Nuovo ordine mondiale: fantaeconomia o fantarealtà?
di Giuseppe Arnò *
RIO DE JANEIRO – “Per i miracoli ci stiamo attrezzando”. Dovrebbe essere questa la dichiarazione del presidente Draghi nella prossima conferenza stampa. Una parte della popolazione, la più mugugnona, avrebbe preteso che con l’avvento del nuovo governo, come d’incanto, tutti gli errori da matita blu del governo Conte e non solo fossero corretti dall’oggi all’indomani.
Signori, è Draghi mica Mandrake! Le priorità di oggi sono il virus da debellare e l’economia da resuscitare. Burocrazia, scuola, giustizia, ecologia, tecnologia, carceri, riforme costituzionali e tutti gli altri problemi, che Dio solo sa da quando esistono e quanti siano, potranno essere messi in agenda per il prossimo futuro, ma non affrontati e risolti nell´infuriare dell´epidemia da un governo di scopo, formato con il fine di portare a termine specifici obiettivi e destinato a durare uno o al più due anni.
Eppoi, non dimentichiamoci che Draghi, per quanto eccellente possa essere, è emergenzialmente a capo di un’anomala intesa di governo, crogiolo di tenaci avversari politici, pronti a sbottare alla prima occasione propizia e ciò rappresenta, già di per sé, una brutta gatta da pelare…
Suvvia, dunque, siamo seri!
La mania di lamentarsi di tutto è un problema psicologico. È quanto sostengono gruppi di studiosi in materia. Le persone che si lamentano incessantemente, tranne le prefiche che sono del mestiere, lo fanno perché si sentono insoddisfatte: in realtà esse si lamentano della loro esistenza, della sorda sensazione di vuoto che provano e della mancanza di senso che le isola. Comunque sia, questi soggetti esistono da sempre e rompono l’anima alla gente comune!
“Di Draghi non giudico l’apparenza, ma l’azione” – Giuliano Ferrara. E patapunfete! Rieccoci con i bastian contrari all’opera. Le ultime lagnanze di costoro attengono, guarda un po’, alla riservatezza di Draghi, che non fa show a reti unificate per proclamare questo o quell’altro provvedimento. Stavolta sono gli “orfani” di Conte che hanno cantato questa solfa per giorni. Nostalgia delle comunicazioni in notturna del prof? Mah, vattelappesca!
Oh, poveri noi! Si direbbe che siamo messi proprio male. L’uomo, in verità, non è mai contento, tant’è che il noto gesuita e letterato francese Étienne Binet, in una delle sue opere, asseriva che la più grande confraternita del mondo è quella degli scontenti. Beh, se così gira il mondo, così sia! Dopotutto Il mondo è bello perché è vario. Certo però che – mentre il morbo infuria, il vaccino manca (o fa paura), le controverse restrizioni sociali si inaspriscono fino all´esasperazione e gli scontenti di turno non finiscono di brontolare – sarà pur necessario che chi di dovere si occupi seriamente non solo dell’oggi, ma anche del domani. E con ciò ci riferiamo alla necessità di predisporre sin da ora strutture sanitarie nazionali adeguate alla bisogna per non ritrovarci dopo la tempesta, come sempre, impreparati.
Non v’è chi non veda, infatti, che sia necessario creare attrezzati centri polispecialistici ove richiamare le migliaia di pazienti guariti dall’infezione al fine di trattare i danni che il malefico virus lascerà loro in eredità. In Cina, per l´appunto, e questo è solo un dato, ove il Covid-19 è comparso per la prima volta, ci si è accorti di come un paziente su tre dopo le dimissioni abbia presentato un’incapacità respiratoria pari al 30%. E per quanto si sa, le conseguenze sulla salute a lungo termine dei pazienti guariti da Covid-19 restano ancora un’area molto inesplorata. Inoltre, le persone che si sono ammalate di Covid, persino i più giovani, secondo quanto afferma il dottor Sandro Iannaccone, primario Riabilitazione Disturbi Neurologici Cognitivi-Motori all’Ospedale San Raffaele di Milano, hanno maggiore probabilità di sviluppare conseguenze cognitive simili alla demenza.
Con queste premesse c’è veramente poco da stare allegri! Su dunque, bando ai teatrini ideologici e al lavoro signori politici: campagna vaccinale senza remore e se la gestione della stessa da parte dell’Ue sta facendo cilecca (contratti con le società farmaceutiche indefiniti e secretati, insufficienza delle dosi di vaccino, preclusioni geopolitiche verso alcuni vaccini, lotti AstraZeneca sospetti, sospesi, riabilitati etc.), che si avvii senza indugio un processo di autonomia produttiva nazionale, se non vogliamo trasformarci in ergastolani a causa del Covid.
La settimana scorsa, a tal proposito, il governo ha finalmente stipulato un contratto preliminare con la Patheon Thermo Fisher per produrre un vaccino (si ignora quale sia) sul nostro territorio. Questo è certamente un primo passo significativo, nella speranza, però, che ne seguano degli altri. Ma v’è di meglio: la ricerca nostrana va avanti e vengono sperimentati nuovi vaccini. Tra questi ce n´ è uno tutto “tricolore” della Reithera S.r.l. in collaborazione con l’Istituto “Spallanzani” di Roma, già in Fase 2 e 3 di sperimentazione. Naturalmente un vaccino italiano oltre che riabilitare mondialmente l’immagine del nostro Paese, purtroppo scalfita dell’epidemia, porterebbe notevoli vantaggi economici e di approvvigionamento. In altre parole, il progresso scientifico non solo migliora la qualità della vita, ma apporta enormi benefici all´economia della nazione in cui si sviluppa. Vale la pena ricordare a tal proposito che l´Italia è senza dubbio un’eccellenza nell´industria farmaceutica, grazie ai 31,2 miliardi di euro di produzione annua.
