RITRATTO DI ONDINA VALLA.

29 Novembre 2018
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di Enrico Cavalli

Ondina Valla. La prima donna ialiana a salire sul podio olimpico.

Ondina Valla. La prima donna italiana a salire sul podio olimpico.

Due anni or sono, lodevole, l’iniziativa presso il Ridotto del Teatro comunale, di una mostra sulla prima atleta italiana olimpionica a Berlino 1936, Ondina Valla, come noto di nascita felsinea il 20 novembre 1916, ma aquilana di adozione, dagli anni’40 del secolo scorso.

 Andava tale kermesse a bissare, con rinnovati motivi di attrazione, non solo per il pubblico sportivo, per quantità e qualità di cimeli, foto, documenti d’epoca, relativi a questo personaggio, quanto inscenato nel 2008, ai saloni della Carispaq, sotto i Portici ottocenteschi.

 Tanto in prima esposizione che in seconda occasione (agli 80 anni dall’evento a cinque cerchi di Berlino), potevano esserci contestualizzazioni della Valla, nello sport locale; la qual cosa, occorrente, per non slegare l’atleta dalla memoria collettiva, e, qui, potevano servire, i contributi di quanti tentano di riannodare, le trame di un discorso sportivo aquilano.

 Opzioni di rassegna su di un tema libero, perciò…, liberissime, si intenda, e, sommessamente, ne prendiamo atto, tuttavia, ci sia consentito di dire che il tempo della ricostruzione, se è collettiva, come più volte sbandierato dal 2009, pure, passerebbe per sinergie morali ad ampio raggio, senza autoreferenzialità e/o pregiudiziali ideologiche, che talora si ravvisano nella vita civica.

 Scusandoci, per l’ardire ed omissioni eventuali, interveniamo per compendiare il rapporto fra la grande olimpionica e la città che l’accolse.

Nel 1944, assommava un notevole blasone agonistico, Trebisonda (così per volere del padre fascinato dalla città turca), ovvero, Ondina Valla, quando giunse nel capoluogo, dopo approdi a Lanciano e Chieti col marito, da pochissimo sposato per dispensa vescovile, anche lui felsineo, il dottor Guglielmo De Lucchi; da ortopedico del famoso “Rizzoli”, era arrivato  all’aquilano “San Salvatore” (stesso percorso del radiologo bolognese Matteo Rusconi che fu colonna dell’AS.L’Aquila nel 1933-1935), per poi fondare e dirigere la clinica privata per sportivi, “Villa Fiorita” alla Villa Comunale.

 Questa carriera comincia il 23 giugno 1927, ad undici anni, conseguendo a livello di gare scolastiche, un metro e dieci nel salto in alto, terzo posto nei 50 metri piani e nel lungo con un 3,52, alla presenza del maggiore Vittorio Costa, organizzatore dei “Littoriali” di Bologna e che mostrò attenzioni alle evoluzioni di questa atleta in erba, campionessa assoluta tre anni più tardi.

 Convocata in azzurro dalla Commissaria Tecnica Martina Zanetti, la Valla si distinse ai 100 metri, staffetta veloce, 80 metri ad ostacoli, lungo e alto e in occasione di un confronto Italia-Belgio del 1930.

Dopo la mancata e discussa partecipazione alle Olimpiadi estive di Los Angeles del 1932, per i veti all’ingresso delle donne nello sport ufficiale, svezzata da Boyd Comstock, l’allenatore indo-statunitense chiamato a modernizzare l’atletica italiana (il che la diceva lunga su falle del nazionalismo di regime), assommò Ondina, tale diminutivo affibbiatole dalla capitana azzurra Zanetti, quattro titoli negli universitari del 1933 di Torino, undici vittorie nazionali agli 80 metri ad ostacoli, la specialità di cui sarà medaglia d’oro berlinese, un evento memorabile per lo sport italiano.

 Fortemente voluti dal Fuhrer, per presentare al mondo la Germania nazionalsocialista, i X Giochi delle era moderna, cominciarono il primo agosto 1936, col particolare per la prima volta, della fiaccola accesa ai resti greci di Olimpia e che entrò al cospetto dei centomila astanti fra i gradoni del gigantesco “Olympiastadion” di Berlino, il tutto ripreso dalla regista del lungometraggio “Olimpia”, Leni Riefenstahl  e  dalla sperimentale tv a circuito chiuso.

   Archiviato il turno eliminatorio, il 5 agosto, la Valla e Claudia Testoni entrarono brillantemente alle semifinali, incredibilmente, eguagliando Ondina in 11”60 il record del mondo, pur se per omologato con vento favorevole di 2,8 metri al secondo (non allora, in vigore la regola dei 2 m/s quale limite massimo).

