di Goffredo Palmerini
E’ dunque meritoria l’attenzione che la Regione, attraverso l’Assemblea legislativa, rivolge ad uno dei suoi figli più affermati e prestigiosi. L’amore per la terra delle proprie origini e per la città natale è un sentimento dominante per Mario Fratti. Ovunque egli si rechi in giro per il mondo non manca mai di parlare dell’Abruzzo e dell’Aquila, specie dopo il terremoto, con l’orgoglio delle radici ma anche per le meraviglie d’arte, di cultura e bellezze naturali che la sua terra custodisce. Bene quindi ha fatto il Presidente Di Pangrazio a raccogliere la segnalazione che gli è arrivata da New York dall’associazione abruzzese Orsogna Mutual Aid Society. Così il presidente Tony Carlucci ha scritto nella sua lettera al Presidente del Consiglio Regionale: “Quest’anno un grande abruzzese che vive a New York compie 90 anni. E’ il drammaturgo di fama internazionale prof. Mario Fratti, che ha per molti anni insegnato in prestigiose università degli Stati Uniti. E’ una figura di primo piano per il teatro mondiale e nel mondo culturale americano. Qui a New York è un punto di riferimento per la Cultura italiana. Per gli Abruzzesi di New York, come per questa nostra Associazione Orsogna MAS, e per tutti gli Italiani d’America, il prof. Fratti è motivo di vanto e di orgoglio per l’onore che egli riversa sulla sua amata terra d’origine, l’Abruzzo, e sulla sua città natale, L’Aquila, capitale della nostra regione. Le sue numerose opere teatrali, che tanti Premi prestigiosi hanno ricevuto, vengono rappresentate negli Stati Uniti e all’estero con straordinario successo. Spesso il prof. Fratti raggiunge ogni angolo del mondo, dove è chiamato a tenere conferenze sul teatro o alle prime rappresentazioni delle sue commedie. Ma il suo più grande piacere è quello di tornare quasi ogni anno in Abruzzo, nella città dove nel 1927 è nato. Anche quest’anno, abbiamo saputo, egli tornerà nei primi giorni di luglio, per celebrare nella sua città natale il novantesimo compleanno, che cade il 5 luglio. Sarebbe molto importante e significativo se il Consiglio Regionale organizzasse un’iniziativa ufficiale per rendere onore all’illustre corregionale prof. Mario Fratti, che tanto prestigio conferisce all’Abruzzo con la sua eccezionale attività di scrittore, drammaturgo e giornalista. […]”.
Nell’attesa di conoscere i dettagli dell’evento, previsto nella mattinata del 5 luglio a L’Aquila, presso il Consiglio Regionale d’Abruzzo, piace segnalare la “festa a sorpresa” che lo scorso Primo Maggio il mondo teatrale americano ha riservato a Mario Fratti. In quel giorno s’apriva al Cherry Lane Theater di New York la quinta edizione del Festival In Scena! Questo almeno s’aspettava Fratti, sempre attento alle novità teatrali e in particolare a questo festival, diretto dalla regista Laura Caparrotti, cui il drammaturgo aquilano ha dedicato attenzione e sostegno sin dalla prima edizione. Si è trovato, invece, nel bel mezzo d’una serata di festa, interamente dedicata agli incipienti suoi 90 anni, con le testimonianze affettuose di personalità del mondo del teatro, dello spettacolo e della stampa. Ne ha dato conto Valeria Di Giuliano in un bell’articolo per La Voce di New York, giornale diretto da Stefano Vaccara, che così ha aperto il pezzo: “Tutti invitati stasera al Cherry Lane Theater per la festa a sorpresa dedicata a Mario Fratti. L’Opening night di In Scena! infatti quest’anno è dedicata a Mario Fratti che il prossimo 5 luglio compirà 90 anni e che per il festival, così come per il teatro italiano a New York, è una figura centrale e di riferimento. La serata prevede l’intervento di alcuni artisti che hanno lavorato e che ammirano il drammaturgo e columnist de La Voce e che lo omaggeranno con la loro arte, con tanto di brindisi finale. Mario Fratti, drammaturgo e critico di origine aquilane, trasferitosi a New York nel 1963, rappresenta ad oggi una vera e propria istituzione nel panorama culturale e sociale della Grande Mela.
