La recente nuova edizione del Libro Bianco della Difesa si propone di apportare non poche innovazioni nella configurazione delle Forze Armate, con criteri di economia e di razionalizzazione, nello spirito della auspicata “spending review” avviata dal Governo. In merito è da tener presente che non è possibile costruire un sistema così complesso ex novo, in termini radicali e nelle forme apparentemente più rispondenti sul piano teorico, con un atteggiamento talvolta critico verso l’essenza stessa del mondo militare. E’ piuttosto da quanto disponibile, sia sul piano dell’esperienza sia in termini di sensibilità e stato d’animo, che occorre partire per affrontare qualsiasi cambiamento. A fronte di una vasta molteplicità di elementi da considerare è si è soliti porre come punto di riferimento di base la definizione della minaccia e delle conseguenti esigenze di difesa. In questo senso la guerra fredda aveva dato luogo ad una situazione piuttosto chiara partendo dalla obiettiva valutazione delle forze con-trapposte. Con la “caduta del muro” scompare questo schema di sostanziale equili-brio. Di qui l’insorgere di molteplici turbolenze sulla scena mondiale, che ha com-portato l’individuazione di nuove esigenze, riferite più genericamente all’interesse nazionale ed al peso che l’Italia vuole avere sulla scena internazionale. Il quadro mondiale presenta oggi numerosi focolai di crisi anche gravi, ma lo scarso successo di molte delle costose operazioni di supporto alla pace ha indotto ad una sempre mi-nor credibilità di massicci impegni militari sul terreno.
Nel contempo sono emerse nuove forme di minaccia, dalla quasi fantascientifica cyber war che potrebbe paralizzare la struttura stesa della nostra società ormai asso-lutamente dipendente dell’informatica, al drammaticamente incombente pericolo del terrorismo che tanto sconcerto sta provocando nelle società più avanzate.. Da non dimenticare poi il crescente manifestarsi di invasioni pacifiche del territorio prove-nienti dalle aree più povere del mondo. Ne conseguono ulteriori dubbi sulla natura delle forze da approntare, sui compiti da attribuire alle stesse, sui comportamenti da tenere. A fronte di tutto questo, cui va aggiunta la pressione ricorrente per ulteriori tagli alle spese militari, risulta arduo individuare un preciso indirizzo da adottare. Nonostante le comprensibili aspirazioni innovative del Libro Bianco sembrerebbe perciò quanto mai opportuno prevedere il mantenimento di una struttura equilibrata, flessibile e polivalente, in grado di far fronte a qualsiasi esigenza e il più possibile all’altezza dei tempi, sia pure in misura più o meno adeguata, in relazione alle effet-tive risorse e disponibilità. Nell’incertezza del futuro, lo strumento militare deve in sostanza evitare trasformazioni radicali e mantenere la caratteristica essenziale di essere non solo un mezzo di difesa da una specifica minaccia, ma un valido e pode-roso strumento in potenza, a disposizione dello Stato per tutti quegli interventi che possano richiedere l’impiego di forze organizzate. In tale contesto appare possibile dare una duplice lettura del Libro Bianco della Difesa. In primo luogo, lo studio sembra prevalentemente diretto al mondo politico e all’opinione pubblica in genere per porre in luce le problematiche del presente e le ombre del futuro.
A questo scopo sembra dedicata la parte più ampia del testo, intesa a meglio chiari-re l’importanza, troppo spesso sottovalutata, di disporre delle Forze Armate, quali valida ed essenziale componente dell’organizzazione stessa dello Stato e delle sue fondamentali istituzioni.
Nel contempo, proprio per dare maggior credibilità allo strumento militare, il Libro Bianco indica l’orientamento a razionalizzare e compattare le strutture esistenti eli-minando duplicazioni ed accentrando a livello interforze talune funzioni di parti-colare rilevanza. E ciò alla luce dei noti criteri di Efficienza, Efficacia ed Economi-cità che devono ispirare la generale revisione in atto di tutti gli organi dello stato. Su quest’ultimo aspetto occorre però soffermarsi per ricordare che non sempre ridu-zioni ed accorpamenti rispondono ai suddetti criteri.
