11 marzo 2011: un terribile terremoto – 20.000 volte quello dell’Aquila – colpisce il Nord del Giappone seguito dallo tsunami ed è tregenda. Il mondo assiste sgomento ed attonito alla potenza della Natura per poi essere soggio-gato da una tragedia nella tragedia: il peri-colo nucleare. Ancora adesso la situazione resta indefinita, con notizie contrastanti che si susseguono e si rincorrono, ora rincuorandoci ora facen-doci piombare in una specie di buco nero, di incubo dal quale ci piacerebbe svegliarci presto e bene. Ciò che è successo e sta succedendo nel lontano Oriente (non a caso lo si definisce ―Estremo‖) era inimmaginabile, la realtà, come spesso accade, ha superato di molto la fantasia e tutti i possibili scenari apoca-littici che i più visionari registi di Hollywo-od siano stati in grado di inventarsi. La Natura, Dea-madre pericolosissima e potentissima, ci ha mostrato tutta la sua potenza distruttrice dandoci l’ennesima prova della nostra futilità: siamo granelli di sabbia che con un soffio si disperdono, ma che con altrettanta facilità si coagulano altrove. La nostra Terra è come un enorme formicaio nel quale ognuno di noi si affatica, corre, si prodiga come una minutissima formica, ma basta un filo d’erba per disperdere la fila di insetti e distruggere più vite con un’unica folata di vento. I nostri antenati erano molto più consapevoli di noi di tale futilità: la Natura era adorata come una divinità, spesso tremenda, della quale avere rispetto e paura. Dalle sue intem-peranze bisognava guardarsi, ma il senso di rassegnazione e di impotenza verso l’imper-scrutabile, l’imprevedibile aiutava a superare ed andare avanti. Oggi, l’uomo si sente (o – forse – si mostra) invincibile, si fregia di una invulnerabilità che denuncia solo ignoranza e presunzione, cre-sciute con l’aumento di una ―supposta‖ cono-scenza scientifica, che però continua a mostra-re le sue falle: restano imprevedibili i terremo-ti e gli tsunami; restano imprevedibili risvegli di Vulcani pur rimasti silenti da secoli; so-pravvivono leggende che servono solo a tenta-re di dare una spiegazione soprannaturale a fenomeni tanto più terribili in quanto natura-lissimi. Il problema è la mancanza di certezze, la sen-sazione di essere letteralmente in balìa delle onde, il che ci dà il senso della nostra piccolezza e procura sensi di vertigine. La salvezza sta nel farsi prendere dai mille problemi del quotidiano, piccoli ed irrisori ma salvifici e vivificanti: li risolviamo e ci sentia-mo vivi, capaci di affrontare tutto senza essere sopraffatti, certi del nostro essere umani e terreni. Insomma, la nostra salvezza sta nel quotidiano, proprio quello che è venuto a mancare a noi Aquilani la mattina del 6 aprile di due anni fa! La notte fra il 5 ed il 6 aprile 2009 ha segnato un punto di svolta epocale che ha colpito tra-sversalmente più generazioni, dilaniando quel tessuto sociale tanto vituperato perchè provin-ciale eppure oggi tanto rimpianto. A distanza di due anni assistere a qualcosa di ancora più grande di quello che ha colpito noi è dirompente: le ferite, che si stavano lentissi-mamente rimarginando, tornano a sanguinare; il dolore riprende il sopravvento; i ricordi ci travolgono come un fiume in piena. Credeva-mo di aver superato, di essere in cima al crina-le che riporta a valle e invece no, non è ancora così! Siamo scossi, ancora addolorati e tristi, forse troppo tristi per intraprendere un cammi-no di rinascita e ricostruzione. Poi, un amico ci comunica di essere divenuto padre, con una fotografia inviata via mail ed è la vita a prendere il sopravvento sul dolore, a mostrarci come, nonostante tutto, la vita stessa va avanti e la Natura con una mano toglie e con l’altra ci dona bellezza, amore, serenità. Chiudo con un aforisma di Albert Einstein ―Non penso mai al futuro. Arriva così presto!‖