Impantanata nel capoluogo della provincia del Brabante (Bruxelles) la norma che voleva celebrare la messa di requiem alle auto con motore endotermico.
Giuseppe Arnò.*
Si tratta del pacchetto «Fit for 55» con cui la Commissione Europea determina per i tutti i Paesi dell’Unione, a partire dal 2035, la deadline della vita dei motori termici a scoppio, a benzina, a diesel, a metano, a GPL e a propulsione ibrida.
IL 7 marzo scorso, l´aver rinviato provvisoriamente il voto sulla fine della produzione delle auto a combustione interna, a partire dal 2035, va letto come una sconfitta morale per la nativa di Ixelles (Ursula von der Leyen), sostenitrice del controverso pacchetto, e come un successo per i critici dello stesso, in primis l’Italia, seguita dalla Germania e poi dalla Bulgaria e dalla Polonia.
«Vento va e barca mena» dice un adagio, ma se rimaniamo sempre ossequenti e incitrulliti di fronte alle insensatezze che emanano dall´’oracolo’ di Bruxelles, che Dio ci protegga!
Analisi costi-benefici, questa sconosciuta.
In appena 12 anni, con l’assillo della transizione ecologica, l’Europa vorrebbe mandare al ferro vecchio i motori endotermici, alias i motori impropriamente detti «a scoppio». Si tratta di insensatezza? Eccome! A questo riguardo noi vedremmo, sempre che non ci sia dell’altro dietro, l’esistenza di un aspetto patologico nella politica visionaria di Bruxelles.
Ci spieghiamo iniziando dal Green Deal europeo. Esso altro non è che un pacchetto di programmi operativi che mirano a indirizzare l’UE sulla via di una transizione verde, col proposito finale di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
“La transizione verso la neutralità climatica offrirà opportunità significative, ad esempio un potenziale di crescita economica, di nuovi modelli di business e mercati, di nuovi posti di lavoro e sviluppo tecnologico”. Queste le conclusioni del Consiglio europeo del 12 dicembre 2019.
L’idea in sé potrebbe essere buona; sulla serietà delle intenzioni… beh, con i venti di mala politica che soffiano a Bruxelles, è tutto da vedere; e infine, per quanto riguarda i tempi di attuazione, allo stato, potremmo definirli più che mai utopici.
“Quando l’uomo tenta di immaginare il Paradiso in terra, il risultato immediato è un molto rispettabile inferno”. È quanto affermava il drammaturgo francese Paul Claudel. E non c’è nulla di più vero! Se infatti, per come programmato, si dovesse abbandonare la produzione dei motori endotermici entro un decennio, altro che nuovi posti di lavoro e crescita economica… Le fiamme dell’inferno di Claudel divamperebbero su tutto il sistema produttivo e occupazionale europeo.
Andiamo sul pratico: solo l’Europa sta agognando al Paradiso in terra (neutralità climatica), a tappe forzate e senza un briciolo di realpolitik. Tutto il resto del mondo fa orecchie da mercante e continuerà tranquillamente a scorrazzare con motori a combustione interna (benzina, diesel et similia) e a utilizzare a più non posso combustibili fossili d’ogni sorta.
Va da sé che questo stato di cose renderà irrilevante il vantaggio ambientale che l’Europa penserebbe di raggiungere con la corsa green. A conferma di quanto detto, citiamo l’annuncio del primo ministro Modi sul raggiungimento della neutralità carbonica dell’India: essa è prevista per l’anno 2070… salvo proroghe. Nientedimeno!
Ma v’è di più: imponendo da qui a pochi anni solo l’uso dell’elettrico, si metterebbero in forse decine e decine di migliaia di posti di lavoro e finiremmo col dipendere totalmente dalla Cina: essa detiene quasi il totale monopolio della produzione delle batterie al litio e dei giacimenti delle terre rare (Rare earth metals), elementi indispensabili nelle moderne industrie automobilistiche e high-tech. Infine, sussiste pur sempre per le tanto invocate auto elettriche il problema ad oggi non risolto dell’inquinamento, dovuto principalmente allo smaltimento delle batterie.
Dopo quanto anzi esposto, mettendo sul piatto della bilancia il pro e il contro del passaggio tra un decennio all’elettrico puro, viene fuori un risultato scontato che definiremmo con un apoftegma: «Tanto fumo e poco arrosto».
La tecnologia tedesca la spunta su quella italiana!
Allora? Beh, se è vero che in medio stat virtus, una soluzione equilibrata o quanto meno interlocutoria sarebbe quella di favorire i carburanti sintetici, conosciuti principalmente come e-fuel (abbreviazione per «electrofuel»). Essi costituiscono una valida alternativa vuoi ai carburanti tradizionali, vuoi alla trazione elettrica e non destabilizzerebbero il sistema economico e imprenditoriale dell’Unione. In realtà, con detta opzione, fortemente sostenuta dalla Germania e con buone probabilità di successo, l’industria automobilistica manterrebbe il proprio ciclo produttivo e l’ambiente ci ringrazierebbe.
