17 giugno 2018
di Goffredo Palmerini
L’AQUILA – Non si attenua ancora l’emozione suscitata nella Chiesa aquilana e nell’intera comunità diocesana dalla notizia della prossima elevazione alla dignità cardinalizia dell’arcivescovo dell’Aquila, Mons. Giuseppe Petrocchi. Anzi, l’emozione sta man mano crescendo in vista del 28 giugno prossimo, quando si terrà il Concistoro con la creazione dei 14 nuovi Cardinali, e il 29 per la Messa del Papa con i nuovi porporati in Vaticano. Del tutto inatteso l’annuncio che papa Francesco, con il consueto tratto di semplicità e naturalezza, ha dato il 20 maggio scorso durante l’Angelus ai tanti fedeli presenti in Piazza San Pietro, rimbalzato in Italia e nel mondo grazie alla diretta televisiva, comunicando la creazione di 14 nuovi Cardinali nel Concistoro già fissato per la Festività dei Santi Pietro e Paolo.
Inatteso l’annuncio, sorpresa per le nomine, come ormai da tempo papa Francesco ci ha abituato, rompendo costumi e consolidate tradizioni nell’attribuzione della porpora cardinalizia. Mai scelte scontate. Ogni gesto e ogni decisione di questo Pontefice vanno colti nel loro peso specifico, che costantemente sembra incarnare quella che san Giovanni Paolo II chiamava “opzione preferenziale per i poveri” (Sollicitudo rei socialis, n. 42), con uno sguardo rivolto agli ultimi, alle frontiere delle periferie e della sofferenza. Ecco perché le sue scelte quasi sempre risultano imprevedibili, sorprendenti, controcorrente.
Come felicemente sorprendente, appunto, è stato l’annuncio della nomina cardinalizia di Mons. Petrocchi, il quale, per sua stessa ammissione, in un primo momento stentava a crederci e ci ha sorriso sopra, pensando che l’interlocutore trafelato, il quale tentava di dargli la lieta notizia, volesse scherzare. Nessuno scherzo, ma una scelta, quella di papa Francesco, che con il passare delle ore e dei giorni appare pienamente nella sua grande dimensione spirituale e umana: verso Mons. Petrocchi e verso L’Aquila. E così la nomina a Cardinale dell’Arcivescovo dell’Aquila è apparsa nella pienezza del suo significato: riconoscimento dei valori del Pastore, poi anche quale straordinario “dono” alla città e ai centri colpiti dal sisma. Un segno dell’attenzione premurosa del Santo Padre verso le sofferenze delle popolazioni dell’aquilano, squassate dai terremoti del 2009 e del 2016.
Mons. Petrocchi ha raccolto nel 2013 la guida della Chiesa aquilana nel momento forse il più difficile della storia della diocesi e della città capoluogo, con le drammatiche ferite materiali e morali inferte dal terremoto del 6 aprile del 2009. Una prova pastorale che l’ha impegnato e lo cimenta ogni giorno, non solo al pensiero della ricostruzione dei luoghi di culto – quasi il 90% delle chiese della diocesi il terremoto del 2009 ha distrutto o reso inagibili – quanto soprattutto alla consapevolezza che occorre ricostruire la dimensione spirituale e sociale della comunità, lacerata dalle conseguenze del sisma. Ricostruire, insomma, la dimensione integrale di una comunità che è sì certamente mirata alla riedificazione di case, chiese, monumenti, uffici, la qual cosa, nei suoi tempi alterni, va comunque procedendo.
Tuttavia, ben più importante è la ricostruzione del senso stesso di comunità di un popolo aquilano che si deve riappropriare in pieno della propria identità civile, della speranza, del suo futuro. Specialmente se si guarda alle giovani generazioni, questa è la missione prioritaria, inderogabile. Questa, infatti, la preoccupazione quotidiana dell’arcivescovo Petrocchi sin dal suo primo giorno all’Aquila, con l’impegno pastorale assiduo, tanto intenso e operoso quanto discreto e lontano dalle esposizioni mediatiche. Un impegno pastorale duale: attenzione alla rinascita materiale della città e più ancora alla rinascita morale e sociale, con l’occhio di chi ha consuetudine ad osservare ed analizzare i problemi dell’anima e dell’animo umano – Mons. Petrocchi è psicologo e psicoterapeuta. Di questo particolare aspetto, che attiene alla ricostruzione di una comunità matura d’un umanesimo integrale e d’una coesione sociale profonda che abbia a cuore le generazioni presenti e future, vogliamo parlare con Mons. Petrocchi, in questa conversazione, partendo dall’intensità delle sue riflessioni espresse due mesi fa in occasione del nono anniversario del terremoto.
