Raffaele SUFFOLETTA
I Diritti Umani sono inalienabili e vanno garantiti anche a chi si mette fuori legge. Vero e giusto.
Ma le Forze di Polizia che sono chiamate a far rispettare la Legge, purtroppo, devono usare la Forza per tradurre il delinquente davanti alla magistratura.
La legislazione vigente pone dei limiti all’uso della Forza: deve essere commisurata in relazione alla resistenza opposta dal reo. Per queste ragioni sono state introdotte delle Norme restrittive sull’uso della Forza da parte delle Forze dell’Ordine fino a configurare, nei casi di errata applicazione, il reato di “Tortura”.
Il reo non deve presentare alcun segno di lesione nel corpo, l’uso delle manette è limitato a casi estremi, per valutare i quali occorrerebbero esperti psicologi/psichiatri al seguito di ogni pattuglia, perché potrebbero lasciare lesioni ai polsi. Gli avvocati difensori, che fanno molto bene il loro lavoro, sono sempre pronti alla denuncia degli agenti per lesioni. Tutto ciò fa sì che l’operato delle Forze dell’Ordine sia sempre sotto osservazione e l’agente di Polizia sia sempre incerto sul proprio operato, con riflessi negativi sulla loro e la nostra sicurezza.
Da operatore della legge a vittima della legge.
Ma in questo clima c’è un altro aspetto da non sottovalutare che disarma l’operatore delle Forze dell’Ordine, ancora più pericoloso: la convinzione che il delinquente, apparentemente sottomesso, sia pentito facendo venir meno le necessarie precauzioni.
Ecco perché non eroi, ma martiri.