di Giuseppe Lalli
Accingendomi a scrivere queste note in ricordo di Mario Massimi, scomparso il 9 settembre alle ore 8 del mattino al termine di una lunga malattia che ha finito per avere la meglio sulla sua forte fibra di alpino, devo vincere ad ogni riga un forte impulso alla commozione. Mario Massimi era da sempre per me “zio Mario”, membro di quella famiglia allargata di un ramo dei Giacobbe, quello proveniente da “I Ciccioni” (cosiddetti dal capostipite Francesco, da cui “Ciccio”), con casa vicino alla piazza, sopra l’arco di Porta del Rio: una casa antica, una dimora patriarcale, dove ci si scaldava al fuoco del camino e alla memoria degli avi, quella casa che egli aveva ristrutturato e nella quale io ero nato e vissuto nei miei primi dieci anni. Sua madre, zia Olimpia, alla quale molto rassomigliava nel carattere forte e nell’intelligenza pronta, era una sorella minore della mia cara nonna Gioconda.
Avendo lui scelto di fare la carriera militare, si era trasferito in un’altra parte dell’Italia: la sua scelta di vita lo aveva portato prima all’accademia di Modena, poi a quella di Torino; ed infine in Friuli, dove ha trascorso gran parte della sua vita. I miei nonni ne parlavano quasi come di un figlio e ricordo che lui, quando da giovane tornava per qualche giorno in licenza, sempre veniva a far loro visita, munito di un bel “boccione” di vino rosso sottratto alla bottega di famiglia da offrire a mio nonno Battista, che molto apprezzava questo genere di regali e che sempre, tra un bicchiere e l’altro, si informava sul grado militare che aveva raggiunto rispetto all’ultima volta che si erano visti. Portò a far conoscere ai miei nonni anche una giovane e bella ragazza friulana di nome Marina, la sua futura consorte, dalla quale ha avuto un figlio, Giuseppe.
Al termine della sua carriera, svoltasi quasi tutta nel Friuli, ad eccezione di un paio d’anni passati in Alto Adige, e dopo aver ricoperto l’incarico di Comandante del Distretto Militare di Chieti, era tornato ad Assergi. Nell’incontrarlo un giorno nei pressi di quella casa dei Giacobbe che aveva avuto in eredità, in quel vicinato dove egli non mancava, generoso e disponibile, di fare frequenti visite a mia madre, sua cugina “carnale”, come soleva dirsi nei nostri villaggi, mi pareva di non averlo mai perso di vista.
Aveva ripreso per passione l’attività di agricoltore, quella del papà Giuseppe (zì Peppe), e aveva trovato anche il tempo di occuparsi di politica – se così si poteva chiamare – locale, ricoprendo per qualche tempo la carica di Presidente del Consiglio di Circoscrizione di Camarda, ruolo che assolse con spirito di servizio e non senza un piglio decisionista, dovendo però forse constatare che una cosa è la vita militare, improntata a disciplina e finalizzata all’interesse generale, altro è la politica anche nella dimensione locale, mossa spesso dall’interesse immediato e inficiata dalla logica del consenso.
A testimonianza della sua forza di volontà, raccontava che, dovendo superare, per essere ammesso a frequentare l’accademia militare di Modena, un difficile esame di matematica, materia nella quale peraltro, benché avesse frequentato con profitto il liceo classico, si sentiva portato, andò a ripetizione all’Aquila dal professor Villante e, dietro suo suggerimento, si esercitò con impegno e pazienza certosina a risolvere tutti gli esercizi di un voluminoso “mattone” di analisi matematica, “cosicché – come egli stesso concludeva con quel suo sorrisetto intelligente – non potevo non superare la prova, dal momento che gli esercizi assegnatimi nell’esame non potevano essere diversi da quelli sui quali mi ero diligentemente preparato”.
Ogni volta che, parlando con militari di carriera conosciuti occasionalmente, ho detto di essere parente di Mario Massimi, col quale ho una certa rassomiglianza nel viso, ho dovuto registrare attestati di stima. Mi piace, a questo riguardo, cedere la parola al generale in pensione Enrico Costantini, suo antico compagno di accademia a Modena nei primissimi anni ‘60.
