Archeologia industriale: trappeti ed economia tra il ‘500 e ‘900
(prima parte)
di Stefano de Carolis
Olea prima omnium arborum est
Giunio Moderato Columella, uno dei grandi agronomi del tempo, (morto nella città di Taranto dell’Apulia romana, nel 60 d.c.) recitava: “olea prima omnium arborum est”. Ossia fra tutti gli alberi, il primo posto spetta all’ulivo. L’ulivo da sempre ha rappresentato il simbolo di gloria, purificazione, pace, abbondanza, e benedizione. Nell’antichità, ha donato le sue fronde per incoronare sia i vincitori di pacifici giochi che i guerrieri di cruenti guerre, con l’olio, suo prezioso frutto, ha consacrato il capo dei grandi personaggi della terra, e illuminato le lampade votive di tutte le religioni.
I Greci e i Romani, utilizzavano l’olio d’oliva, soprattutto per la cura del proprio corpo. Quasi tutti gli uomini e le donne, ne facevano uso. L’olio spalmato sui corpi, aveva una funzione detergente e protettiva, inoltre veniva usato come unguento, arricchito con vari profumi ricavati da erbe e fiori. Chi aveva capelli e pelle secca, era considerato sporco, per questo motivo dopo essersi lavati, ci si ungeva con olio d’oliva.
In antichità, l’olio d’oliva non veniva utilizzato solo per la produzione di balsami profumati, ma come già accennato, veniva usato anche per la preparazione di numerosi impacchi, unguenti e pomate curative, utili alla cura di: ferite sanguinanti, per alleviare il prurito, per le punture provocate da insetti e piante, contro le ustioni della pelle. Inoltre si curavano altre patologie quali: mal di testa, infezioni delle orecchie, degli occhi e dell’utero, contro i disturbi intestinali ed epatici. L’olio d’oliva, veniva utilizzato anche in casi di avvelenamento.
Nel XII secolo, la badessa tedesca Ildegarda di Bingen, studiosa naturalista, sosteneva: “L’oglio che viene ricavato dall’ulivo non serve a molto se viene ingerito, perché causa nausea e rende il cibo pesante; invece è utile come medicinale”. Oggi la madre badessa, divenuta Santa nel 2012, avrebbe dovuto riesaminare molti dei suoi studi, modificando le sue teorie nei riguardi dell’olio d’oliva, in quanto nei secoli successivi, e soprattutto nei giorni nostri, sono state comprovate le sue molteplici virtù benefiche, divenendo elemento base di una sana e corretta alimentazione.
Con la caduta dell’impero romano e le invasioni barbariche, la coltivazione dell’olivo perse quella importanza economica acquisita nel tempo. Tuttavia nei secoli successivi, ebbe momenti di ripresa, grazie al lavoro e alla dedizione di alcuni ordini monastici, quali Benedettini, Cistercensi e Basiliani, che fecero rifiorire l’importante economia olivicola.
Furono proprio questi ordini conventuali a ricreare prima in Puglia e in tutto il meridione d’Italia, le grandi estensioni di ulivi, concessi in gestione ai contadini, con ‘contratti di concessione’ “ad laborandum”. Primi fra tutti, furono i monaci Benedettini, che per preminenti motivazioni liturgiche dovevano necessariamente tenere in vita la tradizione oleicola, operando secondo la regola ‘ora et labora’.
L’olio d’oliva divenne uno dei più importanti riferimenti commerciali, capace di far decollare l’economia dell’epoca, divenendo un’importante attività trainante. Tanto che, opportunamente, i feudatari imposero i ‘diritti prediali’, veri e proprisoprusi con i quali, ad esempio, si vietava l’impianto arbitrario di macine da frantoio, e chi ne aveva bisogno, doveva servirsi esclusivamente del trappeto del feudatario.
A Turi (BA), il trappeto del feudatario “il barone”, era impiantato al largo del castello (attuale palazzo marchesale). “…coverto a lamia con porta che corrisponde fuori le mura della terra, situato sotto la grada principale e a fianco di questo segue un basso grande coverto a lamia con finestrino con cancello di ferro verso il cortile coverto, e grada di esso si impiana in due cisterne per conservare olij di capacita some 100..” ( 100 some= 184 quintali)
Tra i tanti abusi, vessazioni e balzelli, posti in essere dal feudatario, c’era anche quella di corrispondergli la decima parte del prodotto raccolto, ‘l’esazione della decima dell’olio’, come anche quella delle olive, del vino, delle mandorle, dei legumi e di altri frutti che si raccoglievano nel territorio di Turi.
All’inizio del XIV secolo, la Puglia divenne un enorme e diffuso uliveto, e ben presto numerose piantagioni sorsero anche in tutta l’Italia meridionale. Verso la metà del ‘500, il mercato dell’olio in Puglia era diventato tanto importante, che il Vicerè di Spagna, De Riveira, per agevolarne il trasporto e la commercializzazione, fece costruire una agevole strada di collegamento da Napoli verso la Puglia, Calabria e l’Abruzzo. [In quel tempo una salma d’olio costava 14 ducati (1 salma = 350 lt.). 1 ducato (epoca Carlo V d’Asburgo, 1516-1556) pesava g. 3,53 in oro, quindi dovremmo ritenere che 1 ducato dell’epoca varrebbe, più o meno, circa 43,60 euro attuali].
Nel ‘600, con la dominazione spagnola, furono aumentate le tasse sulla produzione dell’olio ed il Real Governo instaurò contratti a termine della durata di due o tre anni (non più convenienti per il coltivatore). Tuttavia la produzione d’olio, riprese a crescere nel 1700, con lo sviluppo del libero mercato e con l’esenzione di tasse sugli uliveti per la durata di 40 anni. Nel 1830, Papa Pio VII garantiva un premio in denaro per ogni olivo piantato e curato sino all’età di 18 mesi. Dei 18 antichi trappeti, impiantati nel comune di Turi, tutti, tranne due, erano impiantati ‘extra moenia’, in particolare erano allocati nelle immediate vicinanze dalle antiche mura urbiche.
E’ doveroso ricordare anche l’importanza che rivestiva l’olio d’oliva nella produzione del sapone, all’interno delle ‘saponiere’, del suo utilizzo nelle ‘concerie’ per la lavorazione delle pelli, e per alimentare le lucerne, usate nelle nostre abitazioni sino agli inizi del ‘900.“La lucerna ad olio, simbolo di vita e di luce eterna, quindi d’immortalità.”
Sin dai tempi antichi si parla di saponificazione e d’olio d’oliva, dove dai porti più importanti del Mediterraneo, fra questi Taranto e Gallipoli, partivano le navi con grandi carichi d’olio d’oliva di scarsa qualità ‘lampante’ e ‘acido’, diretti verso i grossi centri del nord Europa, dove era sviluppata l’industria della saponificazione.
Anche in Puglia, se pur modeste, erano attive le saponiere, opifici artigianali gestiti dai laboriosi ‘saponari’. Un’attività parallela ai frantoi, nei quali, spesso si utilizzavano i residui d’olio ‘la fezze’ rimasta nei fondi delle cisterne o nei fondi dei comuni contenitori per l’olio.
Si ringrazia la collaborazione del periodico “il Paese magazine” di Turi.