Giovanni Zambito
Riconosciuta come una delle principali interpreti di eroine pucciniane per le sue doti vocali e attoriali, il soprano Donata D’Annunzio Lombardi stasera calcherà le scene dell’Opera di Liegi nel ruolo di Aida, con la direzione musicale del M° Speranza Scappucci e la regia di Stefano Mazzonis di Pralafera. L’abbiamo intervistata.
Che cosa rappresenta per lei interpretare Aida?
Per un’artista come me rappresenta un ponte vocale ardito ed affascinante, essendomi dedicata molto, negli ultimi tempi alla scrittura pucciniana, è un impegno muscolare e mentale diverso ritornare al messaggio profondo di Giuseppe Verdi già affrontato in gioventù in Gilda, Violetta, e più recentemente in Desdemona e la stessa Aida nella realizzazione Zeffirelliana, nel 2016.
È per me motivo di gioia e di rinnovato impegno! Aida è stata concepita come Grand Opéra e lo è nell’immaginario collettivo, bastano il Trionfo, le scene corali e i balletti a nutrirci di questa magnificenza ma, in realtà, si possono percepire delle cifre intime, notturne, luoghi silenziosi, dove i sentimenti veri emergono grazie a un’inventiva melodica meravigliosa che fa di Verdi il grande narratore dello spirito ottocentesco italiano e il grande padre del Risorgimento. Quale opera più di Aida rappresenta questo struggersi per la Patria e per gli amori infelici, irrealizzabili? Sono molto felice d’essere qui; in teatro si lavora in grande armonia e precisione, e questa produzione consente di esprimere sia musicalmente che registicamente queste autentiche intenzioni.
Dunque, è sempre possibile trovare in personaggi simbolo come Aida trovare delle nuances inedite in base anche alla propria personalità…
Ogni artista ha il dovere di farlo e di cucirsi l’abito musicale e interpretativo addosso, ma sempre nel rispetto totale della scrittura e delle intenzioni drammaturgiche del Compositore .
Rileggendo e ristudiando Aida, ho riscoperto felicemente assecondata dal Maestro Speranza Scappucci, la coscienza ipergiovanile e iperinnamorata di Verdi grazie alla quale i personaggi si svelano febbrilmente motivati, carichi di enfasi e struggenti d’amore nell’autenticità romantica che non consente il timore della morte, poiché il sogno dell’angelo che traluce e alleggerisce gli affanni terreni è più fulgido e grande di ogni “Valle di Pianti”. Il Cielo, si può schiudere!
Come interprete pucciniana, c’è fra i tanti personaggi uno che sente più “suo” rispetto ad altri?
Io canto molto e adoro il difficile ruolo di “Butterfly”, tra poco sarò Tosca in Italia e ne sono felice, però da sempre ricevo una rara suggestione di bellezza dalla figura di “Manon Lescaut”. Puccini la disegna mirabilmente insieme a De Grieux in quei “movimenti per moti contrari’, rivelando una spontaneità compositiva e di intenti amorosi profondi. Non c’è più il Cielo a condurli, ma la strada nuda e polverosa dell’uomo e della donna nella loro moderna solitudine … Poi c’è lei : la principessa “Turandotte”: Tutt’altro che urlatrice .. piuttosto contraltare della tenera LIÙ… anche questa vocalità andrebbe ricercata nella risolutezza e nel volume di una giovinezza estrema.
Se Manon Lescaut mi incanta per i propositi dell’esordio, Turandot mi strugge e mi commuove per l’epilogo della vita stessa di Puccini, mi sembra poi che in entrambe, per opposte ragioni, Puccini sia più attore vivo e spontaneo che spettatore nei suoi meccanismi e nella sua immensa arte compositiva.
Quale idea tiene sempre presente nel suo percorso?
Di non tradire mai il personaggio già disegnato dall’Autore: sia dal punto di vista musicale, sia da quello drammaturgico! qualsiasi approfondimento deve … restituire la matrice per cui è nato!
Poi studiare tantissimo la tecnica in modo tale che gli automatismi siano acquisiti.
Altra cosa importantissima è la compattezza degli intenti fra tecnica vocale ed espressività: dunque :lo studio assiduo che consente certi automatismi.
Poi mi sembra fondamentale non compiacersi mai di se stessi ma sentirsi sempre strumento di qualcos’altro.
L’augurio che faccio a me stessa e a tutti quanti vogliano intraprendere questa carriera è di non perdere mai di vista il senso del dare.
Grazie a questo, ci è permesso di attraversare i sentimenti più alti e di consolare quelli più dolorosi.