La Corte costituzionale traccia la linea da seguire per recuperare il ritardo accumulato
Articolo tratto dalla rivista ufficiale dell’Associazione Nazionale Polizia di Stato Fiamme d’Oro.
Anno XLIX n.1 gennaio – marzo 2022.
di Giulia Fioravanti, avvocato
Nel nostro ordinamento giuridico, il concetto di responsabilità penale trova fondamento nel principio dell’imputabilità, secondo cui un soggetto che ha commesso un reato viene sottoposto a pena solo se al momento di commettere il fatto era pienamente capace di intendere e volere. Al contrario, in tutte quelle ipotesi in cui ha commesso il fatto poiché determinato da un quadro patologico tanto grave da escluderne la capacità di autodeterminarsi, quel soggetto verrà assolto.
UNA DOVEROSA DISTINZIONE
A salvaguardia della sicurezza pubblica nel caso in cui quel reo, non imputabile al momento del fatto, sia ritenuto comunque pericoloso socialmente, potrà essere applicata una misura di sicurezza idonea e proporzionata a contenere quella pericolosità. Le acquisizioni della recente scienza psichiatrica, fatte proprie negli anni dal Legislatore, consentono di ritenere ormai superata la correlazione automatica, una volta condivisa, tra malattia mentale e pericolosità. In effetti, non ogni malato di mente è di per sé pericoloso socialmente, e l’accertamento in concreto di detta pericolosità è raggiunto unicamente in via giudiziale, attraverso un’indagine fondata su valutazioni e competenze sia medico legali che giuridiche.
LE MISURE RESTRITTIVE
Esistono nell’Ordinamento. una gamma di misure di sicurezza, il cui grado di incidenza sulla libertà del soggetto a cui sono applicate varia in relazione al grado di pericolosità sociale accertata in giudizio. La misura di sicurezza più restrittiva, applicata ai soggetti più pericolosi, è attualmente la Rems, acronimo che sta per Residenze esecuzione misure di sicurezza. Tali strutture costituiscono l’ultimo approdo della lenta evoluzione delle discipline psichiatriche e giuridiche in tema di trattamento del reo affetto da patologie psichiatriche, il cosiddetto “Reo Folle”. Storicamente la prima misura di sicurezza delineata nel Codice Rocco, sopravvissuta fino agli ultimi anni del secolo scorso, era rappresentata dal Manicomio giudiziario. Strutture quest’ultime prevalentemente custodiali e basate sul concetto, allora dominate, della equivalenza tra patologia mentale e pericolosità. Concetto su cui erano basati anche i vecchi manicomi civili, che erano luoghi in cui i malati di mente venivano rinchiusi e unicamente contenuti. Tali strutture si risolvevano in vere e proprie “discariche umane”, come conseguenza della convinzione allora diffusa della irrecuperabilità e della “naturale” pericolosità del malato di mente.
GLI OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI
Negli anni ’70 del Novecento, nel contesto della stagione riformatrice dell’Ordinamento Penitenziario (Legge Gozzini), e in conseguenza delle nuove e più illuminate acquisizioni della scienza psichiatrica in materia di trattamento delle patologie mentali, i vecchi manicomi giudiziari sono stati sostituiti con la creazione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. In tali nuove strutture le finalità terapeutiche erano, finalmente, ritenute prevalenti rispetto al precedente carattere custodiale. Tuttavia, tali buone intenzioni si scontravano e venivano vanificate dalla gestione degli Ospedali giudiziari, che rimaneva affidata alla sola Amministrazione Penitenziaria. Amministrazione che, per caratteristiche proprie, risultava ontologicamente inidonea a concretizzare la nobile finalità perseguita dal Legislatore, tesa finalmente a valorizzare gli aspetti terapeutici. Gli edifici rimanevano quasi sempre quelli dei vecchi manicomi giudiziari, e quegli ospedali si riducevano, di fatto, a vere e proprie carceri speciali per malati di mente. Negli stessi anni, nella società civile si era giunti al superamento dei manicomi civili, sostituiti con strutture e sistemi di trattamento calibrati secondo le nuove acquisizioni della psichiatria. Nei primi anni di questo secolo, si arriva così alla Legge n. 81 del 2014 che, nelle ottimistiche intenzioni del Legislatore, avrebbe dovuto superare tutte le arretratezze culturali e strutturali che ancora caratterizzavano il trattamento e I ‘esecuzione penale degli infermi e semi infermi di mente.
