L’autrice svela uno dei segreti del nazismo, l’opera esoterica della Vril, le cui protagoniste sconvolsero la storia del 900
di Goffredo Palmerini
L’AQUILA – Il romanzo Il male degli angeli di Luisa Gasbarri (Baldini+Castoldi, 2020) rappresenta un esperimento originale nel panorama della narrativa italiana. Non a caso è stato analizzato di recente in un saggio pubblicato dal professor Nicola Longo sulla prestigiosa rivista accademica internazionale Il Mosaico, patrocinata dall’Istituto Italiano di Cultura di Rio de Janeiro e dalle Università brasiliane, da sempre attenta a scogliere i fermenti innovativi nella letteratura italiana. Luisa Gasbarri ci aveva già abituati a un romanzo aperto a soluzioni nuove, capace di seminare nel lettore il dubbio, se non qualcosa di peggio. Stavolta, però, la suggestione si fa maggiore perché a incontrarsi sono la suspense del thriller e la Storia forse peggiore degli ultimi secoli, ovvero quella che a partire dagli anni Trenta vede maturare e poi esplodere in Europa il nazismo. Due le vicende principali intorno alle quali si snoda il racconto: l’indagine di Sara Wolner, giovane funzionaria ebrea di stanza oggi all’Interpol dell’Anagnina alle prese con le singolari sparizioni di donne troppo simili tra loro, e l’amicizia tra la tedesca Sigrun e la compagna di collegio Miriam, perseguitata e costretta a rinunciare dapprima agli studi e poi alla sua identità etnica nella Berlino sull’orlo della Seconda guerra mondiale.
Innovativo nel romanzo è lo scivolamento continuo degli aspetti focali della narrazione, per cui il genere letterario non incontra qui una sua classificazione pacifica, a tutto favore del lettore che in un solo libro riesce a trovare spunti per una radicale reinterpretazione della Storia recente e al tempo stesso quella spinta adrenalinica tipica deicoinvolgentithriller page-turner d’impronta americana. Perché a rendere attraente la Storia è in fondo proprio lo svelarne gli aspetti meno noti, e qui le sorprese fioccano a ritmo vertiginoso. In una Germania in profonda crisi economica attratta da ogni filosofia dell’irrazionalità, non ultima quella d’un misticismo orientato all’attesa del nuovo Messia, ogni segreto occulto si carica di possibilità inedite, nell’illusione della rivalsa imminente. Ed ecco dunque muoversi intorno ai grandi gerarchi di partito figure storiche assai meno note, eppure di indiscutibile fascino, come le medium che si riunirono intorno a Hitler assicurandogli il favore dell’alleato più indiscreto e pericoloso. Su tutte Maria Orsitsch, donna magnetica dalle ambigue frequentazioni, e dagli altrettanto ambigui poteri, personaggio attualissimo se si considera la naturalezza del suo porsi al centro di quella trama di accadimenti che oggi le rivelazioni dei servizi segreti americani, e non solo, paiono confermare in tutta la loro sconcertante evidenza.
Rileggere la Storia, in un momento delicato come la contemporaneità, data l’estrema precarietà globale che andiamo attraversando, pare infatti sempre più necessario: lo sguardo critico sul mondo permette all’essere umano di salvarsi perché prelude alle scelte coscienti e consapevoli dell’agire etico. E la scelta dietro l’agire si configura come il vero, profondo tema del libro, come già palese nel titolo: il Male degli angeli, per la sua drammatica e illogica improponibilità, richiama per contrasto l’assenza del Bene, inteso quale atto d’arbitrio salvifico e necessario, pur nella banalizzazione quotidiana dei valori su cui Hannah Arendt ci spinge ancora a riflettere con tanto acume. Tutti i personaggi del romanzo sono quindi alle prese con l’incerto definirsi della loro identità, e dunque con le conturbanti scelte morali che ne derivano: Sara è insofferente verso il suo lavoro, Maria verso la maternità, Sigrun vive male la propria missione all’interno del Reich, Desmond non riesce a far pace con i rimorsi, Sveva con la sua sessualità, Milos con la sua bellezza… In questo costante logorio personale, interrogando il presente, ogni protagonista si ritrova a interrogare se stesso, ma le dosi di coraggio individuale differiscono, dunque anche i pesi che la Storia viene a riscuotere. Tra conflitti non sanati e colpi di scena la resa dei conti però arriva sempre, e anche se i finali aperti sono interessanti, raramente guerre e rivoluzioni lasciano spiragli: il non detto finisce sullo sfondo, la versione dei vincitori s’impone, ma qualche frammento di verità, nonostante tutto, si salva, la forza delle visioni alternative sopravvive, ed è il fuoco sotto le macerie in cui rispetto al sentire abusato cova tale fatale divergenza che il romanzo ci regala.