A sostegno di quanto appena dedotto v’è che i carburanti sintetici offrono: salvaguardia ambientale; elevata densità energetica; facilità di magazzinaggio sia in forma liquida che gassosa; e assenza totale di pregiudizio per la carica energetica nel decorso del tempo. Gli elementi a base dell´e-Fuel sono l’idrogeno (H) e l’anidride carbonica (CO2) ed esso può essere miscelato assieme ai tradizionali carburanti o, addirittura, può prendere completamente il loro posto.
Ora, ad essere obiettivi, è puranco vero che i carburanti sintetici presentano l’inconveniente dei costi di produzione ancora alti, ma la previsione secondo recenti studi è che, investendo nel settore, l´e-fuel potrebbe arrivare sul mercato all’attuale costo della benzina negli USA; circa 3,67 dollari al gallone.
Naturalmente, lo stesso discorso non vale per l’energia tanto cara agli interessi dell’Italia, ovvero il biocarburante, che deriva dai residui organici dell’industria agroalimentare. Detto combustibile, in realtà, è ben lontano dall’emissione zero, obiettivo dell’UE, ma, a dir poco, con l’approvazione dell´e-fuel da parte della Commissione UE, cosa già avvenuta mentre stiamo scrivendo, e col conseguente prolungamento della vita dei motori endotermici oltre la data del 2035, seppure si possa immaginare che il nostro governo non andrà in estasi, la nostra industria motoristica sopravviverà e non tirerà le cuoia!
E per di più si eviterà che la Cina invada completamente il mercato europeo con le auto elettriche low cost, anche se l’invasione, purtroppo, è già in atto per come risulta dalle elaborazioni del think tank tedesco Merics, secondo cui, paradossalmente, non è tanto l’industria cinese ad alimentare le esportazioni verso l’Europa, quanto le stesse Case europee e americane. Esse, infatti, attraverso le joint venture, hanno investito in Cina nella produzione dell’auto elettrica a basso costo per poi rivenderla in Occidente con buon margine di lucro.
Tuttavia, e ci preme sottolinearlo, in tutta questa deplorevole babilonia di delocalizzazioni e di interessi incrociati, che alla fine nulla hanno a che vedere con la salvaguardia dell’ambiente, i non poco furbi cinesi mantengono l’esclusiva della produzione delle batterie: senza di esse i motori non funzionano… come accade, tout court, per gli orologi con movimento al quarzo!
Ciò nonostante, l’Italia sta già facendo più che bene la sua parte: oltre alle varie restrizioni già in atto contro l’inquinamento e ai programmi di sviluppo delle energie rinnovabili, essa rispetta più che mai l’ambiente. Tra i tanti esempi: le trivellazioni in Adriatico rimangono ferme (potremmo soddisfare la metà della domanda interna e, perché no, diventare una nazione produttrice di energia); il giacimento di titanio più grande del mondo nel massiccio di Voltri resta inesplorato per rispettare il sito o meglio il Parco Naturale del Beigua e la biodiversità che lo contraddistingue; il blocco ai veicoli fino ad Euro 4 è già in atto; e così via.
Ora, però, che noi si debba vivere da astemi e a digiuno mentre gli altri si ubriacano e gozzovigliano come i Proci non avrebbe senso alcuno e non gioverebbe alla nostra salute economica.
Ciò posto, noi ci dichiariamo certamente a favore della transizione energetica in generale e degli obiettivi che si prefiggono il raggiungimento della neutralità climatica, ma, sia chiaro, entro tempi ragionevoli e compatibilmente con l’operato degli altri attori, che con differenti pesi e mansioni calcano la scena politica ed economica di questo mondo diverso e condiviso. E oltre a ciò, sempre mantenendo una visione pragmatica, ovvero privilegiando la pratica e la concretezza rispetto alla teoria, agli schemi immaginari e ai principi ideali.
Ma perbacco, tornando a bomba, non si comprende come faccia l’Europa a sonnecchiare indolentemente di fronte alla reale possibilità di percorrere strade, temporaneamente alternative, che permettano lo sviluppo di una mobilità più smart e sostenibile, per poi, solo a tempo debito e senza precipitazione, passare all’elettrico, ma quello nostrano, tanto per intenderci.
Sarà che le campane della Basilica del Sacro Cuore di Bruxelles (la quinta chiesa più grande del mondo) riusciranno a svegliare i ‘saggi’ dormienti della Commissione Europea o costoro si sveglieranno tra due secoli come accadde, secondo la leggenda cristiana, ai sette fanciulli di Efeso?
Che dire? Se neanche il suono delle campane funzionerà, ahinoi, coi tempi che corrono «Qui gatta ci cova…!»
*direttore La Gazzetta italo brasiliana