Egregio dottor Cazzullo,
mi auguro che l’anno appena iniziato passi presto e che gli argomenti di attualità facciano dimenticare il ripetersi dei luoghi comuni sulla Grande Guerra che continuano tuttora a imperversare.
La classe militare dell’epoca, da lei già definita “arrogante e ottusa” è divenuta, nel suo scritto odierno sul Corriere, “folle e criminale”.
Ma è possibile che tutti i Comandanti di tutte la nazioni in guerra fossero dei criminali? E’ possibile che tutti i colonnelli che andavano all’assalto alla testa dei loro reggimenti, se sopravvissuti, una volta promossi generali divenissero pazzi pericolosi? La realtà fu ben diversa: non si trovava il modo di superare la macabra efficacia del binomio reticolato-mitragliatrice contro il quale ben poco potevano le masse di fanti mandati all’attacco. La soluzione si trovò poi con il carro armato nella seconda guerra mondiale ma l’evolversi delle tattiche, come tutte le innovazioni, richiese tempi lunghi ed ebbe una tragica scia di sangue che tutti ricordiamo oggi con orrore.
E il “popolo” che salvò l’Italia sul Piave? Ma forse il popolo, cioè la truppa, non aveva combattuto con coraggio anche prima del novembre 1917? E allora come fu bloccata la Strafspedition sugli Altipiani? e i Granatieri del Cengio? e gli Alpini dell’Ortigara? E’ triste costruire su basi ideologiche quella che fu, prima e dopo Caporetto, come prima e dopo Verdun, una realtà storica tristissima ma frutto soprattutto dell’atrocità della guerra in sé e per sé, cui si aggiunsero indubbiamente errori, ma solo errori dovuti alla cultura militare del tempo e non atti criminali come Lei cerca di far credere ai suoi lettori.
Conoscendo il Suo prestigio e la Sua competenza, sono portato a ritenere che quanto Lei sta continuando a ripetere sistematicamente sia prevalentemente frutto
di quell'”antimilitarismo viscerale” della nostra intelligencjia – di cui scriveva il Suo predecessore sulla rubrica del Corriere, Sergio Romano – cioè di un pregiudizio di fondo su cui nessuna argomentazione storica o razionale potrà mai prevalere. (Non a caso in altri scritti Lei esalta i militari divenuti partigiani – cioè fuori dalle istituzioni ufficiali – ma non Le capita di dare atto al valore di Comandanti “regolari” quali ad esempio il Maresciallo Messe).
Mi asterrò pertanto dal continuare a scriverLe con monotona e uggiosa insistenza perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Ciò non toglie nulla alla profonda stima che ho per il Suo peso sul panorama della stampa italiana e per questo me ne rammarico ancor più.
Cordialmente
Gen. Mario Buscemi