Gennaio 2020 – di Danilo De Masi
La stampa italiana ha da tempo smesso di “fare informazione”, in un Paese che non ama l’approfondimento dei temi e delle notizie e che è ormai alla mercé di quanti sono frutto inconsapevole del sessantotto. Si parla di immigrazione clandestina, confondendo chi fugge da zone di guerra, chi cerca un futuro migliore (potendo pagare diecimila dollari a chi sta dietro agli “scafisti umanitari”) e chi – latitante nel suo Paese di origine – cerca una nuova identità dove (in Italia) è possibile anche ciò che sarebbe vietato e può restare in libertà anche chi è stato condannato.
Si scambia chi sceglie (potendoselo permettere) di compiere gli studi all’estero, poi si trova bene e riceve un’offerta di lavoro ancor prima di rientrare in Italia per cercarsene uno, forte dell’acquisito plurilinguismo, con i giovani che una qualche professionalità (barista, cameriere, tecnico informatico, infermiere od ingegnere) già l’hanno acquisita e stanno lavorando in Italia ma preferiscono spenderla dove la remunerazione è più confortante e dove il successo o la progressione di carriera è meno “condizionata” di quanto non sia in Italia. Dovrebbero insospettire sia per l’intelligenza dei proponenti che per la mariuolaggine le proposte di aiuto economico tese ad incentivare il “rientro dei cervelli” già “fuggiti”.
La problematica – per noi italiani – ha radici lontane, rintracciabili più nella letteratura “collaterale” od epistolare che nella storiografia.
Ai tempi di Giulio Cesare, c’era chi corrompeva i soldati romani per essere portato schiavo a Roma in aggiunta ai prigionieri effettivi: un prigioniero / captivus poteva stare meglio da servo a Roma che a casa propria da libero; inoltre era probabile che il servo venisse “liberato” e proseguisse il lavoro (si mettesse in proprio) con soddisfazioni economiche. Il cosiddetto “ascensore sociale” funzionava. Cicerone aveva “conseguito il Master” in Grecia. Diciotto secoli più tardi il Principe di Salina, Fabrizio Corbera (più noto come Il Gattopardo) mandò i due figli maschi in collegio in Inghilterra; terminati gli studi aprirono un’attività di import-export dapprima con il Regno di Napoli poi con il Regno d’Italia ed altri paesi.
Secondo un minimo di indagine o per conoscenze dirette, l’approdo e l’insediamento in un paese occidentale, tramite l’Italia, costa (tra “biglietto” degli scafisti umanitari, spese per raggiungere un porto convenzionato tra ONG, mafie varie, organizzazioni più o meno terroristiche) circa cinquanta/centomila Dollari/Euro, parte dei quali possono essere saldati con donne – più o meno consenzienti – da avviare alla prostituzione.
Importo simile a cinquanta/centomila dollari, anche se in euro od in sterline consente ad un italiano, greco, slavo, od ex-sovietico, di compiere un corso di studi universitari, con relativo mantenimento, in uno dei Paesi dove si ritiene di poter costruire un futuro migliore per sé o per la propria famiglia. Come per i due figli del Gattopardo, anche nel recente passato, nessuno rientra in Italia, se non per le vacanze al mare o nelle città d’arte. Ricordo che anche la persona che mi è più cara, dopo la laurea e qualche lavoretto, ebbe a dirmi … “sguattera od architetto … rimango qui”: eravamo di fronte al cancello della storica London Stock Exchange, oggi solo ad uso riprese televisive (chi non ricorda David Niven che va a far scorta di contante prima di salire sul Pallone ed iniziare in ottanta giorni il famoso “Giro del mondo”). Sui cancelli in bronzo, la frase Latina “dictum meum pactum (est)”, tradotta in inglese su di una targhetta, “our word is my bond”: non ho potuto evitare di pensare immediatamente a quella che è forse la Banca più antica al mondo ed all’Istituto di Via Nazionale che avrebbe dovuto “vigilare” sul mantenimento della “parola data” ai correntisti ed ai risparmiatori-azionisti.
Sono note le destinazioni degli italiani studenti all’estero, ma nessuno registra (negli ultimi trent’anni, ovvero dopo la fine della prima Repubblica) il progressivo estinguersi del flusso di studenti esteri che dai Paesi vicini e mediterranei, dal Medio Oriente e dall’Africa venivano a laurearsi a Bari od a Napoli, poi a Roma. Persino nelle nostre Accademie Militari (dalle quali un tempo uscivano futuri governanti esteri) non mi pare che ci sia tra gli stranieri una particolare pressione per accedere. Indira Gandhi, in quel tempo a capo dei Paesi non allineati, non volendo mandare il figlio, futuro Primo Ministro, a Londra o negli USA, lo affidò all’Avvocato Agnelli: la FIAT lo fece laureare (con lode e con moglie) a Torino; la torinese vedova, è ancora ai vertici della più grande Democrazia Parlamentare del mondo.