Al contrario, un oculato decentramento di talune funzioni può rendere talvolta le procedure più snelle e quindi in definitiva più efficienti. Ogni provvedimento deve essere poi attentamente valutato in termini di costo-efficacia per accertare che le contrazioni diano luogo a vantaggi reali e non solo simbolici, a fronte dei sacrifici da affrontare con le riduzioni e le eliminazioni di enti, organi e comandi la cui capa-cità è consolidata da lungo tempo. Le tre “E” della razionalizzazione devono infine essere poste a confronto con un importante elemento di giudizio, il fattore “V”, cioè il riflesso sui Valori che ciascuna componente esprime e che potrebbero avere un peso determinante sui risultati da conseguire in termini concreti e non astrattamen-te valutati. Le Forze Armate hanno un cuore, sono un corpo vivo e pulsante che non si può modificare a piacimento come un’apparecchiatura meccanica senza tener conto dei riflessi che gli interventi possono avere sulla sua vitalità. E in questo spi-rito appare significativo citare quanto recentemente richiamato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa in termini di motivazione ed entusiasmo quali componenti essenziali nella vita delle istituzioni militari. Ma questi sentimenti si suscitano con atti concreti ed in particolare con una specifica politica del personale, intesa a dare sostegno ed a valorizzare la componente umana. In tale contesto i recenti provvedi-menti – non parimenti posti in atto dalle altre Amministrazioni dello Stato – intesi ad apportare consistenti tagli al profilo di carriera dei Quadri, che hanno visto ridur-si di ben due gradi le aspettative di promozione, sono stati certo demotivanti. Il ri-sparmio ottenuto non è commisurato al sacrificio, anche morale, richiesto. Ma c’è di più, nel Libro Bianco viene chiaramente definito l’orientamento ad una drastica accentuazione della precarietà per i militari di truppa. Invece di un indirizzo inteso ad accentuare le aspettative di uno sviluppo di carriera continuo, che consenta ai più meritevoli di progredire anche con l’avanzamento a sottufficiale e – perché no? – ad ufficiale, si prospetta ora la possibilità che almeno la metà dei soldati vengano “licenziati” dopo dieci o quindici anni di servizio, ovviamente senza nemmeno le tutele sindacali proprie dei lavoratori civili. Mentre il governo vanta di aver cancel-lato la precarietà nelle scuole, mentre si cerca di evitare in ogni modo che l’indu-stria debba ricorrere a drammatiche riduzioni di personale, mentre il livello della disoccupazione è eccezionalmente elevato, il riconoscimento formale di qualche più o meno apparente specializzazione non potrà certo garantire un sicuro reimpiego del nostro personale nel mondo del lavoro. Occorre assolutamente evitare che le Forze Armate divengano una fucina di disoccupati.
Nell’ordinamento militare, nel suo complesso, moltissimi sono gli incarichi non strettamente operativi che, evitando ad esempio costose esternalizzazioni, possono esser attribuiti a coloro che hanno superato i primi anni di servizio e la cui espe-rienza può essere pur sempre di grande utilità. Più della giovane età, ciò che conta è disporre di uomini e donne orgogliosi di essere soldati, il cui impegno e la cui dedi-zione siano rispettati e riconosciuti non solo dall’opinione pubblica ma anche soprat-tutto dalle norme stesse che regolano la loro vita professionale. Negli ultimi trenta anni le nostre Forze Armate hanno riscosso solo successi ovunque siano state impie-gate, dando lustro ed onore alla Patria, evitiamo che l’ansia di innovare e raziona-lizzare a qualsiasi costo fiacchi il morale del personale, frustrando così gli auspica-ti effetti positivi che ci si aspetta di conseguire con la configurazione che la compa-gine militare dovrà assumere nel futuro.