di Giuseppe Arnò *
Editoriale Giugno 2021
Dedico questo breve saggio alla memoria di mio fratello Gianni, amico per la vita e fedele compagno di studi e di viaggi.
DURA LEX, SED LEX, ossia la legge è legge ed è superiore alle ragioni del singolo. L’espressione latina, che tradotta letteralmente significa “La legge è dura, ma è legge”, viene attribuita a Socrate e alla filosofia scolastica. In sostanza, la massima rappresenta un’esortazione a rispettare la legge, anche quando quest’ultima sembra scomoda o insopportabilmente rigorosa. Fa anche senso ricondurre il brocardo (secondo una certa corrente) al periodo in cui si stavano compilando le prime leggi scritte a Roma. Le leggi orali erano facilmente manipolabili da parte dei giudici, che detenevano il potere di tramandarle e applicarle, per cui, una volta iniziato il processo di scriverle e codificarle, l’interpretazione della massima si sarebbe potuta intendere in questo tenore: è una dura legge, ma scritta, duratura epperciò sempre uguale per tutti.
Le prime leggi scritte a Roma risalgono all’anno 451 a.C.; furono i decenviri (10 magistrati appositamente designati) a scrivere le 12 tavole. Esse rappresentano una tra le prime codificazioni scritte del diritto romano. In Grecia, invece, si conobbe la legislazione scritta attorno al VI e V secolo a.C. e non appare inverosimile la circostanza che Ermodoro di Efeso, discendente del filosofo Eraclito, abbia avuto contatti col mondo romano e che detti contatti, in aggiunta alle rivendicazioni della plebe, abbiano determinato la decisione di mettere per iscritto i principi del diritto, assicurandone così la certezza per tutti.
Da locrese e da cultore del diritto mi sento direttamente interessato alle origini delle prime leggi scritte e, di conseguenza, mi corre l’obbligo di ricordare che Zaleuco a Locri e Dracone ad Atene furono i più antichi legislatori d’occidente, i primi a dare un corpo di leggi scritte alle loro città, tramutando in certezza l’applicazione delle norme consuetudinarie tramandate fino a quel momento dai giudici spesso in forma arbitraria. Ecco che la prima legislazione cittadina a Locri Epizefiri venne promulgata proprio nel VII secolo a.C., conformemente a quanto sostenuto da Eusebio, Demostene e Polibio.
Ebbene, io mi sono formato nel territorio che una volta fu Locri Epizefiri (in greco Λοκροὶ Επιζεφύριοι, Lokroi Epizephyrioi) tra storia e leggende che tramandano le vicende dei primordi del diritto greco-romano, tra gli ulivi che circondano gli scavi archeologici dell’antica Locri, meta di istruttive gite scolastiche e nelle aule del liceo classico Ivo Oliveti. All’epoca esso era l’unico liceo classico nella Locride, diretto da un preside d’eccezione, il Dott. Umberto Sorace Maresca, e dotato di un corpo di docenti di chiara fama. Tra questi ricordo ancor oggi con ammirazione Nicola Ieraci Bio (prof. di latino e greco), tanto per citare un’eccellenza, la cui figlia Rosalba, mia compagna di liceo nonché, culturalmente parlando, degna figlia del padre, ritrovata dopo tantissimi anni e da me scherzosamente chiamata Calliope, ha spesso ispirato i miei scritti più interessanti a sfondo socio-politico.
Che tempi!
Si dice che i migliori maestri siano quelli che indicano dove guardare, ma non dicono cosa vedere. Ebbene, questi erano i miei insegnanti al liceo: maestri di scuola e di vita! Gli anni degli studi liceali e universitari sono stati i più belli che io ricordi. In quei tempi ho appreso la realtà propria e immutabile delle cose e a forgiare la coscienza che mi ha reso quello che sono oggi.
