di Francesca Lippi
Si salvi chi può!– verrebbe da urlare a squarciagola in questi giorni in cui la pandemia da Covid-19 con la sua variante Omicron mette a dura prova tutti noi. Nel nostro Paese, ieri 30 dicembre, si sono avuti circa 127mila contagi con il tasso di positività che è salito all’11%, tra i contagiati risultano anche molti bambini, poiché il virus in versione modificata attacca i non vaccinati e quindi soprattutto la fascia di età che va dai 6 agli 11 anni. Gli ospedali sono presi d’assalto e le terapie intensive tornano ad essere nuovamente intasate, perché ormai occupate al 13%, ben oltre la soglia del 10% disponibile. Si continua a morire in modo esponenziale, le vittime ieri sono state 156, 20 in più rispetto al giorno prima. La paura è tornata più forte a sconvolgere gli animi. La fine del lockdown con le graduali riaperture delle attività scolastiche, di ristoro, sportive e di spettacolo che avevano offerto a tutti noi un po’ di ossigeno, è proprio il caso di dirlo, forse potrebbero sparire e a breve potremmo piombare nuovamente nello smartworking, nelle DAD e peggio ancora nell’isolamento totale, chiusi nelle nostre abitazioni. Ovviamente ci auguriamo di no. E non abbiamo alcuna intenzione di fomentare una psicosi che, purtoppo, esiste già.
Vogliamo salutare questo 2021 con la speranza, perché ancora non è andato tutto bene, la rinascita non c’è stata, ma possiamo sperare in una ripresa, almeno parziale di una vita pseudo normale, anche se il nuovo decreto legge ripropone, già dal nuovo anno, mascherine all’aperto e nuovi diktat, come il super Green Pass per fronteggiare l’avanzata di Omicron ed una evidente emergenza. Del resto cosa potremmo fare, se non proteggerci per evitare di ammalarci ? Non disquisiamo in questo articolo di cosa dovrebbero attuare i governi per far stare meglio tutti, non abbiamo conoscenze mediche tali per poter affrontare tale argomentazioni e non siamo politici, ma chiunque, anche un ragazzino di 10 anni non avrebbe difficoltà a capire una cosa fondamentale: se non vacciniamo tutti gli abitanti della terra, visto che è in atto una pandemia, compresi quelli che abitano nei paesi più poveri, già investiti da guerre, carestie, epidemie di altra natura e fenomeni naturali disastrosi, non ne usciremo fuori. Da questa pandemia, ovviamente. Occorreranno anni, almeno una decina, perché il Covid-Sars 2 venga vissuto come una banale influenza e non lo diciamo noi, ma insigni scienziati.
Quindi? La risposta è semplice, quasi banale e arriva dall’Africa sub Sahariana, in specifico dalla repubblica Sudafricana di cui è il principio fondamentale e si chiama: “Ubuntu”. Il termine è un’espressione in lingua bantu che può essere tradotto in questo modo: “Io sono perché noi siamo, oppure Io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti o ancora Umanità verso gli altri.” Ubuntu, quindi, è senso della comunità, rispetto e benevolenza verso il prossimo. Non serve essere cattolici, ortodossi, musulmani, buddisti o atei per capire questo concetto perché, come già detto, è un pensiero così semplice che lo capiscono anche i più piccoli. Allora cosa aspettiamo? Ad aiutarci reciprocamente, a sostenerci e a prendere coscienza dei nostri doveri in una visione più ampia che non navighi a vista, ma segua una rotta ben precisa quella che porta alla salvezza dell’umanità intera? I vaccini costano, i paesi poveri non riescono a coprire la spesa, spetterebbe all’Occidente pagare per far vaccinare tutti, ma a due anni dall’inizio della pandemia questo non è ancora avvenuto. Chi è credente prega, chi non lo è forse impreca, ma il risultato non cambia. Forse la condivisione potrebbe rappresentare la soluzione più semplice, oltre le etichette, i credi, i partiti, i poteri più o meno occulti, gli interessi economico-finanziari delle lobby e delle multinazionali del farmaco, forse ognuno di noi dovrebbe far proprio il termine Ubuntu e provare a metterlo in pratica cominciando dalle piccole cose del quotidiano: l’aiuto al vicino in quarantena, ad esempio, e non l’esclusione dalla propria sfera emotiva. Ubuntu è empatia verso l’altro. Ove troviamo il denaro, la smania di potere, l’ambizione sfrenata a governare le menti e i cuori dei leaders e di conseguenza dei popoli, Ubuntu resterà un suono inarticolato e non potrà essere realizzato. Nel 2022, che speriamo sia comunque migliore dell’anno che sta per lasciarci, auguriamo a tutti di vivere: “Ubuntu”.