La nuova riforma di gennaio si applica solo per i reati
commessi dopo la sua entrata in vigore, cioè per i fatti
commessi dal 1 gennaio 2020.
di Giulia Fioravanti, avvocato
Articolo tratto dalla Rivista ufficiale dell’Associazione Nazionale della Polizia di Stato
Anno XLVII n 1 – Gennaio aprile 2020
La riforma della prescrizione, il cosiddetto “Spazzacorrotti”, è diventata legge il primo di gennaio 2020. A distanza di poco tempo, è arrivato il lodo Conte bis, dal nome del suo promotore, che ha modificato proprio quella riforma. Vediamo di cosa si tratta e quali sono le novità introdotte.
COS’È LA PRESCRIZIONE
La prescrizione, nel diritto penale, è un istituto piuttosto complesso ed è stato oggetto di diversi dibattiti nel tempo che hanno dato luogo a differenti discipline della stessa. Teniamo sempre a mente, infatti, che la prescrizione nel diritto penale è una causa di estinzione del reato; questo vuol dire che, decorso un lasso di tempo determinato sul massimo della pena previsto per legge sul singolo fatto, senza che vi sia stata una sentenza irrevocabile di condanna, si determina l’annullamento di quel fatto stesso come reato. Ricordiamo che però essa non opera nei casi di reati puniti con l’ergastolo, che sono imprescrittibili.
LE DIFFICOLTÀ
Il problema che sta alla base della prescrizione è fondamentalmente quello di vederla o meno dal punto di vista del favor rei, ossia come un diritto dell’imputato a una durata ragionevole del processo come costituzionalmente garantito. Un altro problema oggetto delle varie riforme è quello poi di determinare il momento processuale dal quale essa inizia a decorrere. Tutto ciò determina non poche difficoltà nello stabilire una disciplina della prescrizione che contemperi tutti i vari interessi coinvolti, tra i primi quelli dell’imputato e anche quello dello Stato a un sistema giudiziario che sia adeguato alle esigenze dei cittadini.
LE NOVITA
La nuova riforma di gennaio si applica solo per i reati commessi dopo la sua entrata in vigore, cioè per i fatti commessi dal 1 gennaio 2020. Tale riforma prevede che il corso della prescrizione resta sospeso dopo la sentenza di primo grado fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dall’irrevocabilità del decreto penale di condanna. Con il decreto penale di condanna non è possibile condannare I ‘imputato a pena detentiva, e quest’ultima, ove prevista dalla norma penale, dovrà necessariamente essere convertita in ammenda o multa. In altre parole, determina il blocco del corso della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado o il decreto penale condanna, indipendentemente che sia di assoluzione o condanna. A ben vedere, la precedente riforma Orlando, limitava la sospensione della prescrizione in secondo e terzo grado di giudizio, solo in caso di sentenza di condanna (perciò non anche di assoluzione).
I REATI CONTINUATI
La riforma va a modificare anche il decorso della prescrizione per il reato continuato, ossia per quel tipo di reato che si articola in più fatti di reato eseguiti col medesimo disegno criminoso tanto da creare un unicum, cioè come se fosse un fatto reato unico, e spostando la prescrizione dal momento in cui è cessata la continuazione come fatto unitario e non più, come in precedenza, da ciascuno dei reati commessi in continuazione. Bisognerebbe ragionare sul fatto già accennato che rientra nei diritti dell’imputato, quello di una ragionevole durata del processo a fronte di un eccessivo decorso di tempo senza una sua condanna. Oltre a considerare il venir meno dell’interesse dello Stato a perseguire il reo dopo un eccessivo lasso di tempo. D’altronde, in tema di lentezza dei processi, la riforma prevedendo una tale sospensione della prescrizione allungherebbe ulteriormente i processi in sede di impugnazione.
IL LODO CONTE BIS
Ribadendo poi il principio del favorrei, tale riforma risulta senz ‘ altro meno favorevole all’imputato rispetto a quella precedente. Il recentissimo lodo Conte bis, intervenuto per modificare a sua volta la riforma spazza – corrotti, viaggia invece su un doppio binario, stabilendo stavolta una distinzione tra condannati e assolti. Per i condannati, sia in primo grado che in appello, la prescrizione si blocca in modo definitivo, mentre, in caso di assoluzione in appello, si recuperano i termini di prescrizione rimasti bloccati. Previsti tempi massimi anche per la durata delle indagini preliminari sui reati più gravi, in diciotto mesi per gli altri reati, un anno per quelli minori oltre tre ai tempi di durata massima dei processi che potranno durare da uno a tre anni per il primo grado, due anni per l’appello e un anno per la cassazione. Un intervento drastico anche questo che mira evidentemente a incidere a suo modo sui tempi del processo, senza però rispettare in pieno i diritti dell’imputato. L’obiettivo sarebbe quello di contrastare la lentezza dei processi arrivando a una pena certa bloccando la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Come visto, si sono succedute diverse diatribe sulla prescrizione, tanto da a differenti riforme volte a modificare il suo decorso, anche sulla scia di quanti ritengono essa qualcosa da evitare, non potendo a loro parere sopperire alla lentezza dei processi. Il rischio è quello di lasciare l’imputato (e anche la persona offesa) in attesa della definizione del processo per un tempo indeterminato, creando una sorta di figura dell”‘eterno imputato”. Infatti, non allungando i tempi della prescrizione, si accelera la definizione del giudizio. Oltre tutto la riforma sembra presentare aspetti di dubbia costituzionalità, sia rispetto alla prevista ragionevole durata del processo, imposta dall’art. 111 della nostra Costituzione, sia nell’arbitraria differenza tra imputati assolti e imputati condannati in primo grado.