Avevo il pallino dei viaggi, epperciò volevo intraprendere la carriera di commissario di bordo sulle navi transatlantiche; all’epoca non esistevano ancora quelle da crociera, ma mio padre era rigido e irremovibile: “Hai una cultura classica, devi fare l’avvocato, ti ci vedo nel ruolo”. Ipse dixit e così fu. Mi laureai e all’età di 24 anni ero già procuratore legale, praticante presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Simonetti, titolare di uno tra i più rinomati studi legali penali del territorio: Simonetti a Locri e Gullo a Cosenza, con il dovuto rispetto per tutti gli altri valenti professionisti, erano, a mio modesto giudizio e probabilmente non solo, i migliori penalisti calabresi e andavano per la maggiore anche in campo nazionale. Io da giovane procuratore li vedevo, sotto certi aspetti, come Ferri e Carnelutti del nostro Sud e ne andavo orgoglioso!
Su incarico del ministro Guardasigilli dell’epoca l´avv. Simonetti era stato prescelto, assieme ad altri pochi penalisti di spicco, a redigere i lavori preparatori alla riforma del nuovo codice di procedura penale ed è lì che mi sono fatto, assieme al mio compianto e mai dimenticato fratello Gianni, le ossa in quella che sarebbe stata la mia futura professione. Ah, dimenticavo: tra un tirocinio e l’altro, sono però riuscito a togliermi lo sfizio dei viaggi imbarcandomi come commissario di bordo sul transatlantico Guglielmo Marconi (Genova – Sidney).
Chiusa la parentesi “marinara”, ho svolto la professione forense da avvocato e poi cassazionista tra Monza, Milano, Gorizia, Trieste, Padova, Venezia, Roma e Dio solo sa, nel corso di quasi tre decenni, dov´altro il patrocinio penale mi ha portato. “Che cosa resta” (Que reste-t-il de nos amours) recita una bella canzone di Charles Trenet, interpretata anche dall’indimenticabile Franco Battiato. Ebbene, di quel periodo conservo oltre i ricordi, i vecchi codici, la toga e l’orgoglio d’aver esercitato la professione sempre con dignità, probità e decoro.
Il giornalismo ha occupato la seconda parte della mia vita, quella trascorsa tra Italia e Brasile, periodo in cui ho conosciuto persone meravigliose, eccezionali e tra queste primeggiano Eduardo Souza (magistrato), Venceslao Soligo e Goffredo Palmerini (scrittori – giornalisti), Maurizio Cirillo, Paolo Trotta e Bruno Giuseppe Moretto (manager), le cui amicizie mi hanno arricchito spiritualmente e umanamente come raramente avviene. Ma questa è un’altra storia.
Perdiana, chiedo venia, sto divagando troppo, sto descrivendo la mia biografia! In realtà, tutto questo preambolo sarebbe dovuto servire ad introdurre una breve disamina sul motto “Dura lex, sed lex”. Torniamo al punto, dunque. Incominciamo col dire che, secondo l’art. 3 della Costituzione, la legge è uguale per tutti. Ma sarà vero? Non tutti siamo uguali di fronte alla legge e, vogliate credere, non è una provocazione!
Le suggestioni, le passioni, le debolezze, l’errore umano, nonché la mutabilità della norma in sé e della sua legittimità giocano un ruolo non trascurabile e intelligibile nell’applicazione della legge.
La norma, emanata in astratto, viene interpretata dal magistrato e va applicata al caso concreto. L’interpretazione in sé della norma rende la legge non uguale per tutti (Ecco il giudicio uman come spesso erra – Lodovico Ariosto, Orlando furioso I, ottava 7).
L’indipendenza della magistratura, infatti, fa sì che una stessa fattispecie venga giudicata differentemente nei luoghi deputati a rendere giustizia: i tribunali, Cassazione inclusa. E per ciò esistono le sezioni unite della S.C. che giudicano univocamente, alla bisogna, le fattispecie oggetto di giudizi contrastanti persino da parte di differenti sezioni della stessa. Ma v’è di più, è possibile che abbia efficacia, se adeguatamente motivata, una nuova decisione di un tribunale ancorché contrastante col consolidato orientamento della Suprema Corte.
