Ormai usiamo i social tutti i giorni. Tra opinioni e condivisioni varie, occorre però prestare attenzione a una serie di regole.
Di Giulia Fioravanti, avvocato
Articolo tratto dalla rivista “Fiamme d’Oro”
Rivista ufficiale dell’Associazione Nazionale della Polizia di Stato
Anno XLIX n. n 3 settembre dicembre 2022.
L’uso dei social network è oramai parte fondamentale della vita quotidiana di noi tutti. Sia le generazioni avanti con gli anni che gli adolescenti, usiamo quotidianamente le diffuse piattaforme, che consentono a tutti in maniera fino a qualche anno fa inimmaginabile, il rapido e veloce scambio e condivisione di dati personali, fotografie e conversazioni in chat.
PER SVAGO E PER LAVORO
Non soltanto il tempo libero, ma si sono radicalmente modificati attraverso l’uso sempre più massiccio e capillare di tali tecnologie. La particolarità, e forse il fascino dei social, è costituito proprio dalla possibilità di comunicare facilmente con un numero indeterminato di persone, che possono avere accesso ai contenuti messi in rete e pubblicati dagli utenti. Particolarità quest’ultima che costituisce forse il carattere maggiormente attraente ma nello stesso tempo insidioso delle tecnologie digitali. A volte ci si dimentica, infatti, che la possibilità di poter comunicare con un numero spesso indeterminato di soggetti, che hanno libero accesso ai nostri contenuti, dovrebbe imporre responsabilizzazione e prudenza nel momento in cui usiamo la tastiera. Prudenza e accortezza ancora più raccomandabile quando esaminiamo e pubblichiamo giudizi e opinioni su emi di particolare sensibilità.
CONTRATTI, CODICI E ALGORITMI
Nel momento in cui accediamo alle piattaforme più note, andiamo ad un vero e proprio contratto di adesione. Allo stesso tempo, aderiamo ad un codice di regolamentazione che limita o vieta pubblicazione di determinati contenuti o impone modalità di espressione e pubblicazione ai soggetti iscritti. La violazione di tali regolamenti può determinare a carico dell’utente la sospensione momentanea o permanente all’account, oppure la rimozione, di quei contenuti giudicati non conformi allo standard del social. A vigilare sul rispetto del regolamento e sulle modalità di pubblicazione sono adibiti degli algoritmi. Questi sono dei dispositivi in grado di valutare e sanzionare l’utente irrispettoso delle regole. Si tratta di un vero e proprio meccanismo tecnologico di controllo, imposto dal gran numero di contenuti visibili in rete e necessario a garantire lo scambio di informazioni e contenuti in modo civile e sereno tra gli iscritti. Strumento, quest’ultimo, del tutto utile nei casi in cui ad essere censurati siano post o pubblicazioni violenti o discriminatori, o che addirittura integrino fattispecie di reato.
LA COSTITUZIONE E LE LIBETA’
Più delicata è, al contrario, la questione che riguarda quei casi limite in cui i meccanismi sanzionatori vengono attivati rispetto a pubblicazioni ritenute meramente non compatibili con lo standard della Community. Nella nostra Costituzione è infatti tutelata all’art. 21 La libertà di espressione del pensiero, la Libertà di critica e la Libertà di informazione. Anche l’art. 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo tutela queste libertà. Sono valori dunque di rango costituzionale e riconosciuti a livello internazionale, che non possono essere contenuti o derogati attraverso le clausole inserite in semplici contratti conclusi tra privato, a cui gli utenti aderiscono al momento dell’iscrizione. La recente giurisprudenza di merito ha definito i limiti di tale potere sanzionatorio esercitato all’interno delle piattaforme dai gestori dei social. Recenti pronunce emesse nei Tribunali di Merito hanno, infatti, delineato quali criteri devono essere utilizzati per ritenere compatibile il potere sanzionatorio con la cornice Costituzionale e comunitaria. Ovviamente, quando il contenuto pubblicato integra una fattispecie di reato, per esempio una diffamazione, ovvero qualunque altro incitamento all’odio e alla discriminazione, nessuna libertà di espressione può essere ritenuta compressa o lesa dalla rimozione del contenuto o dalla sospensione dell’account. Rimozione e sospensione del tutto lecita e rispettosa del contratto e delle norme Costituzionali.
NO A DISTINZIONI IDEOLOGICHE
In altri casi invece, in particolare quelli di pubblicazioni di argomento politico o ideologico, gli enti gestori delle piattaforme sono stati condannati a risarcire utenti che si erano visti sanzionare con la sospensione momentanea dell’account e la rimozione del post. Contenuti che in questo caso non integravano illeciti di tipo civile o penale, ma che si limitavano a non essere ritenuti in linea con gli standard del Social. In particolare, la Giurisprudenza di merito ha ribadito che l’esercizio del diritto di critica non può trovare alcun limite nelle clausole contenute nei contratti conclusi dagli utenti, ove sia espressa in modo continente e con linguaggio moderato e adeguato al contesto in cui viene esercitata. Anche la manifestazione del proprio pensiero personale non può essere limitata, a meno che non sene abusi esprimendo opinioni discriminatorio e di incitamento all’odio.
RESPONSABILITA’ CIVILI E PENALI
Gli utenti che pubblicano contenuti offensivi o diffamatori, oltre a esporsi alle sanzioni interne previste dai regolamenti dei social, possono essere chiamati a rispondere davanti all’autorità giudiziaria ordinaria. La pubblicazione offensiva infatti, per esempio un insulto personale espresso in un post, essendo accessibile a un numero indeterminato di soggetti, può integrare il reato di diffamazione aggravata ai sensi dell’art 595 comma 3 C.P..
L’autore della pubblicazione si espone, dunque, a una pena detentiva che va dai sei mesi ai tre anni di reclusione o a una multa non inferiore ai 516 euro.
L’aggravante contestata sarà quella dell’uso del mezzo pubblicitario e non quello del “mezzo stampa” come spesso erroneamente si sostiene. Le due citate aggravanti, entrambe delineate al comma 3 dell’art 595 C.P., sono infatti sostanzialmente diverse. La seconda infatti, quella del mezzo della stampa, rende l’editore responsabile in solido con l’autore per i danni civili conseguenti al reato, cosa che non avviene con l’aggravante pubblicitario. In questi casi i gestori della piattaforma rimangono immuni da responsabilità per omessa vigilanza, e l’unico responsabile è l’autore della pubblicazione diffamatoria.
Se il contenuto o messaggio offensivo è invece rivolto a un oggetto determinato e, per le caratteristiche del social utilizzato, non è percepibile poiché ne è inibita l’accessibilità a un numero indeterminato di persone, per esempio nella messaggistica di Whatsapp, l’autore potrà rispondere dell’illecito civile di ingiuria ed essere condannato unicamente al risarcimento del denaro, ma sarà esente da pena detentiva. L’ingiuria è infatti stata recentemente depenalizzata e rimane solamente configurabile l’illecito civile.
In conclusione, visto le implicazioni anche di tipo penale che un uso sconsiderato dei social può comportare, si potrebbe parafrasare una massima latina con monito all’uso sconsiderato dei social:
verba volant, post manent.