Sono dunque andate in scena non le pièces, ma le testimonianze di Laura Caparrotti, direttrice e fondatrice del Festival, Donatella Codonesu, associate director, Carlotta Brentan, executive producer e attrice brillante, Berardo Paradiso, presidente dell’Italian American Committee on Education (IACE), Jonathan Slaff, attore – che ha raccontato come nel 1989 Mario organizzò uno scambio culturale a L’Aquila tra il Theater for the New City e La Piccola Brigata, compagnia teatrale abruzzese -, Rosario Mastrota e Dalila Cozzolino, due giovani artisti italiani che nel 2013 parteciparono al Festival In Scena!, Stefano Vaccara, direttore de La Voce di New York: “Conosco Mario da vent’anni. La prima volta che lo vidi fui fortunatissimo: mi portarono nella sua casa-palcoscenico-teatro e parlammo tra le sue carte, i suoi libretti e libroni, poster, locandine e quadri che mostrano quanta genialità la mente vulcanica di Fratti deve far sgorgare ogni giorno. Ho avuto l’onore di lavorare come suo editor, prima su US Italia Weekly e poi su La Voce di New York, dove inventò in esclusiva i colloqui tra Chiara e Benito, una coppia di una certa età, italiani emigrati a NY, lei liberal, tendente molto a sinistra, lui conservatore tendente all’estrema destra. Bastava leggere le discussioni tra la Chiara e il Benito di Mario Fratti di qualche anno fa, per capire perché sarebbe arrivato Trump!”.
L’ultima testimonianza, non espressa direttamente, ma letta durante la serata speciale di New York, è stata quella di chi scrive. Nella mia nota ho raccontato al pubblico del Festival e agli ospiti della serata speciale in onore di Mario Fratti la “sorpresa” che L’Aquila riservò al suo illustre figlio il 5 luglio 2007, per il suo 80° compleanno. Un ricordo che ho poi affidato alla stampa, così ne resti traccia duratura. L’Aquila si prepara quindi al doveroso tributo di riconoscimento e all’omaggio che il Consiglio Regionale d’Abruzzo dedicherà a Mario Fratti. Giova qui accennare brevemente alla sua intensa vita, con qualche annotazione sulla sua scrittura teatrale e sulle sue opere, rappresentate in ogni continente.
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Nato a L’Aquila il 5 luglio 1927, dopo la laurea alla Ca’ Foscari di Venezia, Mario Fratti avvia alla fine degli anni Cinquanta una ricca produzione drammatica. E’ del 1959 il suo primo dramma Il nastro, vincitore del premio RAI. Non fu mai radiotrasmesso. Giudicato allora sovversivo, narra le confessioni sotto tortura di alcuni partigiani, poi fucilati dai fascisti. L’autore era arrivato trentenne a scrivere per il teatro, dopo giovanili esperienze poetiche. Anche un romanzo all’inizio della sua vita letteraria, ma pubblicato solo nel 2013. Una lunga e cruda storia sui fatti dell’occupazione nazista a L’Aquila, intessuta con il racconto della successiva conversione democratica di molti fascisti della sua città natale, riconoscibili dal loro nome, che diversi editori si guardarono bene dal pubblicare. Fu così che scelse di scrivere testi teatrali. Legata al caso la circostanza che lo porta negli Stati Uniti. Nel 1962 presentò al Festival di Spoleto il suo atto unico Suicidio. Piacque a Lee Strasberg, che lo volle dirigere all’Actor’s Studio di New York. In quella fucina delle avanguardie teatrali divenne un vero successo. Poi ne seguirono altri, fino ad oggi. Nel 1963 Fratti approda a New York, dove al lavoro come autore teatrale aggiunge la docenza presso la Columbia University e l’Hunter College della CUNY. In quel Paese, dunque, il grande apprezzamento per le sue opere, tradotte e rappresentate poi sulle scene di ogni continente. Dall’America all’Europa, dalla Russia al Giappone, dal Messico all’Argentina, dal Brasile alla Cina, dall’India all’Australia. Esse si connotano per l’immediatezza della scrittura teatrale, asciutta e tagliente come la denuncia politica e sociale senza veli che egli vi trasfonde.
