Vincenzo Ruggieri
La recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. I civile – n. 11504 del 10-5-2017, dopo diversi anni, ha modificato il diritto, il calcolo, e le modalità del riconoscimento dell’assegno di divorzio basato sul vecchio parametro del tenore di vita con l’introduzione di uno nuovo metodo: il c. d. parametro di spettanza, basato, non più sul precedente tenore di vita, ma sulla valutazione dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che richiede il mantenimento.
Sono appena passati appena pochi giorni dalla data della sentenza che i coniugi divorziati, tenuti (o condannati) a corrispondere l’assegno, si domandano se la sentenza è retroattiva o meno.
Qui sorgono seri dubbi: tra il diritto acquisito e la retroattività della sentenza. Tuttavia, a parere di chi scrive, se ci sono i presupposti validi, certamente si può ottenere una revisione del giudicato.
A differenza dell’assegno di mantenimento al coniuge che viene riconosciuto dopo la separazione, l’assegno divorzile, è un assegno che l’ex coniuge deve corrispondere all’altro coniuge più bisognoso, dopo la sentenza di divorzio, cioè dopo l’effettivo scioglimento del vincolo matrimoniale.
Il diritto a ricevere l’assegno ed il suo importo, sono stabiliti dal Giudice tenendo conto delle condizioni di vita dei due coniugi, le ragioni che hanno portato alla fine del matrimonio, alla separazione, alla durata del matrimonio ed infine al divorzio, il tipo e l’entità del contributo personale ed economico che ciascun coniuge ha portato all’interno della famiglia e al patrimonio.
I presupposti per avere diritto all’assegno divorzile, sono:
Sentenza di divorzio definitiva, situazione di bisogno da parte del coniuge beneficiario: ciò significa che per avere diritto alla corresponsione dell’assegno di divorzio, il coniuge deve versare in una situazione disagiata senza mezzi adeguati al suo sostentamento a causa di ragioni oggettive.
Caratteristica fondamentale dell’assegno divorzile, è che il diritto nasce da una causa oggettiva: l’impossibilità per il coniuge più debole di potersi procurare i mezzi necessari al suo sostentamento. Tale condizione, deve comunque essere provata e verificata dal giudice.
L’assegno divorzile, come l’assegno di mantenimento nella separazione, funziona come una misura assistenziale/solidaristica verso il coniuge più debole, al quale va evitato il peggioramento delle condizioni patrimoniali e vitali rispetto all’altro coniuge, con la fine degli effetti del matrimonio.
I supremi Giudici, hanno sentenziato che ai fini del diritto all’assegno divorzile e per il suo calcolo, non va tenuto conto del parametro del tenore di vita matrimoniale bensì del parametro di spettanza, basato invece sull’autosufficienza economica o sull’indipendenza dell’ex coniuge che ne ha fatto richiesta.
“Il matrimonio”, infatti, come stabilito dalla Cassazione, “non è più la sistemazione definitiva: sposarsi, è un atto di libertà e autoresponsabilità”. Evidenzia soprattutto che i tempi sono cambiati e che è necessario: superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva”, perché è “ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile.
La Cassazione fa notare poi, che la sentenza di divorzio estingue gli effetti civili del matrimonio, non solo dal punto di vista affettivo e personale ma anche da quello economico-patrimoniale; con il divorzio il rapporto tra i coniugi finisce e mantenerlo con un’indebita prospettiva di un assegno, impedisce al vincolo matrimoniale stesso di terminare.
Per questo motivo che la decisione dei supremi giudici, nella sentenza, è quella di tenere conto non del parametro del tenore di vita ma del parametro di autosufficienza e delle possibilità reali dell’ex coniuge di raggiungere l’indipendenza economica.
Come si legge nella sentenza, se viene accertato che l’ex coniuge è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio.
Perché ci sia l’indipendenza economica dell’ex, la Cassazione, dice che occorre:
- il possesso di redditi;
- il possesso di un patrimonio mobiliare e immobiliare;
- le «capacità e possibilità effettive» di lavoro personale;
- la stabile disponibilità di un’abitazione.
La sentenza in trattazione, secondo vari avvocati matrimonialisti ha cambiato non solo il criterio per valutare il diritto al riconoscimento dell’assegno divorzile ma anche il modo di calcolarlo e di conseguenza la sua misura.
Riconoscere l’assegno al coniuge solo perché si è stati sposati, perché, dopo il divorzio, non si ha più lo stesso tenore di vita avuto durante il matrimonio e perché si è dimostrato di non avere i mezzi necessari al proprio mantenimento, non sono più motivazioni valide.
Se l’ex coniuge è giovane ed è in grado di lavorare, è anche in grado di reperire da sola le risorse necessarie al suo sostentamento, produrre reddito e quindi di mantenere lo tesso tenore di vita di cui godeva durante il matrimonio, per questo non ha diritto all’assegno di mantenimento, anche se durante la vita matrimoniale, era casalinga.
Finito il matrimonio con il divorzio, ciascun ex coniuge deve badare a sé e nessuno può obbligare l’uomo, ma a volte anche la donna, a mantenere il coniuge, se dispone di tutte le risorse fisiche e mentali per potersi sostenere da solo.
Per cui ora, come si calcola l’assegno divorzile o di mantenimento?
In base a quanto sentenziato dalla Corte Costituzionale, per accertare il diritto all’assegno divorzile, occorrono due fasi:
Prima fase: il giudice deve accertare da parte del coniuge che richiede l’assegno divorzile, la mancanza di mezzi economici adeguati a garantire lo stesso tenore di vita avuto in costanza di matrimonio. Il parametro, per fare questo tipo di valutazione, non deve essere però solo il reddito della famiglia quando i due stavano insieme ma anche quello che sarebbe potuto diventare con la continuazione del matrimonio. In questo modo, se durante la vita matrimoniale, i due coniugi hanno fatto grandi sacrifici per avviare un’impresa o la carriera lavorativa, anche di uno dei due, una volta finito il matrimonio con il divorzio, l’assegno deve tenere conto di questi sacrifici, come ricompensa degli sforzi fatti durante l’unione;
Seconda fase: il giudice passa alla determinazione dell’importo spettante. Il calcolo dell’assegno divorzile, deve tenere conto:
- delle condizioni dei coniugi;
- le ragioni del divorzio;
- del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla famiglia;
- del contributo alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune;
- della durata del matrimonio;
- delle rispettive potenzialità economiche.
L’attribuzione dell’assegno in questo caso sarebbe un illegittimo arricchimento perché fondato soltanto sull’esistenza di un rapporto matrimoniale ormai estinto.
La Corte, citando la sentenza n. 11490 del 1990 che fu resa a sezioni unite, afferma che a distanza di quasi ventisette anni, il suddetto orientamento non è più ritenuto attuale.
Una sentenza rivoluzionaria non solo nel contenuto ma anche nella terminologia. La Corte evidenzia l’“estinzione” del rapporto matrimoniale, sia sul piano dello status personale, (il coniuge ritorna) “persona singola”, sia sul piano dei rapporti patrimoniali.
Esultano i “mariti” divorziati nella speranza di veder ridimensionato l’assegno divorzile concesso dalla precedenza sentenza.
Esultano gli avvocati matrimonialisti nella speranza che la commentata sentenza sia portatrice di nuovi ricorsi giudiziali.