di Alan Davìd Baumann
“Liscio, busso, napoli a coppe” … queste alcune delle parole che ricordo di quando, ancora bambino, vedevo mio padre Alberto passare dei goliardici momenti con i suoi amici Piero, i suoi cugini Marcello e Silvano, Aldo, Lello ed altri. Momenti raccolti attorno ad un tavolo sul quale venivano distribuite le carte per un tressette mozzafiato. Tante le risate, le arrabbiature verso un compagno al quale assegnare errori, vittorie e sconfitte ed infine i racconti di come era trascorsa la settimana uscente.
Era allora che ho conosciuto Piero Terracina, persona mite, con un sorriso dolce ed una risata non fragorosa; una serie di numeri (ed una lettera) impressi sul braccio sinistro. Mi riesce difficile oggi scrivere di lui al passato, esattamente come dovetti fare nel novembre 2014 dopo la morte di mio padre. Piero era e rimane una figura presente, un simbolo, una testimonianza legata alla cattiveria ed all’innocenza dell’essere. L’ho intervistato diverse volte e per l’amicizia della quale mi sentirò sempre onorato, era intervenuto un 27 gennaio di oltre vent’anni fa, presso la scuola elementare “Regina Margherita” di Roma, per raccontare alle mie figlie Lara e Leah ed ai loro compagni di scuola, cosa aveva patito negli anni trascorsi ad Auschwitz.
On-line è possibile vedere un servizio del TG1 che presentava la “Shoah Foundation” ideata da Steven Spielberg, nel quale a casa di Piero è stato mostrato il criterio delle interviste che la Fondazione iniziava a fare alle vittime della Shoah (https://youtu.be/MBhA93uoMBk). In un’altra riuscii mio malgrado a farlo piangere: al contrario delle “solite” domande su come era stato preso e cosa ricordasse del tempo passato nel campo di sterminio, gli chiesi di raccontarmi il tragitto nel treno bestiame che da Fossoli condusse lui e migliaia di altri nei lager.
“Praticamente senza mangiare né bere, con i bambini che piangevano, urinando e defecando tutti quanti in un angolo … mentre alcuni anziani morivano …”. Mentre raccontava la sua storia, si potevano leggere negli occhi le vicissitudini di oltre sei milioni di persone condannate solo per essere nate ebree. Per ogni sua parola, per ogni ricordo vissuto, Piero si commuoveva, nonostante si trattasse forse della millesima intervista.
Mio padre capì da subito che eravamo arrivati sull’orlo di un baratro – ha ricordato Piero -, … si rivolse a noi e disse: “ragazzi, può succedere qualsiasi cosa, possono accadere le cose più terribili … ho una raccomandazione da farvi: mantenete sempre la dignità di uomini” -.
Baruch Dayan Haemet (Benedetto sei Tu Giudice di Verità)