Possiamo essere d’accordo con la sua interpretazione dei fatti oppure no, ma non torneremo a guardare alle cose allo stesso modo. E in questo consiste probabilmente il maggior merito degli scrittori: la loro capacità di avvicinarci all’inesplorato, all’imprevedibile, raschiando il fondo del cuore umano alla ricerca di quelle emozioni nascoste che uno storico la maggior parte delle volte s’impedisce di raccontare. Soprattutto se di emozioni femminili si tratta. Ne Il male degli angeli le donne sono infatti le assolute protagoniste: riescono ad essere complici, vittime, carnefici, collaborazioniste, delatrici e dissidenti. Nessun ruolo è loro precluso, perché ogni possibilità è loro concessa, con tutte le implicazioni morali che la scelta, qualunque scelta, comporta. In un momento in cui le donne balzano quotidianamente all’attenzione dei media, si pensi ai femminicidi o alle reiterate violenze di cui sono vittima in tutte le parti del mondo, la lettura di questo romanzo può indurci dunque a guardarle in modo nuovo, a percepire la forza di cui possono dar prova, la solidarietà che può animarle, qui indagata all’interno di uno dei regimi più oppressivi mai esistiti.
Abbiamo chiesto all’autrice qual è stata l’occasione che l’ha condotta alla narrazione di una storia così particolare.
Ho scritto questo libro perché volevo raccontare uno degli episodi più inquietanti e meno noti della Seconda guerra mondiale. E contemporaneamente affrontare il tema dell’essere ebrei oggi. La protagonista, Sara Wolner, è una donna moderna, a tratti irrisolta, con la sua sensibilità e le sue problematiche. Alla fine la sfida maggiore sarà per lei doversi confrontare soprattutto con il passato della sua famiglia, ovvero con i dolorosi avvenimenti di una Storia scomoda con cui ancora oggi è spesso assai complesso relazionarsi. E davanti ai grandi eventi epocali, quando in particolare si è in presenza di grevi totalitarismi, indagare il punto di vista di chi ne fu messo ai margini – pensiamo alle etnie differenti, o alle donne – offre sempre spunti di riflessione illuminanti.
Come si fa a scegliere da cosa partire, quando la narrazione è così bruciante, quando c’è così tanto da dover rivelare, da ridefinire in un’ottica nuova?
Il male degli angeli non è un semplice thriller o un romanzo storico ordinario, me ne rendo conto. La Seconda Guerra mondiale ha rischiato di avere un finale assai diverso, e molti dei suoi retroscena li ignoriamo purtroppo ancora. Quando si decide di affrontare certi temi forse il segreto è farlo partendo dal quotidiano, da una relazione affettiva, da un rapporto madre/figlia sbagliato, da una difficoltà di adattamento causata da una problematica fisica, come può essere un insolito colore degli occhi… Al centro della vicenda c’è qui infatti l’amicizia tra una giovane ebrea e la figlia piuttosto bizzarra di un alto gerarca nazista, e che cosa avverrà durante la guerra del loro legame, quando la persecuzione verso gli ebrei, e non solo, diventa capillare e devastante, su tutti i fronti. Spero che i lettori, a conclusione del libro, maturino un’idea nuova del rapporto tra ebraismo e pangermanesimo e una comprensione più profonda dell’irrazionalismo di cui il Reich diede mostra, e di cui persino oggi spesso ci sfuggono le ragioni occulte.