È altresì interessante menzionare, restando in tema sanità, che è appena partita la sperimentazione dell’altro vaccino tutto italiano contro il Covid-19 progettato dalla Takis di Castel Romano (RM) e sviluppato in congiunto con la Rottapharm Biotech di Monza. Questo tipo di vaccino “potrebbe essere molto importante in futuro” perché, secondo quanto illustrato dal Prof. Paolo Bonfanti, direttore della Clinica di Malattie infettive del San Gerardo, c’è “la possibilità di modificarlo adattandolo alla emergenza di varianti del virus non sensibili ai vaccini attuali“.
Nel contempo, riprendendo il discorso organizzativo, sarà necessario provvedere alla ristrutturazione e al potenziamento dei servizi sanitari territoriali e ospedalieri su tutto il territorio nazionale. Sanità ed economia siano, vivaddio! le priorità cui dovranno essere destinate in buona parte le risorse del Fondo di Recupero (Recovery Fund per coloro che non parlano in italiano). Sarebbe a dir poco imbarazzante se il governo non avesse ancora appreso la lezione dell’epidemia!
In epigrafe, ricordiamo, si è fatto cenno alle sequele del Covid-19. Bene, esse non saranno solamente sanitarie, ma altresì economiche e sociali. L’attuale crisi planetaria è il prodromo della morte del capitalismo neoliberalista, già da qualche tempo condannato al fallimento dai cambiamenti climatici, per cui la pandemia dev’essere considerata come il classico colpo di grazia che darà vita a un nuovo ordine mondiale. La produzione, mantra supremo del capitalismo, è stata arrestata dalla crisi pandemica e, di conseguenza, sono caduti a effetto domino sia le strutture che le filiere economiche del libero mercato.
“Il sistema capitalistico è sul viale del tramonto e sarà sostituito da un modello diverso di convivenza, quello dei beni comuni associativi”. È quanto pronostica da tempo il sociologo statunitense Jeremy Rifkin, presidente della Foundation of economic Trends di Washington e uno dei massimi attivisti ambientali del pianeta. In altre parole, per uscire dalla dilagante crisi provocata dal capitalismo finanziario in versione neoliberista ci si dovrebbe avviare, secondo Rifkin, verso il Common collaborativo.
La filosofia di questo nuovo ordine mondiale consiste nella minore aspettativa di un tornaconto economico e nel maggior desiderio di fomentare il benessere sociale dell’umanità. Fantaeconomia, fantarealtà? Chissà! “L’impossibile può diventare possibile” ci ricorda Franco Basaglia!
Comunque sia, è chiaro che ad un nuovo ordine si arriverà: la pandemia ha generato percorsi di solidarietà inediti e fino a ieri impensabili. Non a caso, Papa Francesco ha auspicato che per il futuro si esca rafforzati nello spirito di solidarietà. Ed è probabile che ciò avvenga. Infatti, dalla crisi pandemica sono emerse due cose: la prima, una certa fraternità a livello globale e pur essendosi trattato di un evento accidentale, il risultato è, di per sé, molto significativo; la seconda, la fragilità dell’essere umano e il conseguente vantaggio di vivere in una società solidale. In conseguenza di ciò ci si domanda: lo scambio di aiuti polimorfi tra Paesi diversi potrebbe essere considerato una sorta di introduzione a quelle che saranno le politiche relazionali tra i vari Stati dopo la pandemia?
Beh, noi ce lo auguriamo, ma è improbabile che in questo vecchio pazzo mondo ciò avvenga; i vizi privati, come sempre, prevarranno sulle pubbliche virtù! Tuttavia un dato è certo, durante questa crisi si è verificato un fatto interessante: nella sventura collettiva, l’Europa, considerati tutti gli errori di gestione delle misure di emergenza e le gravi conseguenze che ne sono derivate, dovrebbe aver capito che non si va da nessuna parte facendo ordinaria amministrazione (business-as-usual). Essa si ritrova tra le mani un’occasione storica per porre in atto una radicale riforma della propria struttura. In sostanza, dovrebbe fare di necessità virtù.
Un esempio le viene offerto dalla scienza medica senza frontiere, che – dal canto suo – si è mossa con maggiore associazionismo e ha dimostrato che collaborando con competenza in uno sforzo comune, multicentrico e multidisciplinare, si sono potuti creare, in tempi da primato, vari farmaci antivirali, ancorché di efficacia diversa. E allora? Quanto sopra esposto ci induce a riflettere e ritenere che potremo sperare in un “nuovo miglior ordine” solamente se, emulando l´esortazione di Carlo Azeglio Ciampi, in futuro si sarà “tutti uniti per il bene comune”, creando una forza, nell’animo più che nel corpo, che ci protegga da nemici universali e ci garantisca il benessere solidale.
“Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme un successo”. Non si sbagliava affatto Henry Ford! Che poi chi ci governa la pensi come Ford o meno è tutta un´altra storia.* direttore La Gazzetta italo brasiliana http://rivistalagazzettaonline.info/articolo/3603/editoriale