La divisa come punto di riferimento

18 Marzo 2021
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Il Gen. C.A. Francesco Paolo Figliuolo, commissario all’emergenza Covid-19

Umberto Dante (*)

Oggi l’Esercito Italiano balza all’attenzione della nazione come risorsa da schierare contro il Covid. Inviterei a non banalizzare la circostanza, perché dietro questo protagonismo della divisa si cela una crisi senza precedenti del ceto politico. Con le sue incessanti polemiche di schieramento, proprio il ceto politico esaspera e disorienta una società aggredita da “una guerra”, quindi bisognosa di coesione. Ecco la fortuna di un personaggio non politico come Conte, di un altro personaggio non politico come Bertolaso. Ed ecco la suggestione esercitata dalla Protezione Civile, dai Vigili del Fuoco, da medici e da infermieri.

Verrebbe da dire: è il tempo della divisa.

Questo tempo arriva gradualmente, in Italia come nel resto del mondo. Si pensi a come una delle dittature militari più criticate, il Cile golpista di Pinochet, abbia stupito storici e commentatori politici moderati per i suoi risultati in campo economico. La riflessione più equilibrata riguardo al fenomeno (ed in genere riguardo alle frequenti dittature militari dei paesi arretrati) osserva come il militare moderno tenda ad avere conoscenze elevate non solo di tipo strategico oppure ideologico, ma anche nel campo delle tecnologie e dell’economia.

L’emergere dei militari coincide a volte con una notevole qualità della formazione e delle competenze.

Orbene: occorre iniziare a prendere atto che il prestigio della divisa in un paese come l’Italia viene accresciuto dalla comparazione con altri ceti, altre categorie, altre ideologie. Non penso soltanto alla sopra accennata decadenza della politica. Penso ad una più generale gerarchia dei valori imposta dai media che poco corrisponde al sentire prevalente dentro al paese. Il prevalere della destra nei sondaggi elettorali fa ipotizzare che esista anche ad un prevalere nella popolazione dei valori etici della destra.

Sembra emblematica, dopo un Festival di Sanremo costosissimo e paralizzante, la contrapposizione clamorosa tra il comandante dell’Accademia di Modena (già comandante della “Folgore”) Generale Rodolfo Sganga, ed uno dei cantanti più provocatori della manifestazione, Achille Lauro. Achille Lauro si presenta sul palco con la sua abituale eccentricità provocatoria, esibendo un tricolore che poi lascia cadere per terra. Sganga non accetta la provocazione e, al cospetto dei suoi studenti, chiede a Lauro: “Ma tu chi sei? Il Tricolore è sopravvissuto fino ad oggi a combattenti, avversari, eventi e vicissitudini che hanno tentato di strapparcelo. Sopravviverà anche a questo signore vestito di piume”. Non mi interessa prendere posizione. Mi interessa però misurare le distanze. Ed osservare come entrambi i contendenti, dalle due sponde del baratro, siano sovvenzionati dallo stato, dai media e dai “poteri forti”. In un acutizzarsi di una contrapposizione del genere, vedo molto possibile che un’Italia costretta a schierarsi non si rivolga ad Achille Lauro, uno che di certo non gli vaccinerà gli anziani, ma agli uomini del generale Sganga.

Umberto Dante

(*) Docente di Storia moderna e contemporanea presso Università degli studi dell’Aquila, facoltà di Scienze della Formazione, docente a contratto di Storia delle Comunicazioni di Massa presso La Sapienza di Roma, facoltà di Sociologia e facoltà di Scienze della Comunicazione; Presidente dello IASRIC; direttore della rivista “Abruzzo contemporaneo”.

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