di Enrico Cavalli
E’noto che probabilmente, i Vestini presero nome dalla divinità Italica di Vesta, dea del focolare o Vestico, per altri, invece, dalle voci celtiche Ves-acqua e Tin-paese. Il Gran Sasso (Fiscellus Mons), divideva i Vestini in Transmontani (sul mare Adriatico) e Cismontani (zona interna), qui, tali genti stavano in villaggi-vici, organizzati amministrativamente in pagi, a loro volta, entro Stati monarchici-toutas (come dall’iscrizione del guerriero di Capestrano, rinvenuto nel 1932).
Tra i futuri centri di San Demetrio e Sant’Eusanio, stavano sparse ville, precedenti ai Vestini, perché al Monte Cagno di Casentino c’era una forte Italico. Inglobata a Roma nel 290 a.C., la Vestina, non partecipò alla guerra sociale del 92-90 a.C., rispetto ai Peligni e Marsi, e, nel 27 a.C. l’area sarà inserita nella IV Regio Augustea, poi, Dioclezianea della Provincia Valeria, per una circoscrizione avente la prefettura di Aveja e città di Furcona (Civita di Bagno) e Peltuinum (Prata D’Ansidonia). Aveia, civitas poi municipium dal III secolo d.C., è uno snodo dei percorsi della transumanza che lega la vallata dell’Aterno, se patrono della zona divenne il patrizio amiternino Proculus; questa polarità decade al IV secolo d.C., sia per lo spostamento verso la costa adriatica degli interessi imperiali, che per sismi, straripamenti-impaludamenti dell’Aterno.
Nel VI secolo d.C., l’invasione Longobarda, causa spopolamento di Aveia che è assorbita da Furcona, cioè, la vicina ed importante termalità, secondo parziali letture archeologiche sui ruderi del tempio a Feroniae, la dea della fertilità, dismessa per fare posto alle costruzioni d’era nuova cristiana.
La Vestina Cismontana, viene percorsa da subitanee evangelizzazioni, per la vicinanza a Roma e perché al centro di grandi comunicazioni, dalla Salaria alla Claudia Nova e via Caecilia.
Non si deve sottovalutare il merito dei martiri cristiani nell’area, si pensi a Giustino, Felice, Fiorenzo, Giusta (dalla pugliese Siponto?), le cui chiese sorgono sui templi di Giove Ercolino, oltre ad Eusanio da Siponto, i cui fasti indurrebbero a pensare ante l’era costantiniana, la nascita della diocesi forconese.
La cultualità forconese ed irradiantesi sulla futura ecclesialità aquilana, poggia sulla figura di Massimo di Aveja, protomartire e levita.
Nato intorno al 228 d.C. da una famiglia cristiana, Massimo, istruito dal padre versatile nelle lettere, divenne Diacono, perciò, confessando la sua fede davanti al prefetto di Aveia, durante la temibile persecuzione dell’imperatore Decio nel 249-251.
Nonostante minacce, sevizie e blandizie (il prefetto gli promise in sposo, la sua figlia Cesaria, stando al martirologio ridefinito dal vescovo Domenico Taglialatela nel ‘700), Massimo continuò a testimoniarsi cristiano e per questo venne gettato dalla rupe “più alta e detta circolo e torre del Tempio” avejano, il 19 ottobre 251.
La leggenda di Massimo martire ed operatore di “maraviglie” per i devoti, innerva la importanza della diocesi forconese, citata nel Liber Pontificalis di papa Zaccaria nel 747, e, dallo storico Paolo Diacono nel 787, diretta dal 495, dai vescovi Gaudentius e Fulgentius, che ne fecero in decadenza di Aveja, il riferimento della Vestina.
Alla distruzione della Valeria, causata dai Longobardi ariani di Ariulfo nel 571, l’ex diocesi avejate fu trasferita a Forcona, sede di uno dei sette Gastaldati e tenutari entro il Ducato di Spoleto.
Primo vescovo forconese fu Florus, che si firmava «exigus episcopus», anti eresia monotelista al Concilio Ecumenico di Costantinopoli sotto papa Agatone nel 680; poi, succedettero sotto scorrerie saracene dell’VIII al IX secolo, Albino, Giovanni, Ceso e Gualtiero il fondatore del capitolo ecclesiastico d’area.
Nel 936, il Chronicon Farfense, menziona la cattedrale di Forcona, come sede di vescovato in pectore e resti di Sancti Maximi (patrono aquilano, assieme ad Equizio, Celestino, Bernardino Da Siena).
Nel 956, ecco un impulso decisivo alla cultualità del Santo nostro, in ordine alla discesa nella penisola di Ottone I di Sassonia, al fine di ricevere legittimazione dal papa Giovanni XII cui rinnovò come i re Franchi da Pipino a Carlo Magno il possesso dei contadi amiternini e forconesi; la maestà imperiale chiese, appunto, al pontefice romano di accompagnarlo al sito del Santo Massimo per venerarne le reliquie ed all’atto di questo evento storico, si ha notizia di un prodigio legato al riconoscimento come sede vescovile di Forcona (ciò avvenne il 10 giugno di quell’anno, di qui, lo spostamento nel 1360 per volontà vescovile della festa religiosa, in questa data)
Il mirabile episcopato forconese, inglobante il residuo amiternino dall’800, dura fino al 1257, quando papa Alessandro IV, lo sposta alla recentissima Aquila, avente in sua piazza maggiore, il duomo intitolato al Santo Giorgio e al Santo Massimo, le cui spoglie in cattedrale verranno traslate alla Pentecoste del 1413 e con la relativa fiera commerciale e la devozione del “cero” ai patroni municipali, proveniente da ogni castello intus ed extra moenia dela grande conurbazione medievale.