   Al 6 agosto della fatidica finale, le due atlete non giungono al massimo della forma e cercano di aiutarsi con “zollette di zucchero al liquore”, eppure, la Testoni parte fortissimo, finché non si vede gradualmente sorpassata dalla falcata della Valla lesta a saltare gli ostacoli, per un rush finale che vede quattro atlete con lo stesso tempo, 11”7.

  Momenti concitatissimi per le atlete e  cronometristi che  in base alla zielzeitkamera, diedero prima l’argento, poi il bronzo, infine, il quarto posto alla Testoni, avente l’uguale 11” 809 della canadese Betty Taylor (la valorosa atleta azzurra,  si sarebbe rifatta con l’Europeo del 1938), soprattutto, il fotofinish sentenziò l’11” 748 della Valla davanti alla tedesca Anny Steuer: risuonò l’inno della “Marcia Reale” (per altre fonti, “Giovinezza”), il tricolore spiccava sul pennone più alto dello stadio berlinese, mentre Ondina venne adornata dal membro italiano del CIO., il generale Giorgio Vaccaro, dell’oro. 

  Come antesignana donna olimpionica italiana, venne tanto elogiata dalla sua Bologna ed in patria, il Duce proponendola come figura modello del femminismo di regime.

   Il regime, assegnava un’artistica quercia di settanta centimetri agli atleti italiani vittoriosi a Berlino, con teca di porcellana e scritta “cresci per onorare la memoria, sii di sprone a nuove gesta”: Mussolini, pretese che la quercina in onore della Valla, fosse installata all’ingresso dello stadio bolognese “Littoriale”, voluto dal ras dello sport felsineo e nazionale,  Leandro Arpinati. 

Non pare adagiarsi sugli allori, la Valla che piglia il primato italico del salto in alto a 1.45 mt., nel 1937 e maggiorato con l’1.50 nel 1940 (battuto nel 1955), come pentatleta in forza alla SS.Parioli di Roma, ma lo scoppio delle ostilità planetarie, non andarono a consentire altre imprese di spicco per la grande azzurra.

La Valla, allora,  andò in Abruzzo finchè ebbe a trovare un’Aquila fra le capitali agonistiche del paese, per polifunzionalità dello stadio monumentale “XXVIII Ottobre” ed imprese in discipline individuali e di squadra, si pensi al tricolore di atletica leggera, in specialità dei 1500 piani, di Baglioni nel 1924 a Fiume, all’AS.L’Aquila in serie B nel 1933-34; soprattutto, un movimento di praticanti e vasto numericamente, al di là degli aspetti di avanzamento di status sociale, che fare il rugby o la pallacanestro, piuttosto che il ciclismo, poteva significare, in quegli anni autarchici e di una seconda guerra mondiale, dal carico tremendo di patimenti per la gente aquilana.

 Logico che i gerenti lo sport cittadino, non si facessero sfuggire, la possibilità di carpire i servigi di un’atleta di prestigio, per dare ulteriore spessore d’immagine all’opzione agonistica del più generale progetto della Grande Aquila, vieppiù, per conferire smalto alle attività locali della disciplina regina per antonomasia.

 Nell’atletica leggera aquilana, i risultati, restavano soddisfacenti per effetto delle prestazioni di altro ostacolista ai Giochi di Berlino (per inciso, fra i vincenti dell’undici azzurro al calcio olimpico e capocannoniere ancora oggi della rassegna, ci fu Annibale Frossi, che lasciò il rossoblù aquilano nell’estate di quell’anno, per l’AS.Ambrosiana-Inter), quell’Emilio Mori, pistoiese e guffista, che insieme al milanese Leoni, venne per rafforzare la locale leva, sulla pista a carboncino nello stadio comunale, dei Baglioni, Passacantando, Tiboni, Properzi, e, il velocismo femminile delle Cellammare, Laglia, Agnelli, Ferri.

 Meno vigore aveva l’atletica pesante, ferma a delle estemporaneità, sicché la Valla, da campionessa di razza, si estrinsecò, non a caso in lancio del martello, conseguendo il primato abruzzese nel 1950.

   In un’epoca in cui gli spazi ed opportunità nella società, ancora non si dischiudevano, per le donne, che alle stesse Olimpiadi poterono cimentarsi in tutte le specialità, solo dopo Londra 1948, ebbene, l’esempio di Ondina, fu pregnante per un certo emancipazionismo del cosiddetto gentil sesso, ovvero, per l’incremento di versione locale dello sport al femminile.

 Ritiratasi dalla decennale carriera agonistica, Ondina Valla, dividendosi fra Chieti, Pescara e L’Aquila per assecondare l’attività imprenditoriale del suo consorte scomparso nel 1955, tanto che al clinica ”Villa Fiorita” chiuse i battenti nel 1965, mai mancò di svolgere un ruolo dirigente, nel promozionamento sociale dello sport nel capoluogo abruzzese.

