di Nicola Caprio Di Monaco
Ti bacerò
Ti bacerò,
aspettami!
Guardo ad occhi aperti
E non vedo rondini nel cielo,
non vedo sguardi osservare
il mare colorato della campagna.
La rosa scarlatta
Abbandona delusa i suoi petali nel vaso,
il silenzio domina il mondo,
strade vuote senza una meta,
sguardi lontani dal mio vivere.
Ma tu aspettami!
Io verrò presto da te,
ad appiccicare le mie labbra alle tue,
a godere la rinascita, apprezzare di più la vita,
allungare la mia mano al mio simile,
e finalmente stringerti
cancellando questa briciola di tempo
per popolare con te
le strade dell’amore.
Gino Iorio
CALVI RISORTA (Caserta) – La casa rossa di Vogue, entro le mura della Nuova Cales, è rotta solo dal silenzio. Tace anche, di fronte, la “Bottega artigiana delle parole” e l’officina di Salvatore Iorio, genio della meccanica, poeta del motore. Isolato, a pezzi, ma seguìto con premura da moglie e figli, trepida attesa di amici vicini e lontani, il Vate di Cales, Gino Iorio, vive con malcelato terrore giorni di angosciosa solitudine. Il “tampone”, sogno e croce della pandemia in atto in Italia e nel mondo, dopo il panico dell’attesa, dà esito felice, ma il quadro clinico è da codice rosso: arsa e bruciata la gola, funzioni elementari sottosopra, è difficile stare in piedi, ancora peggio stare a letto. Poi, il timore che siano compromesse le difese immunitarie. Nuovi doverosi accertamenti. La Pasqua è passata, ma è il sudore del Getsemani a cadenzare un lungo weekend di paura. “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Medjugorje è un sogno solo sognato?”
Il dolore si scioglie in lacrime e le lacrime si fanno canto. Le note musicali sono di Massimo Zona, cantautore romano di successo, i versi liberi un ruscello che parte dal cuore del Vate di Cales. Gino Iorio è il dolore del mondo, le sue lacrime stille di rugiada che sgrondano in poesia. Potrebbe sembrare un disperato grido d’amore, forse lo è, ma i versi e il ritmo musicale che li sorreggono dicono molto, molto di più. E’ l’elementare urlo di Munch rivolto a cielo e terra, è il grido di notte alla luna del “pastore errante nell’Asia” di Giacomo Leopardi. E’, sopra tutto, il pensiero oltre l’ostacolo. “Aspettami, non mi piego. Aspettami” scrive Gino Iorio, rivolto a terre, cieli e a mari lontani. E’ la Natura, donna madre sorella amante, che invoca e che fissano gli occhi della mente del Vate di Cales. E’ la protesta della vita contro il buio, sono i colori dell’aurora che annunciano un nuovo giorno, pieno di luce e di sole.
I tre tempi della lirica richiamano immagini da Cantico delle Creature di Francesco di Assisi, esaltate dal tessuto delle note musicali che salgono di tono in un crescendo rossiniano sempre più evidente e, nel terzo tempo, con la reiterazione straziante di un “aspettami” che ha la forza e la potenza dei tamburi del Bolero di Ravel. Si passa dalla solitudine e dal silenzio, occhi aperti sull’assenza delle rondini che danzano nel sole, vuoto di strade, prati e campagna, alla natura che risorge e si fa bella. Prati, alberi e foreste hanno sembianze umane, si coprono come capelli di nuovi fiori e di viole. Nel terzo tempo il poeta riprende spedito il cammino, accompagnato dal canto di bambini: va incontro a nuova vita, il vuoto diventa “fiducia” e l’assenza si fa “speranza”. Dal dolore e dalla sofferenza nasce la promessa di un futuro diverso, migliore; certezza di nuove mani che si cercano e si stringono in un destino comune. In un abbraccio, il nuovo patto d’amore e di vita rivolto alla natura. Quell’aspettami, martellante, più che un invito, sembra un ordine, secco, perentorio. Il futuro è un scommessa da vincere ed è l’uomo ora a dare il diapason. Cacciato dal paradiso terrestre, uscito dalla caverna, l’uomo “sapiens sapiens” è in grado di piegare la natura e di disegnare realtà e sogni oltre i confini dell’albero del bene e del male.
