di Angela Casilli
La vittoria in Abruzzo della coalizione di governo guidata da Giorgia Meloni è stata una clamorosa prova di forza della destra in Italia, dopo il flop in Sardegna di qualche settimana prima. La Premier si è spesa in prima persona, ben sapendo che il rischio era alto, avendo l’intera opposizione contro, convinta dopo la vittoria in Sardegna, di poter cambiare il corso della politica, in un Paese come il nostro, abituato da tempo ai cambiamenti ad ogni “stormir di fronde “.
Se si votasse a breve, nessuna regione andrebbe alla sinistra, neanche la Campania dove De Luca è ai ferri corti con la segretaria del PD. Alle elezioni europee, si può esserne certi, l’opposizione dirà che la somma dei voti riportati è più o meno quella della maggioranza, ma la maggioranza, nonostante lo scalpitare di qualche suo esponente di forza, cioè Salvini, è saldamente al governo, mentre a sinistra non c’è nessuna coalizione e mai ci sarà.
Speriamo che la Premier si convinca che è il momento di governare e di non pensare ai complotti che non ci sono o ad una perdita di fiducia da parte dell’elettorato, nei suoi confronti e in quelli del suo partito. Basta con le polemiche con il Quirinale o con la presenza quasi ossessiva nei comizi; governare significa affrontare la questione più importante e più complessa, su cui si è andato, nel tempo, consumando il placet ai governi precedenti e cioè l’economia, con un deficit al 7,3% del Pil. Come abbiamo oggi, due punti sopra le previsioni.
Il nostro Paese che non ha fiducia nel futuro, la denatalità è in costante aumento, investe poco nell’economia produttiva, scuola e sanità perdono posizioni, nonostante la buona volontà di molti insegnanti, medici e infermieri. Rovesciare questa tendenza negativa non è facile, ma è l’unica strada da percorrere se si vuole governare cinque anni.
Se dovessimo tornare a votare, non andrebbero a Palazzo Chigi né Conte né la Schlein per una serie di ragioni che vanno dalla diversa natura dei due partiti, alla volubilità di un elettorato facile agli entusiasmi, ma altrettanto facile alla sfiducia in chi ha portato al governo del Paese. I 5 Stelle funzionano solo se sono trasversali, se possono prendere voti anti-sistema, soffrono in un’alleanza, con il partito-sistema, come è invece il PD, contro cui il movimento grillino è nato, altro che “campo largo”.
Nel 2019 PD e 5 Stelle furono alleati ma solo per impedire a Salvini di stravincere le elezioni e assumere così “i pieni poteri” ma, oggi, è poco o quasi nulla per costruire una credibile alternativa alla maggioranza attuale. Quanto a Salvini, in caduta libera, dovrebbe capire che opporsi alla Meloni non paga e forse si aprirà la strada per la Lega di Zaia di conquistare il centro dello schieramento politico, dove Forza Italia, dopo la scomparsa di Berlusconi, sotto la guida di Tajani regge meglio del previsto.
Se vuole evitare di farsi male, la Meloni dovrà quindi muoversi nella direzione giusta che è quella di incentivare il lavoro, gli investimenti produttivi, la crescita economica e demografica, oltre ad accogliere nella classe dirigente nuove leve, perché la squadra che lavora con lei ha necessità di ricambi, come ha più volte dimostrato, se si vuole consolidare il governo.