patrie e hanno riempito i Reggimenti sino al 2005 e sono un po’ lo specchio del nostro Paese. Con i professionisti il discorso è diverso, restano i pregi, diminuiscono i difetti.
Non abbiamo la fama di grandi guerrieri perché improvvidi leader del passato hanno mandato i nostri padri, nonni ed antenati a battersi in condizioni penose di addestramento, di equipaggiamento e di armamento ma di questo tiene poco conto la storia che guarda solo ai risultati. Io, che per anni ne ho condiviso la vita posso dire, invece, che sono tra i migliori soldati del mondo, ma………. .
Si c’è un MA anzi molti “ma”. I soldati italiani hanno pregi e difetti molto particolari. Ad esempio, in genere non amano la disciplina, almeno quella legata agli aspetti formali. L’italico individualismo spunta di continuo per ritagliarsi degli spazi, per far emergere, con piccoli, significativi gesti, un’individualità che se ne sbatte delle regole e cerca di aggirarle, modificarle, adattarle alle proprie esigenze. Il basco “fuori ordinanza”, le divise fatte modificare da sarti civili durante la libera uscita, il distintivo “guerriero” non previsto dai regolamenti, le “code” del basco più lunghe del normale, la cravatta di un colore diverso, le stelline di metallo che indicano i mesi d’anzianità nascoste sotto il lembo del basco e potrei continuare all’infinito. Sanno bene che se beccati saranno puniti ma proprio li sta il bello! Il gusto della sfida e del rischio, l’affermazione di sé.
Peccati veniali si dirà, certo, ma come guerrieri? Gli Italiani amano la vita e non amano sprecarla e questa è una buona cosa, per cui se devono rischiarla vogliono sapere perché. Al contrario di altri popoli indossare una divisa non li esalta particolarmente. Perché il soldato italiano l’ami e ne vada fiero la deve prima immergere nel sudore e, talvolta, nel sangue. Sudore e sangue condivisi con “fratelli” che hanno le medesime insegne, compagni che ha avuto a fianco nelle fatiche e nel rischio e con i quali ha condiviso sudore, paure, pericoli e avventure. Allora non dimenticherà più quei simboli, quelle insegne, quella divisa, quei compagni e ne andrà fiero per tutta la vita.
E di fronte al pericolo? In quarant’anni di vita militare, lo giuro, non ricordo di aver mai dovuto sollecitare un soldato addestrato a vincere la paura… se sa che sta rischiando per una causa giusta. Molto spesso, invece, anche in situazioni ad alto rischio, ho dovuto frenarne lo slancio tanta era l’ansia di fare, d’intervenire per aiutare, salvare, proteggere.
Unico e particolare è anche il rapporto con i Comandanti. Comandare i soldati italiani è esaltante perché se sai catturarne il cuore non ti negano nulla, ti seguiranno ovunque ma catturarne il cuore non è facile. Prima di tutto non puoi importi basandoti solo sul grado, non puoi sembrare, devi essere e devi credere in quello che dici altrimenti ti “sgamano” subito e perdi ogni autorevolezza. Devi essere giusto con una leggera tendenza a far prevalere il cuore sui regolamenti e devi mostrare di saper fare tu, per primo, quello che chiedi loro di fare. Ambiscono ad avere un capo con cui identificarsi, da stimare e di cui possano essere fieri e per ottenere ciò devi star loro davanti e rischiare se rischiano, sudare se sudano, infangarti se si infangano, bagnarti sino al midollo se si bagnano. Il Comandante deve essere stimato, un po’ temuto, possibilmente amato.