La lirica di Gino Iorio è una protesta e una sfida. Le ironiche “magnifiche sorti e progressive” di Giacomo Leopardi, evocate dalle ginestre del Vesuvio, diventano per Gino Iorio resurrezione e vita, alla luce della fede, sorrette da speranze che hanno tutto il sapore di certezze. Poesia e canto possono salvare il mondo. Semplici ed essenziali come il linguaggio poetico del celebrato Vate di Cales, le note musicali di Massimo Zona aggiungono classe e vigore al Manifesto di Gino Iorio per un rinnovato patto di amicizia tra l’uomo e la natura. La casa rossa di Vogue, così unica nella cerchia urbana della Nuova Cales, da luogo di dolore e di sofferenza, si candida a centro di una rinnovata Gerusalemme dell’amore e della speranza.
Gino (Luigi) Iorio è nato a Calvi Risorta, nell’alto Casertano, dove attualmente vive. Laureato in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Napoli, per circa venti anni è stato funzionario dell’Amministrazione finanziaria dello Stato. Successivamente ha curato l’attività industriale di famiglia nel campo alimentare dell’olio e dello zucchero. Dal 2012, dopo alterne vicende, si è dedicato alla poesia e narrativa. Nel 2015 è stato insignito, dalla libera facoltà di Scienze sociali e del Turismo di Napoli, della laurea Honoris Causa. Gino Iorio ha pubblicato nel 2012 “Momenti 99 poesie d’amore” (Book Sprint edizioni) e “Amore Amaro” – romanzo (Book Sprint edizioni); nel 2014 “La mia Stella” (Editore Tindaripatti), “la casa di Tonia” (Editore Tindaripatti), “Trenta emozioni d’amore” (Editore Tindaripatti); nel 2015 “Il Posto delle Aquile” (Editore Piccola Editalia), “Il viaggio di Tonia” (Editore Guida Edizioni); nel 2018 “Oltre l’amore” (Youcanprint), “Cales, Herculaneum, Caserta. Itinerari di vita e arte” (Youcanprint). Vincitore di diversi premi letterari e di numerosi riconoscimenti alla Cultura, suoi scritti e liriche sono presenti molte Antologie.
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Qui di seguito il testo del brano musicale Ma tu aspettami, ispirato dalla lirica di Gino Iorio, composto e musicato da Massimo Zona, giornalista scrittore e compositore.
Ma tu aspettami
Guardo ad occhi aperti non vedo più nel cielo
le rondini rincorrersi nel volo;
è vuota la campagna e vuoti sono i prati
vuote le strade nel silenzio intorno
che sa di morte e di abbandono lento
che sa di delusione e di tormento.
Ma tu aspettami
le braccia aperte ad abbracciare il sole
tra i tuoi capelli nuovi fiori e viole
con la fiducia che dà l’avvenire
con la speranza che dà il divenire
ma tu aspettami
e appena lì sarò
non vedo l’ora io lì t’abbraccerò
e appena lì sarò
non vedo l’ora io lì ti bacerò.
Continuo a camminare, ma è vuota la campagna
né il canto di bambini mi accompagna;
verrò presto da te, ti faccio una promessa
la vita non sarà mai più la stessa;
ma stringeremo mani ad altre mani
sperando che verrà presto domani.
Ma tu aspettami
le braccia aperte ad abbracciare il sole
tra i tuoi capelli nuovi fiori e viole
con la fiducia che dà l’avvenire
con la speranza che dà il divenire
ma tu aspettami
e appena lì sarò
non vedo l’ora io lì t’abbraccerò
e appena lì sarò
non vedo l’ora io lì ti bacerò.
Massimo Zona nasce a Roma da madre professoressa di lettere al liceo classico e padre ufficiale nella Marina Militare. Dopo il diploma al liceo classico Virgilio di Roma, si laurea in Giurisprudenza e vince un concorso di commissario nella Polizia di Stato. Vi rinuncia per entrare in una multinazionale petrolifera, che gli permetterà di girare l’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti. Coltiva intanto il suo amore originario per la scrittura, arricchendo la sua passione con preziose esperienze di vita. A 45 anni fonda un’agenzia commerciale dove oggi lavorano tutti e tre i figli. Dal 2015, andato in pensione e finalmente libero di dedicarsi a quel che più gli piace, ha scritto tre romanzi noir creando un personaggio controverso e affascinante, Mauro Baveni, un ex contractor che i guai se li va a cercare. Ma il suo amore originario resta la musica e la poesia e nel 2018 Massimo Zona riesce a pubblicare, con l’editore Piccola Ed.Italia, il libro di poesie e canzoni “Discende il vento”. Vive a Calvi Risorta, cittadina dell’entroterra casertano.