Le opere drammaturgiche di Mario Fratti sono finora tradotte in 21 lingue e portate in palcoscenico in più di 600 teatri sparsi in tutto il pianeta. Da decenni ormai il successo lo rincorre. Circostanza assai singolare, in America, dove i riflettori sugli autori teatrali si accendono giusto il tempo della rappresentazione a Broadway d’una loro buona opera. Poi l’interesse svanisce, talvolta per sempre. Ha quindi del sensazionale il successo che ininterrottamente, da decenni, hanno le opere di Fratti. Un destino che non è toccato neanche a grandi autori americani come Tennessee Williams o Arthur Miller, riscoperti dopo la loro morte. Come pure a scrittori europei del calibro di Sartre, Anouilh, Brecht, Toller, Pirandello, De Filippo. Egli dunque è sicuramente, tra gli autori per il teatro viventi, uno dei più illustri al mondo. Un italiano famoso, nell’olimpo del teatro, ma che tuttavia non perde un briciolo della sua schietta indole aquilana. A Manhattan, dove vive dal primo giorno della sua emigrazione dall’Italia, in una bella dimora sulla 55^ Strada – una casa museo piena di libri, trofei, manifesti e locandine delle sue opere, pergamene, targhe e riconoscimenti vari, opere d’arte e ninnoli vari –, a due passi da Broadway, è un punto obbligato di riferimento culturale. La sua rubrica settimanale sulle novità teatrali su Oggi 7 – il magazine culturale di America Oggi, giornale in lingua italiana che si pubblica a New York – è attesa sempre come un evento. Per questa attività di critico segue almeno trecento spettacoli l’anno nei teatri della Grande Mela. Ma Fratti si schermisce, non si considera tale, perché alle stroncature preferisce invece incoraggiare le novità interessanti, i giovani autori e soprattutto promuovere il teatro italiano.
Fratti confessa: «Il teatro mi ha insegnato a non essere letterario. Nei testi teatrali bisogna essere concisi e precisi. Niente retorica, niente letteratura». Oggi la sua produzione raggiunge una novantina di opere. Negli Stati Uniti, sin dal suo arrivo, lo accoglie con favore la critica. Il suo stile è perfettamente compatibile con l’indole americana, aliena dalle ridondanze, dalle metafore e dalle sfumature tipiche del teatro europeo. Lo aiuta per di più la completa padronanza della lingua inglese e la conoscenza profonda della letteratura americana. Ma Fratti scrive anche commedie per musical. Nine, una sua commedia scritta nel 1981 e liberamente ispirata dal film 8 e mezzo di Federico Fellini, è diventata un musical d’enorme successo di pubblico e di critica, un vero e proprio fenomeno teatrale con oltre duemila repliche. L’ultima versione, con Antonio Banderas interprete, è rimasta per anni in cartellone al teatro Eugene O’ Neil, a Broadway. Molte le produzioni negli Stati Uniti e anche all’estero. Tanti i riconoscimenti all’autore teatrale, un elenco lunghissimo. Cito per brevità i 7 Tony Award vinti, che nel teatro sono quel che gli Oscar sono per il cinema, il premio Selezione O’ Neil, il Richard Rogers, l’Outer Critics, l’Heritage and Culture Award, ben 8 Drama Desk Award e altri 8 Award for Political Theater, come pure altri riconoscimenti prestigiosi come il Magna Grecia Week, il Capri Award alla Carriera, il Premio Vallecorsi. E in Abruzzo il Premio John Fante.
Paul T. Nolan, docente alla University of Southern Louisiana, riguardo la letteratura drammaturgica in America – che ha in Eugene O’ Neil, Thornton Wilder, Arthur Miller, Tennessee Williams e Edward Albee le sue punte di diamante –, rileva come il successo negli States per questi autori sia stato tardivo, spesso legato all’eco di qualche fortunata rappresentazione in Europa. Come pure il teatro europeo, quantunque sempre considerato con molto rispetto e ammirazione negli Stati Uniti, ha visto gli autori europei viventi, anche di prima grandezza, raramente baciati dalla fortuna in quel Paese. Si è dovuto attendere la loro morte per riscontrare apprezzamenti e successo. Una sorte simile toccò a Bertolt Brecht e Jean Paul Sartre. Davvero una singolare difficoltà di relazione tra due letterature teatrali, tra due scuole e contesti artistici, quasi una sindrome di contaminazione del linguaggio e dell’espressione drammatica, quantunque siano comuni le radici culturali tra l’America ed il vecchio continente. Differente e singolare, invece, il caso di Mario Fratti.