Intanto, Mons. Petrocchi, qual è stato il suo primo pensiero nell’apprendere la notizia che papa Francesco ha pensato a Lei come uno dei 14 nuovi Cardinali?
«A me è apparso subito che questa nomina sia segno di un’attenzione speciale che Papa Francesco riserva a questa comunità ecclesiale e alla città dell’Aquila. Una città simbolo della sofferenza, delle attese e della speranza che unisce tutte le popolazioni colpite dalla sequenza dei terremoti che dal 2009 al 2017 hanno martoriato l’Italia Centrale. Dunque è segno di un amore che dà coraggio e apre prospettive di speranza per il futuro. In questo senso, il servizio cui papa Francesco mi chiama vorrei ancor più rivolgerlo alla promozione di una Chiesa missionaria, che si rende prossima agli ultimi, che raggiunge le periferie.»
Ha molto colpito la singolarità del suo messaggio, il 6 aprile scorso, in occasione del nono anniversario del terremoto. Queste le sue prime parole, che sono anche i cardini di una visione di città nuova, di una comunità che si rinnova: “Per la Comunità aquilana questo è il tempo della laboriosità, della ripresa, della saggezza e della prossimità: dimensioni che debbono essere declinate al presente, ma ancora meglio in prospettiva dell’avvenire”. Qual è per lei il futuro possibile per L’Aquila e per la sua comunità, latamente intesa nei suoi Castelli fondatori?
«C’è bisogno non solo di riedificare le devastazioni esterne, ancora visibili, ma di ricomporre le fratture interiori, provocate dal sisma. Infatti, c’è un terremoto che scuote la terra, ma c’è anche il terremoto dell’anima, che ferisce la mente, gli affetti e i rapporti interpersonali. Alcuni dolori sono così acuti e profondi che non possono essere espressi “parlando”: forse la loro manifestazione più immediata e intensa è il grido. Quando è impossibile urlare, queste sofferenze restano “mute”: tuttavia il grido non si azzittisce ma diventa “silenzioso”. Per questo, i primi verbi da coniugare per la ricostruzione non sono “progettare” e “fare”, ma “ascoltare” e “incontrare”: cioè, accogliere i bisogni profondi della gente, per disporli secondo il giusto ordine di priorità, e intensificare la tessitura delle “relazioni convergenti”, che potenziano la coscienza fattiva di essere un’unica famiglia. L’Aquila non va ridisegnata al passato, ma pensata al futuro. Inoltre, L’Aquila che deve “risorgere”, non è solo quella raccolta dentro le mura, ma anche quella esterna: cioè, allargata ai centri limitrofi che l’hanno costruita.»
Lei, Mons. Petrocchi, ha riservato una particolare attenzione alle lacerazioni della dimensione personale degli aquilani, ai sismi dell’anima che tante sofferenze – e patologie – il terremoto ha provocato. Dal suo punto di osservazione, qual è la situazione che vive la città e il territorio del cratere sismico?