  Fu membro del Panathlon aquilano, assieme ai nomi che avevano riassunto lo sport di mezzo secolo alle falde del Gran Sasso, quali Fattori, Carlei, Mori, Mancini, Bruno, Capranica, in grado di realizzare virtuose sinergie col canale politico, affinché il capoluogo abruzzese, divenisse un ridotto di avanguardia, per le Olimpiadi di Roma nel 1960.

 Fu un traguardo, importante socialmente, per L’Aquila, e, tale, da valorizzare come punto di aggregazione, il ristrutturato stadio ex “XXVIII Ottobre”, nonché da far riscattare a livello della politica sportiva regionale, la perdita delle sede abruzzese Fidal., andata a fine anni’40, in quel di Sulmona e poi alla Pescara, avente le corsie in tartan, dell’”Adriatico”.

 Il fatto è che per avere la seconda donna italiana nella regina degli sport, sul più alto podio olimpico, bisogna aspettare, Mosca nel 1980, ovvero, la già detentrice del record mondiale nel 1978 di salto in alto a 2,01, Sara Simeoni, da Rivoli Veronese (famosa per la battaglia napoleonica del 1797), e, inevitabilmente, trasaliva un parallelismo con la leggenda di Ondina.

C’è stato un incontro memorabile, ad occasionarlo ”La Gazzetta dello Sport”,  fra la Valla e la Simeoni, l’una e l’altra, nella Hall of Fame della loro disciplina, del resto, in tempi diversi primatisti di specialità ed insignite di massime onorificenze della stessa Repubblica italiana, proprio, all’atto del trionfo olimpico della veronese, allenata dal marito Erminio Azzaro.

Valga dire che, la campionessa veronese e donna simbolo dello sport nazionale al 100’del CONI., ha avuto modo di dare il suo apporto morale alla ricostruzione sociale e sportiva del capoluogo abruzzese post sisma del 2009, facendo da testimonials con campioni dello sport italico dal “signore degli anelli  ”Yuri Chechi al re del tennis Adriano Panatta, per le rassegne aquilane dei Giochi sportivi studenteschi, quindi, ha avuto modo di visitare costei, i luoghi della città ospitante la sua precorritrice atleta olimpica.

 Ondina Valla, suo malgrado, era stata assisa sulla stampa, perché nel 1978, vittima di un furto nella sua abitazione privata a L’Aquila, che le tolse la medaglia d’oro conseguita all’”Olympia Stadion” berlinese.

  Nel 1984 alla vigilia dei Giochi di Los Angeles, grazie agli sforzi del Panathlon aquilano e del segretario Coni, l’avezzanese Mario Pescante, il presidente della Fidal., Primo Nebiolo, fece dono alla grande atleta, di una riproduzione del prestigiosissimo cimelio olimpico. Fatto simbolico, se si pensa che la Valla, avrebbe potuto partecipare nel 1932, alla prima edizione dei Giochi in terra californiana, invece, questa chance di ottenere probabili allori, non le fosse stata impedita, dall’allora in voga, trasversalmente, costume maschilista, essendo unica donna nella spedizione azzurra Oltreoceano.

Gli aquilani hanno modo di ammirare il passo elegante della Valla, nel 1995, allorquando funge da tedoforo all’ultimo tratto della staffetta per la fiaccola della ”Perdonanza” celestina, che dagli eremi del Morrone giunge il 28 agosto di ogni anno, per essere accesa al tripode di Palazzo Margherita d’Austria.

 Alla scomparsa nell’ottobre 2006, di Ondina Valla, il riscontro localistico, al di là della mostra in Carispaq, del 2008 e quella del 2016 abbinata alla piece teatrale, ma sempre senza contestualizzazioni sportivo-sociali,  non fu all’altezza, in rapporto alle rassegne fotografiche e dibattiti della felsinea patria natale dell’atleta.

  La città che accolse simile medagliata, aveva pensato che sarebbe stato bastevole per onorare la sua memoria, dedicarle le vasche olimpiche di viale Ovidio.

 Era la riprova di superficialità nel rapporto fra sport e politica nell’Aquilano, solo per risolvere, appunto, la questione della intitolazione della piscina comunale, al gerarca Adelchi Serena, a fine anni’90, quando correttamente, in una politica di richiamo alla tradizione sportiva locale, si doveva dedicare alla Valla, uno degli auspicati campi di atletica nel grande comune, e, così dare un luogo di riferimento simbolico, ai giovani/e praticanti (ve ne sono ancora, fra non poche difficoltà) della disciplina regina degli sport, avente necessità di numi tutelari, come la prima donna italiana olimpionica.

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