di Francesco Lenoci
Docente Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano
Sono felice della decisione di Goffredo Palmerini di presentare il suo libro “Grand Tour a volo d’Aquila” a Milano, presso l’antica Caffetteria Passerini e oltremodo felice che abbia pensato a Angelo Dell’Appennino, Valentina Di Cesare, Hafez Haidar e al sottoscritto per rendere indimenticabile la presentazione.
Ho avuto la fortuna di conoscere Goffredo Palmerini otto anni fa, il 28 giugno 2011, all’Aquila.
Riesco ad essere così preciso, perché Goffredo ha menzionato il mio intervento di quella sera relativo al mitico Ristorante Aquilano “Tre Marie”, in un suo pezzo, poi collocato in “L’Altra Italia”, il secondo dei suoi libri con One Group Edizioni.
Senza quel preciso riferimento, a chi di voi mi avesse chiesto da quanto tempo conosci Goffredo avrei risposto, senza alcuna esitazione “Ci conosciamo da sempre”.
Non credo di sbagliare affermando che anche Goffredo avrebbe dato la stessa risposta “Ci conosciamo da sempre” con riguardo al suo amico Francesco.
Perché? Semplicemente perché sono tanti i temi ci accomunano, che ci appassionano.
L’ultima volta che ho incontrato Goffredo è stato il 27 maggio 2018 all’Aquila, per “Start up weekend L’Aquila”, meraviglioso evento che si è svolto presso l’Università degli Studi dell’Aquila, Dipartimento di Scienze Umane.
La penultima volta che ho incontrato Goffredo è stato il 13 marzo 2018, sempre all’Aquila, presso la Sala Conferenze ANCE. Ho parlato per quattro ore di rendiconto finanziario a tanti dottori commercialisti e a Goffredo.
Ovviamente, dopo due mie “discese” all’Aquila, toccava a lui “salire” a Milano ed eccoci qua, presso la Caffetteria Passerini, che quest’anno compie 100 anni, festeggia il centenario.
Tra le tante parole chiave del libro di Goffredo Palmerini “Grand Tour a volo d’Aquila”, quella che ho scelto per illuminare questo incontro è “Teatro”.
L’AQUILA E NEW YORK
Ne libro si parla di un Aquilano che vive a New York, che il 5 luglio 2017 ha festeggiato 18 lustri. Il suo nome è Mario Fratti.
All’Aquila, il 5 luglio 2017, il giorno del suo novantesimo compleanno, toccato dall’emozione, ma con il grande sorriso aperto, disse:
“Sono felicissimo di essere tra la mia gente, nella mia città dove sono nato 90 anni fa. Mi sento amato e rispettato, forse per la mia cordialità e positività. Cerco di costruire un futuro migliore.
Nelle mie opere, contrariamente a certi film o drammi teatrali dove non si capisce mai come finiscono, c’è sempre una conclusione positiva e chiara. Secondo me il dovere principale di un autore è proprio questo.
Il sorriso mi ha aiutato tutta la vita a parlare con tutti. Rompe la diffidenza, aiuta a dialogare anche con chi ha un’avversione.
Io credo nell’Uomo, nonostante l’uomo. Credo nell’uomo nonostante.
La mia qualità è l’essere sempre ottimista e persistente. Quando parlo con i giovani, li invito ad essere persistenti. Anche quando si hanno sconfitte bisogna persistere, perché arriverà il momento del trionfo. Bisogna essere ottimisti, impegnarsi e le cose miglioreranno.
Sono anche felice perché ho visto che L’Aquila sta rinascendo. L’Aquila rinascerà avremo una città molto più bella di prima”. (Cfr. pagg. 290-291)
Quel giorno parlò anche Goffredo:
“Voglio annotare come Mario Fratti, con la sua semplicità e bonomia, dia il senso di come stare bene nel mondo.
Chiunque l’abbia visto nel suo ambiente, a New York, ha avuto la percezione immediata della considerazione e del prestigio di cui gode questo straordinario ambasciatore dell’Abruzzo, dell’Aquila e della cultura italiana nel mondo.
Lì a New York basta solo dire “Mario”, perché si sappia già che si parla di Mario Fratti.
Lui ha una relazione non costruita e senza orpelli con le più alte personalità, ma anche con il senzatetto che chiede per strada l’elemosina, cui non solo dà il suo aiuto, ma anche una parola di saluto e d’incoraggiamento.
Mario rende migliore il mondo e l’Umanità con le sue opere. C’è un quid in più nelle sue opere e nella sua scrittura teatrale, ma soprattutto nel suo modo di vivere, sempre con l’attenzione rivolta verso ogni essere umano. C’è un nuovo umanesimo in tutta la quotidianità della sua esistenza. Mario accende speranze. Ha entusiasmato l’Aquila e il Consiglio Regionale. È uno dei più straordinari figli d’Abruzzo.