L’uguaglianza di fronte alla legge è quindi formale e non sostanziale: basta, d’altro canto, pensare che chi può permettersi il patrocinio dei migliori avvocati ha maggiore probabilità di successo di chi non può permettersene neanche uno. La legge, per molteplici motivi, non è uguale per tutti: la norma giuridica cambia o la relativa fattispecie viene interpretata, a seconda delle circostanze di luogo e di tempo, differentemente.
E succede di frequente, come nel caso di una sanatoria che favorisce di più determinate persone e di meno altre o come nel caso dei recenti processi contro l’ex ministro Salvini per la “politica dei porti chiusi”. Per il medesimo fatto la Procura di Catania ha proposto la richiesta di archiviazione del procedimento, mentre quella di Palermo il rinvio a giudizio.
Molto a proposito di quest’ultima fattispecie lo scrittore Stanislaw Jerzy Lec affermava: “Siamo tutti uguali davanti alla legge, ma non davanti agli incaricati di applicarla.” Certo che si potrebbe pensare ad un OIV (Organismo Indipendente di Valutazione), come esiste nell´ amministrazione pubblica, che possa “controllare” casi del genere, ma ahinoi, di riforma della Giustizia si parla da tanti anni… solo si parla. Si direbbe che, sotto certi aspetti, si parli sin dall’antichità, tant’è che il poeta satirico nonché avvocato Giovenale nel primo secolo dopo Cristo si interrogava: “quis custodiet custodes” chi guarda i guardiani?”.
E gli errori giudiziari poi, ovverosia l’ingiustizia determinata da una condanna errata? Anch’essi confermano la regola: la legge non è sempre uguale per tutti!
“È meglio rischiare di salvare un colpevole piuttosto che condannare un innocente”, sosteneva Voltaire, e chissammai, rifacendoci alle parole di Calamandrei, che non si riesca a far spostare nei tribunali il Crocefisso dalle spalle dei giudici in faccia a loro: …“ben visibile nella parete di fronte perché lo considerassero con umiltà mentre giudicano, e non dimenticassero mai che incombe su di loro il terribile pericolo di condannare un innocente”.
A completamento del discorso troviamo utile osservare che nel nostro Paese esiste, oltre a quanto sopra esposto, il problema, non di poco conto, della mancanza di fiducia nella Giustizia da parte della popolazione (da recenti sondaggi solo un italiano su tre dichiara di aver fiducia nella magistratura). Il recente caso “Palamara” e il conseguente scandalo che ha coinvolto il CSM hanno portato la fiducia degli italiani nei giudici ai minimi storici.
Un dato è certo: il sistema-giustizia, così com’è, non funziona e in alcuni casi sorge il dubbio, per usare una circonlocuzione, che la giustizia sia orientata e politicizzata. Una vecchia massima, ispirata a George Orwell, solleva ripetere che “tutti gli uomini sono uguali dinanzi alla legge, ma alcuni uomini sono più uguali di altri…”.
Ciò stante, non possiamo infine non ritenere che, per una giustizia imparziale ed egualitaria, che assicuri alla politica la facoltà di prendere libere decisioni e al cittadino la tutela dei propri diritti con certezza e in tempi ragionevoli, si renda necessaria, oggi più che mai, una profonda riforma della stessa e soprattutto dell’attuale sistema giudiziario che l´amministra!
Se, per caso, un giorno ciò avverrà, la Giustizia potrà recuperare i suoi propri consensi e quel monito che campeggia nelle aule giudiziarie “La legge è uguale per tutti” il senso perduto.
*Direttore ed editore La Gazzetta italo brasiliana – http://rivistalagazzettaonline.info/