Il soldato italiano è intelligente, è un soldato pensante, per questo ha bisogno di un campo d’azione, sia pure piccolo, in cui mettersi alla prova. Non ama obbedire cecamente agli ordini, anche in questo campo vuol capire, ergo non bisogna dargli ordini insensati o superficiali ma renderlo edotto della situazione, degli scopi, dei perché e dei percome, allora saprà adattarsi ed agire con efficacia, anche d’iniziativa, in ogni circostanza. Dargli un problema da risolvere, anche piccolo -anche se non lo ammetterà mai e sacramenterà mentalmente- lo fa felice, lo rende partecipe, lo gratifica, si sente parte importante e funzionale di una squadra e darà il meglio di sé. Ha l’intelligenza di un popolo antico e saggio che sa capire le situazioni e le persone e confrontarsi con esse senza boria immedesimandosi nei problemi, nelle mentalità e per questo sa presto farsi apprezzare e benvolere. Grandi pregi, questi, soprattutto nelle missioni per il mantenimento della pace e che ci vengono universalmente riconosciuti.
C’è poi una frase magica, che funziona sempre, soprattutto all’estero, che sveglia anche i più pigri e dà la carica anche ai più slandroni: “Facciamo vedere cosa sappiamo fare noi Italiani “ . Sembra allora di sentire in sottofondo l’inno del Piave, o il grido “Savoia !!” degli assalti alla baionetta. Se poi gli stranieri che ci osservano e valutano hanno la puzza sotto il naso……. non ce n’è per nessuno! Si, forse saranno un po’ falsi, un po’ attori e un po’ paraculi ma pur sempre efficaci, molto efficaci e convincenti.
Purtroppo non si può negare però che il soldato italiano abbia anche un grande punto debole, che talvolta lo inguaia, gli fa perdere lucidità e razionalità: la femmina!
Per una femmina, se poi è bella e gli sorride non ne parliamo, perde la cognizione del tempo e dello spazio, è un concentrato di ormoni, un frullato di testosterone pronto ad ammazzare draghi e sfidare gl’inferi per conquistare il cuore della bella castellana. Esagero? Forse un po’, ma non troppo. Ricordo che la mia compagnia di Paracadutisti aveva ricevuto l’ordine di fare un’esibizione alla “Palestra di ardimento” a favore di una scolaresca, forse scuole medie. Grossa rottura di scatole. La Palestra d’ Ardimento è una grande area alla periferia di Livorno, dove sorgono alte torri, ponti di corda, carrucole e sistemi vari per formare e mettere alla prova il coraggio dei giovani Folgorini. Vi si svolgono prove impegnative che richiedono lunghi addestramenti per portare gradualmente i giovani soldati a superare se stessi e a svolgere esercizi che mai avrebbero pensato di riuscire a fare. E’ un metodo efficacissimo per infondere sicurezza in se stessi e aumentare l’autostima ma rischiare il collo per bambini delle medie no, era troppo! “Signor Capitano ho un gran mal di schiena” “Signor Capitano potrei non partecipare mi viene a trovare la fidanzata”. Nessun volontario per gli esercizi più rischiosi, fiacca diffusa, poca concentrazione.
La fatidica mattina erano da tempo pronti sulle torri, con l’entusiasmo di condannati a morte, quando avvenne il miracolo. Arrivarono tre grossi pullman. Si aprirono le porte e……una marea di splendide liceali delle classi anziane cominciò a scendere in una cacofonia di voci femminili, risatine emozionate, di estasiati oooohhh ! al vedere quelle decine di giovanotti abbronzati che le attendevano. Chissà se lo Spirito Santo ebbe lo stesso effetto sui dodici, fatto sta che qualcosa passò tra le torri, tra i ponti di corde e le carrucole, come una ventata di feromoni. I petti si gonfiarono, un sommesso ululato di approvazione percorse le giovani schiere. Un gruppo di Paracadutisti corse da me offrendosi di fare il salto più pericoloso, un tuffo a “x” sul telo tondo da 14 metri di altezza. Penso che sarebbero stati disposti a lanciarsi senza paracadute per un sorriso languido o uno sguardo ammirato. Potere della femmina! Ma in fondo per un soldato, arrendersi ad un dolce sorriso di donna, non è poi un disonore.
* generale di corpo d’armata (ris), già comandante del 187° reggimento paracadutisti “Folgore”, della Brigata “Friuli” e dell’Aviazione dell’Esercito
Foto: Mauro Montaquila