Articolo tratto da periodico “La Notizia – Londra”(*)
XIX N° 2 Marzo – Aprile 2023
La Redazione
Ricordate la bellissima, maestosa, immensa dimora di campagna usata come set per la serie “Dowton Abbey”? È una delle ultime vittime della Brexit. La dimora si chiama Highclere Castle, si trova nell’Hampshire e la sia padrona – Lady Fiona Carnarvon – ha cercato di sfruttarne la celebrità televisiva planetaria organizzando con successo banchetti nuziali e tè pomeridiani pagati fior di sterline ma nelle settimane scorse ha gettato la spugna: colpa della Brexit, che ha interrotto i flussi lavorativi dai Paesi Ue. La nobildonna non trova piu’ personale adeguato. “La Brexit – ha spiegato – ha messo in crisi l’industria del matrimonio a Highclere. Si sa che la Brexit ha provocato carenze in tutto il business dell’ospitalità. Non possiamo trovare abbastanza staff per gli eventi di qualità che vogliamo”. In effetti dopo la pandemia che ha fatto di ogni erba un fascio si incomincia a intravedere in modo sempre più nitido e chiaro che la Brexit – in vigore a tutti gli effetti dal primo gennaio 2021 – fa danni, solo danni. È fortemente diminuito l’interscambio con i Paesi Ue senza che la chimerica “Global Britain” dei Brexiters trovasse in Africa, America e Oceania partner commerciali in grado di sostituirli. Sono diminuiti gli investimenti dall’estero. In un recente rapporto un alto diriente della Banca d’Inghilterra ha calcolato che la Brexit ha già rappresentato una perdita secca di mille sterline per ogni famiglia del Regno Unito tenendo conto del peggioramento di quasi tutti i fattori economico-finanziari. E siamo soltanto all’inizio. Nessuno ne parla più, neppure per rinfacciarlo all’ex-premier Boris Johnson che ci ha marciato alla grande, ma dove è finito il tesoretto didi 350ilioni di sterline alla settimana che la Gran Bretagna avrebbe risparmiato andandosene dall’Ue e che sarebbero serviti per salvaguardare e potenziare l’NHS? Non parliamo poi del fatto che la Brexit ha avviato un processo potenzialmente disgregatorio del Regno Unito che potrebbe sfociare con la secessione di Scozia e Irlanda del nord. E non dimentichiamoci del grave danno reputazionale sofferto quando il disinvolto premier Boris Johnson minacciava di denunciare unilateralmente una parte del trattato internazionale con Bruxelles sull’uscita dall’Ue nella par te riguardante i commerci con l’Irlanda del nord. Minacciava di denunciare un trattato dopo averlo strombazzato a lungo come magistrale…. In risposta alla pioggia di notizie negative i brexiters vantano il fatto che grazie alla fuoriuscita dall’Unione europea la Gran Bretagna ha potuto avviare in totale autonomia il programma di vaccinazione anti-covid e l’invio di armi all’Ucraina invasa dalla Russia ma si tratta di falsi storici: il governo di Londra avrebbe potuto fare lo stesso le due cose anche se legata al carro di Bruxelles. Quelle fino ad ora enunciate potrebbero essere liquidate come le solite tiritere dei “Remainer” sconfitti al referendum del 2016 ma c’è un fatto grande come una casa che non andrebbe ignorato: vincitori a sorpresa del referendum, i brexiters sono adesso minoranza in tutto il Paese, Inghilterra inclusa. Lo dicono papale papale gli ultimi sondaggi: secondo uno di questi il 56% dei sudditi di re Carlo pensa che la Brexit sia stata un errore e soltanto il 32% è tuttora convinto che il divorzio sia stato un bene. Altri sondaggi fissano ad un minimo di 12 pun[1]ti percentuali lo scarto attuale a favore dei “Remainers”. Dal 2017 in poi non c’è più stata nel Paese una consistente maggioranza pro-Brexit. Malgrado questa realtà e alla faccia di chi si ostina a considerare gli inglesi un popolo di pragmatici i due principali partiti politici sembrano non volersi accor[1]gere del clima radicalmente mutato e preferiscono non mettere in discussione il divorzio da Bruxelles benché’ la crisi della globalizzazione – ben evidenziata dai dissidi tra Cina e Stati Uniti e dalla guerra in Ucraina – abbia infranto del tutto il libro dei sogni dei Brexiters. Dopo le mattane dei suoi due predecessori, Johnson e Lizz Truss, il premier Rishi Sunak – ben capendo l’importanza dell’Europa per il futuro del Regno (dis) Unito – ha cercato il disgelo con Bruxelles siglando lo scorso 27 febbraio un accordo su nuove regole post-Brexit per i flussi commerciali verso l’Irlanda del Nord ma è solo un piccolo passo e la strategia d’insieme non è chiara. Il Labour Party non è meno cauto e ha senz’altro grosse colpe, incominciando dal fatto che al referendum del 2016 l’allora leader Jeremy Corbyn era apparso troppo tiepido nel difendere l’adesione all’Ue. Anche a sinistra sono finora prevalse le logiche della convenienza di partito perché nel nord d’Inghilterra parte degli elettori laburisti erano e ancora sono a favore della Brexit. Sta di fatto che la Gran Bretagna, fino a pochi anni fa l’economia più vibrante del Vecchio Continente e invidiata “Cool Britannia”, è diventata di nuovo “il grande malato d’Europa” come era negli Anni Settanta del secolo scorso e zoppica sempre più, al punto da essere l’unico Paese del G7 (il gruppo con Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Canada e Italia) a rischio recessione nel corso di questo difficile 2023.