Dopo settimane di tensioni fuori dal campo, il numero uno al mondo conquista New York con una solidità mentale che gli avversari possono solo invidiare
Sebastiano Catte
La vittoria di Jannik Sinner agli US Open di New York non è solo un momento da incorniciare nella storia del tennis italiano. È la sublimazione di un tratto che distingue il campione in modo quasi inquietante da ogni altro giocatore: la sua impenetrabilità mentale. Mentre il mondo si agita, Sinner rimane immobile, inafferrabile, come un guerriero stoico che affronta tempeste con il solo potere della sua mente. Non è solo il fatto che abbia battuto l’americano Taylor Fritz in tre set secchi, con un punteggio che sembrava quasi ineluttabile – 6-3, 6-4, 7-5 – a renderlo speciale. No, quello che rende straordinario Jannik Sinner non è ciò che ha fatto, ma come lo ha fatto.
Quando il fuoriclasse altoatesino ha alzato le braccia al cielo al termine del match aveva raggiunto il culmine di una battaglia interiore, una dimostrazione di come la forza mentale possa resistere anche alle tempeste più impetuose. Mentre altri giocatori avrebbero potuto cedere alla pressione, Jannik ha dimostrato di possedere qualcosa di più prezioso: una calma inviolabile, un’autodisciplina di ferro. Perché, se c’è una cosa che distingue Sinner da qualsiasi altro tennista, è la sua capacità di restare immobile anche quando tutto intorno a lui si sgretola. E di cose che si sgretolano, Jannik ne sa qualcosa, per non parlare della pressione. I commenti della stampa, le opinioni dei colleghi, gli hater sui social, l’ombra costante di un errore che non era stato neanche suo. Qualcun altro si sarebbe spezzato, ma Jannik no. E qui entra in gioco il suo vero valore, quello che nessuna statistica può catturare.
La sua forza mentale è la qualità che lo rende diverso da chiunque altro. Quando il mondo si è stretto contro di lui, quando le domande erano troppe e le risposte troppo poche, Sinner ha fatto ciò che sa fare meglio: ha messo tutto a tacere e ha giocato. Il campo da tennis è diventato il suo rifugio, il luogo dove le distrazioni non esistono e ogni colpo è un atto di concentrazione purissima. Non ha lasciato che quella nube nera del caso Clostebol influisse sul suo gioco. “Chi mi conosce bene sa che non farei mai nulla contro le regole” ha ribadito con forza all’inizio del torneo di New York. Quella dichiarazione, pronunciata con semplicità, è la sintesi della sua natura: una forza inesorabile che non ha bisogno di urlare per farsi sentire e che presuppone la maturità di chi ha la consapevolezza che la vita sia qualcosa che va ben oltre il rettangolo di gioco.
Come ben testimoniato dalle sue dichiarazioni al termine della finale con Fritz, il richiamo agli affetti familiari e il primo pensiero per la zia gravemente malata. “Il complimento più bello che ho ricevuto – ha affermato – forse è stato quello poco prima della finale che mi ha detto Darren (Cahill, il coach australiano di Sinner, ndr) riguardo a come ho gestito tutta questa situazione, dell’essere arrivato in finale e di dover giocare un match così importante. Mi ha fatto una domanda ‘Chi credi siano le due persone che sono più fiere e felici di te?’. L’ho guardato e gli ho detto ‘Non lo so’. E lui mi ha detto: ‘I tuoi genitori…’. Questo mi ha fatto sentire molto bene, mi sono venuti i brividi perché lui – essendo padre e sapendo tutto ciò che ho passato in questi quattro mesi – mi ha fatto capire che tutto questo va oltre il tennis”.
Durante la finale con Fritz, lo si è visto chiaramente. Il pubblico newyorkese dell’Arthur Ashe, l’impianto di tennis all’aperto più grande del mondo, era tutto per il suo beniamino, sperando in una vittoria che avrebbe posto fine a due decenni di astinenza da un titolo americano agli US Open. Ma non è stato così. Sinner è entrato in campo come una macchina perfettamente oliata, ma con l’anima di un combattente. Ha controllato il gioco dall’inizio alla fine, ma lo ha fatto senza l’arroganza di chi sa di essere più forte, con la sicurezza silenziosa di chi ha imparato, attraverso le difficoltà, a dominare ogni situazione.
La partita, seppur dura, sembrava quasi una formalità per Jannik. Fritz ha provato a rompere il dominio dell’avversario, ma ogni suo tentativo, soprattutto nel terzo set quando si è trovato con un break di vantaggio, è stato disinnescato con la calma e la precisione di chi non si lascia scalfire. Ogni volta che l’americano trovava uno spiraglio, Sinner lo chiudeva senza fare una piega, come se la pressione fosse qualcosa che gli altri sentivano, ma che non lo sfiorava neanche. Fritz, che nei giorni migliori serve come una mitragliatrice, sembrava aver smarrito il proprio miglior colpo. Ma sarebbe stato davvero sufficiente contro un Sinner che non si lascia mai condizionare dalle circostanze?
Mentre il californiano lottava con il suo servizio e con il peso del pubblico, Jannik sembrava quasi osservare dall’alto. Ogni colpo era calcolato, ogni scelta attentamente bilanciata. Se Fritz tentava l’affondo, Sinner lo attendeva con una calma serafica, come se il tempo rallentasse per lui. E questa calma, questo zen in movimento, è il vero segreto del ragazzo di San Candido. Ed è qui che si svela l’enorme differenza tra Sinner e quasi tutti gli altri. Non è solo una questione di colpi perfetti o di velocità sul campo. È che Sinner ha la capacità di entrare in una zona mentale dove il rumore del mondo – le aspettative, i commenti, i dubbi, le paure – scompare. Quando le cose si complicano, quando il gioco si fa duro, lui diventa ancora più stabile. È come guardare un funambolo che, anziché vacillare, danza sopra l’abisso.
Sinner non si esalta mai, non si lascia mai distrarre dalle sue stesse vittorie, ed è proprio questa qualità che lo rende tanto pericoloso per i suoi avversari. Le sue partite non sono battaglie di pura potenza o atletismo – sono guerre psicologiche. Lui ti scava dentro, ti logora. In campo, sei solo tu e la tua mente. E contro Jannik, prima o poi, sei tu che vacilli. Fritz, alla fine della partita, era visibilmente turbato. “Avrei voluto giocare meglio, darmi una chance migliore,” ha ammesso. Ma la verità è che contro uno come il campione italiano, non basta giocare bene. Devi essere all’altezza mentalmente. E nessuno, tranne forse Djokovic, sembra avvicinarsi a quel livello di lucidità glaciale. Sinner, con la sua freddezza imperturbabile, trasforma ogni partita in un esame di resistenza mentale.