“Ho conosciuto l’amico Gen. Mario Massimi giusto 60 anni fa, io allievo ufficiale del primo anno dell’Accademia Militare di Modena (18 mo Corso) e lui Allievo Scelto del secondo anno (17mo Corso), quindi mio “anziano” di Accademia. Si classificò nella parte alta della graduatoria grazie alle sue qualità intellettuali e di carattere. Ci ritrovammo a Torino nel 1963, Ufficiali Allievi della Scuola di Applicazione d’arma e frequentammo insieme il corso di sci al Sestriere per gli ufficiali destinati alle truppe da montagna. Dopo il periodo di comando nel grado di Tenente in una Batteria di artiglieria da montagna, fu trasferito all’Accademia Militare di Modena con l’incarico di Comandante di plotone Allievi Ufficiali (1968). Nel grado di Capitano frequentò il Corso di Stato Maggiore presso la Scuola di Guerra di Civitavecchia. Nonostante si fosse ben classificato, non volle concorrere per frequentare il secondo anno, cioè il Corso Superiore di Stato Maggiore, per motivi di famiglia. Questa scelta (per la famiglia e non per la carriera), certamente meditata e sofferta, influì sul suo futuro sviluppo di carriera, che altrimenti lo avrebbe portato a gradi più alti di quello raggiunto. La sera del 6 maggio 1976 era Capitano d’Ispezione presso la caserma “Goi Pantanali” di Gemona del Friuli. Fu il primo ad organizzare i soccorsi anche alla popolazione civile con gli artiglieri e i genieri superstiti, perché anche la caserma era stata colpita duramente dal sisma. Per questo episodio ebbe un encomio solenne. Dopo il periodo di Comando di Corpo di un Gruppo di Artiglieria da montagna, fu Capo Ufficio nello Stato Maggiore della Brigata Alpina Julia in Udine. Nel grado di Colonnello, tornò nel suo Abruzzo, comandando il Distretto Militare di Chieti. Ufficiale Generale dal carattere forte, e, come noi abruzzesi, allo stesso tempo gentile. Non lo dimenticheremo”. Inoltre, sia quando riceve incarichi nelle unità minori, sia quando assume il comando di una unità rilevante, dimostra di possedere doti organizzative in grado superlativo, come risulta dal suo curriculum militare.
. All’esemplare comportamento tenuto a Gemona in occasione del disastroso terremoto che colpì il Friuli nel 1976, ha accennato anche il generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, in una recente intervista con Bruno Vespa nella trasmissione “Porta a porta”. L’encomio solenne riferito dal generale Enrico Costantini reca la seguente motivazione, che si ricava da un documento fornitomi dal generale Raffaele Suffoletta, che di Mario Massimi era grande amico, dopo essere stato suo allievo quando Massimi era tenente:
“Capitano d’ispezione presente in Caserma Goi-Pantanali al momento del sisma, sedava con prontezza, energia, autocontrollo e capacità organizzativa il panico iniziale, organizzava i primi recuperi dei feriti e dei morti e la prima assistenza ai civili che affluivano terrorizzati in Caserma. Esempio delle migliori virtù militari e civiche”.
Zio Mario mostrava di saper unire capacità analitica con un notevole senso pratico, ciò che di certo ne faceva un eccellente comandante militare.
Il generale Costantini, in riferimento alla circostanza della loro conoscenza, mi ha raccontato un aneddoto assai gustoso, nonché profondamente educativo. Il giovane Mario Massimi, più avanti nel corso di un anno rispetto a Costantini e quindi da considerarsi “anziano”, incontrando il “cappellone” Costantini, con il tono secco e altisonante del comandante provetto, gli chiese:
«Lei di dov’è ?» ;
«Sono dell’Aquila», rispose Costantini ;
«L’Aquila…L’Aquila ?», riprese Massimi ;
«Veramente…di Preturo», ribatté Costantini ;
«Allora – concluse Massimi – dica di Preturo, perché io sono di Assergi».
Era un modo per dirgli che non ci si deve vergognare di essere nati in un piccolo borgo.
Capii allora – dice Costantini – di avere a che fare con un galantuomo, sia pure nella severa veste del superiore. Avevo trovato un amico, che con i suoi consigli mi fu di aiuto per superare le dure prove del corso dell’Accademia». «Mostrava di avere – prosegue il generale – attenzione per il prossimo, ciò che oggi chiamiamo “empatìa”».
L’attaccamento al suo borgo d’origine lo dimostrò anche nel 2015, in occasione del raduno nazionale degli alpini che si tenne all’Aquila, allorché si adoperò affinché il gruppo degli alpini assergesi, ancorché esiguo, facesse bella figura nella grande sfilata che si svolse nelle via cittadine.
Mario Massimi ha saputo affrontare la non breve malattia con pazienza e forza d’animo, lucido fino alla fine.
Infine, ha scelto che le sue spoglie mortali riposassero a Gorizia, città natale della sua amata moglie Marina, in quel sofferto lembo della nostra patria nel quale era vissuto per lunghi anni e che aveva imparato ad amare.
Riposa in pace, caro zio Mario, e grazie per il bell’esempio che ci hai dato: valori come Dio, Patria, Famiglia non sono soggetti a scadenza, nonostante il clamore assordante della voce dei tanti profeti del Nulla che ci circondano.