Ha ragione Mario quando dice che tutti possiamo migliorare un po’ il mondo e l’umanità, facendo ciascuno con amore e passione la propria parte. C’è da credergli”. (Cfr. pag. 292)
SAN MARCO IN LAMIS E NEW YORK
Nel prossimo libro di Goffredo Palmerini (lui non lo sa ancora: è una sorpresa che gli preannuncio adesso) si parlerà di un Sammarchese che, per il combinarsi delle combinazioni, vive a New York, che il 14 gennaio 2019 ha festeggiato 19 lustri. È un grande amico di Mario Fratti. Il suo nome è Joseph Tusiani.
Ho incontrato Joseph Tusiani il 30 settembre 2010 presso il Teatro del Giannone a San Marco in Lamis: uno dei giorni indimenticabili della mia vita. Quella sera conclusi il mio intervento pronunciando le parole che stavolta colloco all’inizio.
Con riguardo alla monumentale opera di Joseph Tusiani ho capito una cosa fondamentale e mi piace rivelarla presso un Teatro collocato in una Scuola.
Non è importante la lingua in cui scrive (inglese, latino, italiano o dialetto garganico), non è importante il posto in cui ambienta la vicenda (San Marco in Lamis, New York, una nave . . . .): l’essenza del tutto è che ciò che scrive proviene da un “Professore”, vale a dire da un Uomo che ha coniugato attitudine, istruzione, preparazione e determinazione per “professare”, al meglio, la sua materia.
E la sua materia è la vita:
- quella che c’è dentro secoli di fatti, conoscenze, poesie;
- quella che non smette mai di stupire, perché rinnova senza soluzione di continuità lo stupore sia nel docente che nei discepoli;
- quella che rende possibile avere i piedi nel borgo e la testa nel mondo;
- quella che consente al docente e ai discepoli di fare strada insieme;
- quella che va incontro a “l’infinito” che sta oltre “la siepe” dei banchi, delle cattedre, dei computer.
Ho reso omaggio a Joseph Tusiani anche a Milano, presso il meraviglioso Centro Filologico Milanese, in occasione della presentazione della sua autobiografia edita da Rizzoli “In una casa un’altra casa trovo”, il 30 novembre 2016.
Quella sera lessi una sua poesia intitolata “La Scienza”.
Nascere è il primo e l’ultimo mistero:
vale per me e per ogni universo
creato a splendere e spegnersi,
dopo cento miliardi di secoli
o appena dopo una minima vita di giorni.
Ecco, già nati non per nostro merito,
per un motivo siam parte del mondo
e per un altro motivo siam gli uni
dagli altri esseri vivi assai diversi,
più che pietra da pietra, erba da erba,
e da galassia altra galassia errante.
Ed è nata così l’umana scienza,
che dei remoti sovrumani mondi
non saprà nulla mai, e sol di questi,
a noi vicini, può scrutare nuove
cellule e nuove molecole arcane.
Ora lo so: altro non è la scienza
che il balbettio di un’umile preghiera,
eterna e giornaliera, alla ricerca
di un Dio che umanamente si diverte
nel farsi, giorno dopo giorno, ancora
comprender sempre più dal Suo creato.
Oltre all’amore per l’insegnamento, ci sono altre due cose che accomunano me e Joseph Tusiani.
La prima: due meravigliose mamme sarte.
Più che sarta eri allora. . . .
ed anche più che madre. . . .
Erano ali le tue dita,
le tue dita erano canti. . . .
(Mother’s Last Dress)
La seconda: la lontananza dalla terra natia. La lontananza, come cantava Domenico Modugno, “è come il vento: spegne i fuochi piccoli . . . . accende quelli grandi”. È strano a dirsi. La lontananza ci ha permesso di apprezzare meglio luoghi e personaggi che, altrimenti, non avremmo neppure notato e di provare sentimenti, che altrimenti ci sarebbero stati sconosciuti.
Chiedo aiuto a Joseph Tusiani, per spiegare al meglio questo concetto.
Chi non ha mai messo piede fuori d’Italia
non sa cosa sia udire all’improvviso
un canto del paesello natio in terra straniera.
Ti si inumidiscono gli occhi;
ti passano davanti, come su uno schermo magico,
tutti i volti dei vecchi amici,
rivedi ogni pendio erboso, ogni vicoletto ripido,
senti e distingui le campane delle chiese
e passi il dito sull’occhio
per asciugare una lacrima senza vergognartene.
A New York, ogni giorno, Joseph Tusiani bacia la terra del suo Gargano, che conserva in un umile ma preziosissimo astuccio. E poi guarda il Gargano attraverso il telescopio della poesia.