«Il sisma del 2009, che ha causato immensi danni e provocato molte vittime, ha conosciuto una sequenza lunga di sciami culminati con i terremoti dell’agosto/ottobre 2016 e del gennaio 2017. Ancora oggi continuano i movimenti di assestamento del suolo, che aumentano l’ansia della gente. Oltre le devastazioni materiali, c’è da sottolineare che le “scosse telluriche” hanno prolungato la loro nefasta azione propagandosi attraverso “onde sussultorie” spirituali, emotive e relazionali, determinando profonde fratture nel vissuto religioso, psicologico, economico e sociale della popolazione. Le vittime del sisma ufficialmente sono 309: ma l’elenco andrebbe rivisto e, purtroppo, aumentato. Infatti, sacerdoti, medici ed esponenti della pubblica amministrazione mi hanno riferito che nei periodi successivi al terremoto molte persone, soprattutto anziane, sono decedute per infarto, per tumore o per malattie riconducibili a sindromi cardiovascolari o a drastiche diminuzioni delle difese immunitarie, causate da forte stress. Questo triste esito viene interpretato, da diversi clinici, come un atteggiamento di “congedo anticipato” dalla vita. Anche i fenomeni di tipo depressivo o di tristezza rassegnata hanno conosciuto, nel territorio, un improvviso e vistoso incremento, come è dimostrato dalla accentuata e anomala crescita nell’uso di psicofarmaci. La gente di montagna, molto dignitosa ma di indole introversa, tende a mantenere “serrati dentro” i sentimenti che prova, correndo il rischio che il dolore scavi solchi interiori e provochi relazioni personali impoverite. In sintesi: il tessuto sociale si è fortemente sfibrato e parcellizzato.»
Quali misure, a suo parere, andrebbero prioritariamente prese per ricostruire il senso della comunità, così essenziale per la rinascita della città?
«Migliaia sono le persone ancora residenti fuori delle loro case. Gran parte della gente che ha subìto questo “trasloco forzato” ha sofferto la perdita di legami affettivi di primaria importanza e si è ritrovata priva degli spazi tradizionali di aggregazione, come anche delle aree che ospitavano consolidate “abitudini” religiose e sociali. Robusto appare anche l’esodo silenzioso di tanti Aquilani che, pur risultando anagraficamente residenti nel territorio, di fatto hanno lasciato l’area del “cratere” per insediarsi nei centri urbani del litorale abruzzese o in altre città. La causa principale di tali spostamenti è da ricercarsi nelle incertezze che gravano sul presente, con il lavoro che manca, con conseguenti ripercussioni per il futuro. Il “tasso di allontanamento” risulta ancora più alto e preoccupante tra i giovani: per questo recentemente ho parlato di una “emorragia generazionale”, ormai in atto, che ci deve allarmare. Risultano accentuate, purtroppo, le fragilità e le spinte disgregative che colpiscono numerosi nuclei famigliari, come pure appaiono in ascesa inquietanti manifestazioni di disagio giovanile, che si esprimono nel disorientamento esistenziale e in diffusi fenomeni di “dissonanza” comportamentale. Appare perciò fondato concludere che, se non si trovano le vie per dare risposte concrete e rapide a queste sfide, nel prossimo futuro il “senso di appartenenza” di molti credenti e cittadini andrà incontro a fenomeni di “atrofia” e di marcata indifferenza e l’esperienza ci insegna che si rivelano refrattari a tentativi tardivi di recupero. Mi auguro, pertanto, che sia ben presente in tutti questa preoccupazione e che ciascuno operi per sanare e risolvere tali “criticità”. La ricostruzione, per essere vera ed efficace, non può quindi contare solo su logiche ingegneristiche ed efficienze tecnico-finanziarie: ha bisogno, prima di tutto, di ritrovare un’anima, munita di intelligenza “profetica” – che sa progettare l’avvenire valorizzando l’esperienza del passato – e dotata di un cuore che pulsi amore, spirituale e civile, capace di creare coesione sociale e cittadinanza attiva. Certamente la ricostruzione dell’Aquila deve garantire anzitutto la sollecita riedificazione delle abitazioni civili, per consentire alla popolazione di ritornare presto a casa, ma anche – e in modo sincronico – deve puntare al restauro delle chiese, che rappresentano un tesoro spirituale, artistico e storico. Esse costituiscono un fondamentale fattore “identitario” dell’aquilanità. Inoltre, questi luoghi di culto e di incontro assolvono anche al fondamentale e insostituibile compito di essere “spazi di prossimità”, sul versante ecclesiale e sociale».
Qual è stato e come può essere utile alla “ricostruzione” del senso di comunità l’impegno pastorale e il contributo operoso della Chiesa aquilana?