Nolan annota “[…] Questa bizzarra relazione tra il teatro americano e quello europeo sembra aver stabilito la regola secondo cui il drammaturgo europeo ha la sua reputazione in America solo se resta “europeo”. Fortunatamente per il dramma moderno, Mario Fratti ha spezzato questa regola con un gran successo. Ha dimostrato che può fondere gli elementi della sua tradizione europea con l’esperienza americana, creando un tipo di dramma che fa onore ad entrambi i continenti. I futuri storiografi teatrali indicheranno probabilmente nella sua carriera di drammaturgo l’importante inizio di una nuova fase: lo sviluppo di una comunità teatrale veramente internazionale […]”. E ancora, “[…] E’ importante capire che il successo di Fratti, in un’avventura dove Brecht e Sartre fallirono, è dovuto al fatto che l’autore non ha portato solo la sua eredità drammatica europea ed il suo talento di drammaturgo. Ha anche portato in una nuova società simpatia, curiosità e giudizi umani […]. Fratti scrive come nessun autore americano potrà mai, perché porta alla sua comprensione della società americana non solo la compassione e l’indignazione morale di ogni uomo sensibile, ma anche la tolleranza presente solo in scrittori associati in un’antica civiltà […].”
Come pure in un saggio del 1977 sul teatro di Fratti aveva scritto Mario Verdone: “[…] Le sue qualità più evidenti (di Mario Fratti, ndr) restano l’attualità, la sensibilità per il documento e la cronaca, l’abilità di costruire per il teatro e di suscitare sorprese, la capacità di interpretare e discutere l’epoca d’oggi, la super-nazionalità che gli permette di restare al di sopra del mondo americano o italiano, per esprimere, con conoscenza dei mezzi teatrali, un mondo proprio, tutt’altro che ovvio o vecchio: con asciuttezza, misura, essenzialità e carica emozionale. Un autore, dunque, da esaminare con più interesse e rispetto, in considerazione di un’opera complessa, calibrata, solida; e d’un successo che ben pochi autori italiani possono registrare con pari dimensioni geografiche […]”. Jean Servato, alcuni anni fa, così si esprimeva sullo scrittore aquilano: “[…] Noi rendiamo merito a Mario Fratti, da questa vecchia Europa, anche se un oceano finge paratie insormontabili e ci fa credere lontane tali ferite: sono sempre lacerazioni umane che occorre sanare e che Fratti trascrive nei suoi drammi, con uno stile eccezionale, di altissima fattura, che lo pone accanto ad Arthur Miller, a Tennessee Williams, ad Eugene Jonesco, agli italiani Luigi Pirandello ed Ugo Betti, quale testimone attento, meticoloso inimitabile del suo tempo, nel cuore, pur sempre stupendo, del ciclone America […]”.
Qualche anno fa, in una breve intervista, chiesi a Mario Fratti quali fossero gli autori di teatro italiani che più ammirava. “Grandi maestri come Pirandello, Betti, De Filippo e Fo – mi rispose Fratti –, ma mi sento spesso colpevole. Ci sono in Italia una decina di bravissimi autori che meriterebbero lo stesso mio successo. Aldo Nicolaj, Alfredo Calducci, Vincenzo Di Mattia, Giorgio Fontanelli, Anton Gaetano Parodi, Maricla Boggio, Mario Moretti, Giuliano Parenti, Luigi Lunari, Roberto Mazzucco. Ed ancora un’altra ventina, che solo per brevità non cito, sono di buon valore. Purtroppo non sono tradotti. E questo è un grave handicap. C’è poi in Italia il singolare vezzo dei registi di fare quasi sempre commedie straniere, ignorando gli autori italiani. Una vergogna! Guadagnano di più sulle opere straniere – è questione di royalties – questo il motivo discutibile della loro scelta. Basterebbe allora che in Italia lo Stato obbligasse i teatri che sovvenziona a rappresentare un buon numero di testi italiani ed il problema sarebbe risolto. Appunto come fanno in America, Francia e Germania”. Una risposta che fa riflettere sulla nostra politica culturale.