Il subconscio le coglie
una per una o tutte insieme
le stupende onde del cosmo
che incomincia e in noi sconfina?
Non avrei altrimenti all’improvviso,
o mio Gargano, angelico Monte,
voluto essere uccello e a te volare,
io che rivederti non speravo.
Il telescopio della poesia che guarda anche San Marco in Lamis.
Se all’improvviso a San Marco apparissi
e in quel momento i conterranei miei,
tutti, ma proprio tutti, ancor dormissero,
cosa farei alle due del mattino,
anzi di notte, in una città morta?
“Ma sono all’improvviso morto anch’io,”
mi chiederei, “o sono forse il solo
superstite, mortale fortunato
ancora vivo dopo un gelo immane
che tutto sulla terra ha congelato?”
Non saprei a me stesso che rispondere
quando, ad un tratto, ad un cenno d’intesa,
balconi si aprirebbero e finestre
e porte e porticine di sottani,
e mille e mille voci udrei gridare:
“Joseph è qui! È arrivato Tusiani!”
E invece sono qui nella mia stanza,
come ogni giorno incapace di volo,
buono soltanto a sognare, a sognare.
MILANO E MARTINA FRANCA
Nel prossimo libro di Goffredo Palmerini (lui non lo sa ancora: è una sorpresa che preannuncio adesso a lui e al maestro Alberto Triola, direttore artistico del Festival della Valle d’Itria, che saluto) si parlerà di un figlio di un Martinese che, per il combinarsi delle combinazioni, visse a Milano, di cui ricorrerà il centenario il 30 ottobre 2019.
La mostra a lui dedicata illuminerà il Palazzo Reale dal 26 gennaio al 24 marzo 2019. Il suo nome è Paolo Grassi, fondatore del Piccolo Teatro di Milano insieme a Giorgio Strehler.
Paolo Grassi – che oltre a dirigere il Piccolo Teatro di Milano per 25 anni, fu sovrintendente della Scala dal 1972 al 1977, e presidente della RAI dal 1977 al 1980 – aveva una profonda cultura umanistica, “era democratico a misura europea…aveva mutuato dall’ambiente milanese la larghezza di vedute, il senso dell’organizzazione, la laboriosità, il timbro europeo dell’esistere e dell’operare…”. (Cfr. Michele Pizzigallo)
Paolo Grassi – carattere vigoroso, tenace nella realizzazione dei progetti, signorile nei modi – era figlio di un Martinese e legatissimo alla città dei trulli e al Festival della Valle d’Itria.
Vi leggo lo straordinario monito di Paolo Grassi al Festival della Valle d’Itria:
“Un’idea di fare teatro, in un modo diverso dagli altri, non vi servirà molto. Anzi, vi farà soffrire di più. Ma sarà anche il segno del vostro orgoglio. Portate con voi l’esempio di una moralità teatrale per un mondo migliore e più buono. Non dimenticatevi: in epoche oscure anche le luci più tenui brillano come stelle. E ricordatevi anche che, nonostante tutto, il Mondo non finisce qui. Che il Teatro non finisce qui”.
Vi leggo lo straordinario intento di Paolo Grassi:
“Io devo fare il teatro per cambiarlo, per farlo diventare un fatto d’arte, di civiltà, di cultura”.
MILANO E VINCI E MARTINA FRANCA
Teatro, saluto il regista Marco Fragnelli. In occasione dei 500 anni di Leonardo da Vinci, che illumineranno Milano e Vinci con tantissimi eventi, ha progettato un meraviglioso spettacolo teatrale “LionArdo – dannatamente genio”. Per il combinarsi delle combinazioni, la prima rappresentazione andrà in scena a Martina Franca, il 6 aprile 2019, durante il Festival dell’Immagine.
“LionArdo – dannatamente genio” è un progetto che riguarda la “Nave-Mondo”, che sta andando alla deriva.
La sensazione di catastrofe imminente ci accompagna come uno zaino invisibile aggrappato alle spalle della civiltà. Ma non tutto è perduto, come ricordano l’arte, la poesia e la musica.
E, non solo un genio, uno dannatamente genio come LionArdo, ha il dovere di salvare la Nave-Mondo, ma anche noi.
“LionArdo – dannatamente genio” è un progetto pensato e realizzato interamente da giovani artisti, che non hanno paura di sporcarsi le mani raccontando i dolori del genere umano, che non smetteranno mai di cercarne l’anima raccontando la bellezza di ogni volto e indagando il timido incedere di un mezzo sorriso.
Concludo. Sia lode e gloria a Goffredo Palmerini.
Sia lode e gloria a Goffredo Palmerini e mi approprio della definizione coniata dal nostro comune amico Franco Presicci viaggiatore instancabile, viaggiatore curioso, viaggiatore ansioso di scoprire le perle del mondo.