LE RESIDENZE ESECUZIONE MISURE Dl SICUREZZA
Vengono quindi chiusi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e vengono istituite le Residenze esecuzione misure di sicurezza. I medici dei Centri di Salute Mentale sostituiscono il personale dell’amministrazione penitenziaria. La competenza del personale sanitario e la ridotta dimensione delle strutture, che si prevedeva dovessero essere numerose e distribuite sul territorio nazionale, doveva finalmente far prevalere la finalità terapeutica e di recupero. La meritoria e illuminata intenzione del Legislatore cozza, purtroppo e ancora una volta, con le difficoltà di concreta applicazione della citata Legge. Le nuove strutture, certamente efficaci dal punto di vista terapeutico, risultano ancora numericamente insufficienti rispetto all’attuale fabbisogno. Sono infatti numerosissimi gli infermi di mente che permangono ristretti all’interno delle carceri italiane, in attesa di essere collocati in dette strutture. Si tratta quindi di una forma di detenzione, applicata a soggetti che sebbene assolti dai Tribunali, restano ristretti in carcere a causa della necessità di attendere che si liberi un posto alla Rems. Tempi di attesa determinati dal numero insufficiente di posti disponibili, come conseguenza della esiguità delle risorse, conseguente al generale ridimensionamento dei fondi destinati alla Sanità Pubblica. Contestualmente, negli ultimi anni, si è assistito ad un drammatico aumento delle patologie psichiatriche, acuito dal diffuso e frequente abuso di sostanze stupefacenti e alcol.
UNA SITUAZIONE A RISCHIO
Molti dei ristretti in carcere, che per mesi attendono l’assegnazione alle Rems, sono infatti giovani poco più che adolescenti, il cui abuso di sostanze ha danneggiato il sistema nervoso generando gravi disturbi nel comportamento. Tale concreta situazione rischia di vanificare il prezioso apporto, allo stato solo potenziale, che potrebbe essere fornito dalle nuove strutture concepite nella riforma. Strutture senza dubbio all’avanguardia dal punto di vista scientifico e dunque in grado, se istituite in numero sufficiente, di dare adeguata risposta alle attuali esigenze. I ritardi nella assegnazione alle Strutture Rems, con la conseguente prosecuzione della detenzione degli infermi di mente (prosecuzione che può durare anche mesi), espone inoltre lo Stato italiano a sanzioni e a condanne per risarcimento del danno provocato. Sentenze emesse dalle autorità nazionali e internazionali, adite dai soggetti che hanno patito periodi di carcerazioni dovuti esclusivamente ai lunghi tempi di attesa. Condanne che deviano inevitabilmente preziose risorse economiche dalle già ridotte disponibilità della Pubblica Amministrazione.
LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Recentemente, la Corte Costituzionale è intervenuta in materia di Rems con una sentenza (27 gennaio 2022 n. 22), nella quale ha indicato al legislatore italiano la strada per rendere il quadro legislativo compatibile con i principi espressi nella Corte Costituzionale. Nella sentenza, la Corte invita il Governo e il Parlamento a provvedere alla unificazione della disciplina, ritenuta come troppo frammentata, alla istituzione di un numero di Rems adeguato a fronteggiare la reale domanda, e ha invocato un maggior coinvolgimento in fase di coordinamento con le Regioni e gli altri enti coinvolti del Ministero di Grazia e Giustizia. L’augurio è che lo stimolo fornito dalla Corte Costituzionale in materia di Rems possa sensibilizzare il Governo e il Parlamento a dotare, finalmente, l’Amministrazione Pubblica di strutture e mezzi adeguati e utili a dare concreta attuazione a quanto contenuto, purtroppo solo in astratto, nelle vigenti disposizioni di Legge.