Abbiamo usato non a caso l’aggettivo bruciante, perché il grande protagonista del libro è il fuoco. Che valore ha per lei?
Il fuoco è erroneamente considerato un elemento maschile, ma non è esatto. Luce e solarità fin dall’origine sono legate a divinità femminili, si pensi a Diana, la dea del dies, la portatrice delle torce sacre per illuminare il mondo. I chiaroscuri del Bene e del Male ben si rispecchiano nella duplicità di cui il libro è espressione, mentre il fuoco, si consideri la sua essenza fisica e insieme simbolica, è nella sua duttilità danzante ciò che meglio rappresenta il potere trasformativo quanto la tenacia assoluta e irrequieta delle donne.
In qualità di scrittrice, quale ritiene possa essere oggi il ruolo della letteratura in un momento storico tanto difficile?
La letteratura ci aiuta a interpretare, comprendere il mondo, quindi noi stessi, come l’arte del resto. E se solo gli esseri umani la praticano, ci sarà una ragione. Oggi è del resto davvero urgente, improcrastinabile fare i conti con i nostri comportamenti. Abbiamo reso sofferente un intero pianeta, stiamo distruggendo ciò che ci sta intorno, la violenza si muove nelle direzioni più disparate. I libri sono specchi, magari deformi, ma molto efficaci nel descriverci i percorsi che stiamo seguendo. Come diceva Lukács, l’arte anticipa le direzioni verso cui si muove la realtà, che è sempre dinamica, anche se solo alla letteratura autentica è dato di cogliere tali movimenti e il senso che li ispira, qualora un senso sia ravvisabile.
Nel romanzo la ricostruzione storica, snodandosi incalzante tra passato e presente, tra Roma e Berlino, si affianca a un’indagine potente, in un thriller intenso che svela i retroscena più taciuti dai servizi segreti americani e solleva sorprendenti interrogativi, tenendo il lettore col fiato sospeso fino all’ultima pagina. La nota critica che apre il romanzo così conclude: “[…] Si aggiunga poi la difficoltà estrema di indagare sul mondo dell’occultismo internazionale, i cui riti e culti sono soggetti, ora come allora, al più rigido riserbo, benché le concezioni misteriche qui richiamate trovino ancora riscontro nell’esoterismo contemporaneo. Aiutandosi con l’immaginazione, questo romanzo tesse un racconto unitario, colma i vuoti tra i fatti, dà un’anima agli sfuggenti protagonisti, obbedendo comunque a criteri narrativi. Per un’introduzione approfondita allo studio del Vril, ci si limita a rimandare all’ormai classico Il mito del Vril di Peter Bahn e Heiner Gehring.” Non resta altro che l’invito alla lettura di questo bel romanzo della scrittrice abruzzese, distillandolo in ogni parola e in ogni più sorprendente sua emozione.
Luisa Gasbarri è nata a Chieti. Docente di Lettere, è saggista, sceneggiatrice e studiosa di storia delle donne. E’ stata tra i primi ad introdurre corsi di creative writing nelle scuole, svolgendoli anche per adulti, docenti, giovani scrittori. Ha pubblicato articoli e racconti in varie raccolte, anche tradotti, e progettato e curato lei stessa antologie, ma si è affermata in particolare con i manuali alternativi “101 cose da fare in Abruzzo almeno una volta nella vita” e “101 perché sulla storia dell’Abruzzo che non puoi non sapere”, editi entrambi dalla Newton Compton. Si è affermata come scrittrice noir con il romanzo “L’istinto innaturale” per la collana Impronte diretta da Tecla Dozio (Todaro editore), uscito in Italia e in Svizzera. L’ultimo suo lavoro è appunto il romanzo “Il male degli angeli” (Baldini+Castoldi, 2020). Tra i riconoscimenti si menzionano la vittoria al concorso internazionale “Lettera alla Bellezza” e il primo premio assoluto presso la Casa della Memoria e della Storia di Roma per il racconto fictional dedicato alla Resistenza e alla Liberazione. L’anno scorso la scrittrice teatina è stata tra i vincitori del prestigioso Premio Internazionale di Firenze.