di Enrico Cavalli
Il periodico “ La Torre“, organo ufficioso del cattolicesimo aquilano dal 1913, prima di chiudere la sua esperienza di importante espressione culturale del capoluogo abruzzese, all’inizio del gennaio 1919, annunciava il manifesto e statuto del Partito Popolare Italiano, sorto il 18 dello stesso mese a Roma.
Con la nuova formazione partitica fondata dal coraggioso sacerdote siciliano Luigi Sturzo aperta ”ai liberi e forti”, i cattolici rientravano nella vita politica, dopo il “non expedit” di Pio IX del 1874 a seguito della presa di Porta Pia nel 1870, da parte dell’esercito italiano.
In realtà fra Opera dei congressi e miriadi di enti sociali, il ruolo dei cattolici nello Stato, non era mancato.
Ma, come dal patto Giolitti-Gentiloni del 1904, alla fine i fedeli cristiani delegavano la difesa dei loro eterni valori a non sempre irreprensibili deputati e senatori liberali, talora, in combutta al radicalsocialismo, sulla espulsione dell’insegnamento religioso a scuola.
Avvertito il bisogno, nella società complessa di una rappresentanza diretta delle ragioni cattoliche in Parlamento, ecco il Partito dello scudo crociato e motto”libertas”, per la cui sezione aquilana si adoperano soggettività variegate, che hanno attraversato la stagione modernista ed il moto democristiano di don Romolo Murri (ad Aquila nel 1900), e, localmente, il sisma marsicano del gennaio 1915, prima di addentrarsi fra neutralismo ed interventismo, in una Grande Guerra denunciata come “inutile strage” da Benedetto XV e che diede la stura ai totalitarismi di massa.
Fautore del popolarismo aquilano è il patrizio ed erudito Vincenzo Rivera e facente le prove generali di un cattolicesimo impegnato, proprio, sostenendo il periodico”La Torre”, che lasciava il posto nel 1919, a “Il Popolo”, (anticipando di tre anni l’organo nazionale del PPI., e poi della futura Democrazia Cristiana); dietro la testata, per informare le coscienze che tenevano alla”difesa della famiglia e moralità”, stettero le firme dei giovani laici Giuseppe Berti De Marinis, Giuseppe De Meo, Camillo Tatozzi, Domenico Galli intimo di Sturzo e dei canonici Giuseppe Equizi, Gaetano Sollecchia.
La cautela arcivescovile verso il popolarismo cittadino tanto dinamico, si spiegava con la preoccupazione di scendere in un agone politico, che vede rivendicazionismi reducisti e il biennio rosso così innescanti le camicie nere di Benito Mussolini.
Anche nel capoluogo abruzzese, le tornate elettorali postbelliche nel Paese, invero, escludenti il voto alle donne nonostante l’endorsement del papato, videro il PPI., di tipo riformista ed interclassista, terzo fra liberalismo in declino e PSI., alle prese con la scissione comunista di Livorno del 1921 (dove fra i fondatori “rossi” fu l’aquilano Ottorino Perrone).
In contrapposizione ideologica drammatica in Italia, le anime ufficiali del PPI., erano il “centro” (qui, stavano l’aquilano Rivera e vastese Giuseppe Spataro), favorevole ad accordi con il liberalismo; la “sinistra”che guardava al riformismo del PSI.,; la”destra” procliva a riassorbire in schemi moderati, dopo la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, le camicie nere di Mussolini il cui governo col ministro “idealista” Giovanni Gentile sottese al cattolicesimo come”religione di Stato” nel 1923.
Alle cruciali consultazioni politiche del 1924, fra i brogli e violenze alle urne, anche nell’Aquilano, non bissò i successi precedenti, il PPI, che tuttavia, lo desumiamo dai taccuini doviziosi di Rivera, aveva inciso nel Circondario mobilitando energie giovani studentesche e le reti parrocchiali, cosa non scontata per la questione dell’aconfessionalità presunta del partito dalla scudo crociato, invero, confrontandosi con macchine “acchiappavoti”oliate da decenni e spregiudicate.
Dopo il rapimento ed uccisione da parte della “Ceka nera” dell’onorevole Giacomo Matteotti” (la cui famiglia venne protetta a Castel del Monte, dal socialista aquilano Emidio Lopardi, amico del deputato rodigino), il PPI., come tutti i partiti che tra divisioni e rivalità, avevano deciso di lasciare il Parlamento, fu messe fuorilegge dal fatidico discorso di Mussolini il 3 gennaio 1925.
In clandestinità il cattolicesimo politico operò, nei limiti delle efficientissime maglie dell’OVRA., non il PPI., bensì il cosiddetto Guelfismo d’Azione (una cui sede a Roma, fu alla casa di Spataro, dove pure sorgerà il 19 marzo 1943, la Democrazia Cristiana), mentre don Sturzo dall’esilio di Londra, dal Vaticano consigliatogli per ragioni di sicurezza, contemplò i Patti Lateranensi fra Italia e Santa Sede l’11 febbraio 1929.
Dall’estero, i socialcomunisti, repubblicani, liberali, il Guelfismo stesso, lamentarono vicinanza fra clericalismo e fascismo, ma il giudizio era da rivedere alla luce del contrasto nel 1930-31, sul piano educativo fra Azione Cattolica e il regime, da cui la enciclica di Pio IX “Non Abbiamo Bisogno”, che ribadiva l’autonomia dei valori cristiani rispetto anche al laicismo che mutatis mutandis,si avvertiva per il cristianesimo in URSS., Spagna e Messico.
La controversia, sull’onere della formazione dei giovani italiani si registrò in modo assai aspro nell’Aquilano, posto che le autorità di regime additavano i capi dell’AC., di essere stati i fondatori del disciolto PPI., il cui significato ideale sarebbe riecheggiato entro la compagine della Federazione universitaria cattolica, molto pregnante nel capoluogo abruzzese, per il convinto appoggio dell’Archidiocesi e per gli agganci dei locali goliardi, si pensi ad un Lorenzo Natali, alle giovanissime e carismatiche dirigenze Fucine di Aldo Moro e Giulio Andreotti: dal mondo studentesco cattolico con la sezione femminile intitolata a “Piergiorgio Frassati“ e quella maschile a ”Giuseppe Toniolo“, origineranno le classi dirigenti aquilane della Ricostruzione post 1945.
In conclusione, la parabola del PPI., sul piano nazionale come a L’Aquila era stata troppo complessa e compressa da due guerre mondiali, ma con una eredità di orizzonti ideali e concreti, pronta ad essere colta non solo simbolicamente dalla DC., che scriverà assieme alle altre forze politiche ispirate alla democrazia, i diritti e doveri della Costituzione repubblicana nel 1948 e che significativamente, all’art.7 ratificava i Patti Lateranensi.
Oltre il confronto con partiti sia avversari che alleati, anche alla Democrazia cristiana toccherà di affrontare il problema della mediazione con le gerarchie vaticane nella storia repubblicana, fino, almeno, al termine della unità politica dei cattolici, ma questa è un’altra vicenda.