Enrico Cavalli
L’AQUILA – In un suo non recente, ma mirabile saggio (Capitale, Provincia, Campagne, in AA.VV., Intellettuali e Società in Abruzzo fra le Due Guerre, Roma, Bulzoni, 1986), il prof. Umberto Dante ci dice che per i mutamenti di gerarchie territoriali indotte dall’Unità, la ‘più popolosa città abruzzese’ diventa Roma. Coloro che dal Gran Sasso alla Majella, piuttosto che dal Tronto al Trigno, a prescindere da un proprio talento di base, avessero inteso di trovare impieghi e/o un’affermazione notabilare, non potevano che sbarcare, caduta la ‘patria napoletana’, per usare un’espressione cara a Vincenzo Cuoco, nella Capitale. E di esempi, ed illustrissimi, ce ne sono a iosa ed è superfluo citarli.
Non sfugge a questa regola della matrice capitolina, per l’anoblissement personale, Italo Foschi, nativo da famiglia benestante il 7 marzo 1884 nella teramana Corropoli, uno di quei centri laboriosi e silenti che guardano al più alto massiccio appenninico, come simbolo delle sommità da scalare, nella quotidiana esistenza.
Trasferitosi coi familiari armi e bagagli a Roma ad inizio ‘900, il personaggio si laurea in Legge alla “Sapienza” nel 1906 e da brillante avvocato della Corte dei Conti passerà alla storia, più che per la sua vocazione nazionalfascista, ma dai connotati ‘di sinistra’ essendo in perenne conflitto col Duce, invece, per il suo ruolo nella politica sportiva del Ventennio: fu l’ispiratore della famosa ‘Carta di Viareggio’ del 1926, conformativa per lungo tempo di una certa visione del calcio italiano ed il regista di importanti fusioni di club, a Giulianova nel 1923 e San Benedetto del Tronto nel 1924, per finire alla grande fondazione dell’A.S. Roma, il 22 luglio 1927, in antitesi ‘popolare’ alla ’olimpica’ e liberale S.S. Lazio.
Insomma, la vicenda di Foschi si inscrive in quei gerarchi adusi a delle estrinsecazioni agonistiche, deprecabili dal pensiero di un salientissimo abruzzese, che non a caso si sottrasse ai salotti romani, quale Benedetto Croce, ma questo è un altro discorso.
Le inquietudini post ‘normalizzazione’ mussoliniana del 1925, di Foschi, dentro la Federazione fascista dell’Urbe furono una molla che lo portarono a mantenere una visibilità operativa nello sport (col favore e non malcelato di Palazzo Venezia!), una passione che incideva profondamente nella sua stessa vita, perendo, dopo l’amnistia dalle responsabilità di regime, il 20 marzo 1949 alla notizia – riportano gli annali – della sconfitta della sua A.S. Roma.
A livello locale aquilano Foschi balza agli onori della cronaca per effetto del torneo calcistico fra i ‘Giovanissimi’ giallorossi e rossoblù, a sfondo benefico per il 7 giugno ed a lui dedicato dal Roma Club di L’Aquila “Vittorio Zingarelli”: per inciso, l’intitolazione del club cittadino di tifosi romanisti è a riconoscimento non solo del nipote per parte materna di Italo Foschi, ma di colui che nel capoluogo abruzzese fu benemerito e massimo dirigente delle aziende municipalizzate ed artefice del rugby neroverde e dello sport in generale, negli anni ‘60.
Non radi gli intrecci di Foschi con l’aquilanità dal punto di vista sportivo e politico, ambedue i fronti tipici di quegli anni ruggenti: all’atto degli accorpamenti calcistici, di cui sopra, egli venne assistito dal costruttore edile Elia Federici, originario di Barete, con questa amicizia realizzatore di via dei Fori Imperiali. Una volta esautorato dalla Segreteria del fascio capitolino, fu sostituto dal rocchigiano Nino D’Aroma e poi dall’aquilanissimo Adelchi Serena, anzi, per una comune appartenenza alla corrente farinacciana, i contatti fra il futuro capo del PNF e Foschi avranno aspetti collegabili all’allestimento dell’A.S. L’Aquila in serie B dal 1934 al ‘37.
Un profilo, quello di Foschi, da meglio discettare, fuori da pregiudiziali e/o revisionismi a targhe alterne, la qualcosa spetta a chi tenta di fare storia. Invece, la cosa più importante e meritoria è che sia stato occasionato a L’Aquila un momento di riaggregazione giovanile, a favore della onlus cittadina ‘Per la Vita’, in nome soprattutto dei valori interclassisti ed idealmente apolitici dello sport.