«La nostra attenzione, quella di tutti i sacerdoti e dei religiosi, quella dell’intera comunità ecclesiale, è quotidianamente impegnata verso il popolo aquilano non solo nella dimensione spirituale, ma anche negli aspetti sociali, culturali e formativi che possano favorire la ricostruzione del senso di una comunità civile coesa, operosa e solidale, con una particolare cura rivolta ai ragazzi e ai giovani. Essenziali in quest’opera sono però le strutture e i luoghi di aggregazione, dunque chiese ed oratori – e qui con rammarico ho osservato i ritardi e i problemi nella ricostruzione della Cattedrale, che ora finalmente appaiono in via di soluzione. In tale prospettiva assume valore determinante il progetto non solo di “riparare” le chiese danneggiate, ma di costruirne di nuove, laddove nelle periferie – in cui si addensa la maggioranza degli abitanti – mancano i luoghi di incontro comunitario e di socializzazione. Penso, come prima esigenza da affrontare, ad una struttura pastorale da costruire in un’area popolosa della periferia ovest della città. Si tratta di un importante investimento verso il futuro, un segno di ripresa dato all’intera comunità, ecclesiale e civile».
Di quale importante opera si tratta? Mi sembra di capire che abbia un valore emblematico per la Chiesa aquilana e per l’intera città, proprio come simbolo di “ricostruzione” del senso di comunità e d’identità civica.
«La zona di Cansatessa costituisce un popoloso quartiere esterno alla città, che ha urgente bisogno di strutture ecclesiali rispondenti alle esigenze degli abitanti. Attualmente dispone solo di ambienti provvisori, assolutamente inadeguati. C’è necessità di costruire lì una chiesa nuova. Si tratta di una decisione coraggiosa, interamente affidata alla Provvidenza, perché la nostra diocesi esce fortemente indebolita dall’esperienza del sisma. Perciò abbiamo bisogno della generosità e della solidarietà di tutte le persone che, dall’Italia e dall’estero, hanno un cuore grande per contribuire ad un’opera di rilevante utilità sociale, non solo spirituale. I costi globali previsti dal progetto di costruzione della chiesa e delle strutture pastorali della Parrocchia di San Giovanni da Capestrano, in Cansatessa dell’Aquila, sono 3.492.996 euro. Di questo importo il 75% sarà coperto con fondi stanziati dalla Conferenza Episcopale Italiana, il 25% dei costi della costruzione deve essere assicurato dalla Parrocchia, per una quota di 873.249 euro, cui vanno aggiunti altri 226.753 euro per lavori non ammessi a contributo. Ci occorrono dunque 1.100.002 euro di donazioni per poter iniziare a costruire l’opera. Con i donatori condivideremo ogni passo della costruzione, rendicontando loro le spese fino al centesimo di euro, con la massima trasparenza. Abbiamo fiducia nella Provvidenza. La nostra è una Chiesa che crede fermamente nell’azione Spirito Santo e nella solidarietà fattiva dei fratelli in Cristo! Fin d’ora assicuro le preghiere dell’intera Comunità per tutti i benefattori, ricordando che il Signore è infinitamente ricco di grazie e di misericordia verso coloro che, con il loro aiuto, promuovono la vita e la missione delle Comunità ecclesiali, specialmente quelle segnate dalla sofferenza».
L’intervista a Mons. Giuseppe Petrocchi, arcivescovo dell’Aquila che tra dieci giorni sarà creato Cardinale, si conclude con un appello alla generosità di tutti. Un appello che anche vorrei sottolineare con forza, richiamando la grande solidarietà e la vicinanza che gli italiani di tutto il mondo hanno riservato verso L’Aquila e i centri colpiti dai terremoti del 2009, 2016 e 2017. E che, mi auguro, anche in questa occasione non mancherà d’esserci. Mi rivolgo in particolare alle comunità abruzzesi nel mondo, straordinarie per impegno e passione, perché siano motore di sensibilizzazione in questa ulteriore prova di generosità, che troverà duratura eco e memoria nella Chiesa di San Giovanni da Capestrano in Cansatessa dell’Aquila, dedicata al grande Santo abruzzese, apostolo di unità e di coraggio nelle imprese più impegnative.