di Goffredo Palmerini
L’AQUILA – Da dieci giorni all’Aquila l’attenzione si è spostata sul grande Ponte, un attimo dopo che la proposta, come un fulmine dal cielo, è stata ufficializzata sulla stampa dal Presidente della Regione Abruzzo Luciano D’Alfonso. Si è subito parlato di opera strategica per questa infrastruttura, lunga circa 400 metri, che collegherebbe il centro storico della città con la Variante sud, all’altezza dell’uscita della galleria sotto la collina di Roio che collega l’area industriale di Campo di Pile alla Mausonia. Alto una quarantina di metri, il viadotto scavalcherebbe il fiume Aterno, la ferrovia e la statale 17. Costi stimati per la realizzazione tra i 7 e i 10 milioni di euro. Eco entusiastica sulla proposta è giunta dal sindaco, Massimo Cialente, e dal consigliere regionale Pierpaolo Pietrucci, presidente della Commissione Territorio, certi che l’opera sarà finanziata dal Governo, come assicurato dal presidente del Consiglio Matteo Renzi nella sua recente prima visita a L’Aquila.
Nelle compiaciute dichiarazioni si segnala pure che lo studio di fattibilità è all’esame dell’Anas, mentre le risorse necessarie per la realizzazione dell’opera, ricompresa nel Masterplan per il Mezzogiorno che la Regione Abruzzo si accinge a presentare al Governo, sono inserite nel piano finanziario del vasto programma regionale di infrastrutture e reti. Tempi rapidi anche per l’inizio dei lavori, negli auspici del Primo cittadino e del consigliere regionale Pietrucci, con previsione d’aprire già entro il 2016 il cantiere dell’opera, che favorirebbe il collegamento tra centro città e l’area industriale-commerciale di Campo di Pile. Non prive d’una certa enfasi le dichiarazioni, quando si parla di opera strategica per la “viabilità del futuro” e dell’essenziale funzione di riqualificazione dei collegamenti stradali della città capoluogo. Senonché …
Senonché si è subito aperto un vivace dibattito cittadino sul grande Ponte arrivato come una meteora ad animare le già complesse questioni della città, presa dai problemi della ricostruzione, dopo il terremoto del 2009, della sua condizione economica e sociale, del suo futuro. Una ricostruzione sulla quale, in numerose occasioni, si è posto l’accento riguardo la qualità degli interventi. Ovvero sulla necessità di far rinascere la città meglio di come era, nella preziosità architettonica del suo centro storico che ne fa una delle città d’arte più belle d’Italia. Tenendo cura del suo eccezionale unicum racchiuso nelle mura urbiche e del singolare contesto ambientale che contorna L’Aquila. Ogni intervento, dunque, dovrebbe tenerne conto, non essendo indifferente l’esito sulla bellezza complessiva della città.
Molte, com’era immaginabile, le prese di posizione sull’opera. Sulla sua necessità nel quadro delle priorità infrastrutturali. Sul suo impatto in un delicato contesto urbanistico e ambientale. Sul supposto inserimento dell’opera nel quadro delle esigenze d’una migliore viabilità e mobilità del capoluogo e non invece sulla reale necessità di pensare un piano generale delle infrastrutture, viarie e su rotaia, che migliorino davvero i collegamenti con una visione non episodica. Queste, in nuce, le posizioni da più parti espresse sulla proposta del Ponte, in forma critica o solo anche interrogativa. Ultima, in ordine temporale, quella argomentata in senso contrario dalla presidente dell’Archeoclub dell’Aquila, Anna Rita Acone, che dell’opera segnala il forte impatto ambientale e la sua minima influenza positiva nel miglioramento della mobilità sostenibile.
Tenuto conto dell’interesse e della delicatezza del tema, abbiamo chiesto un parere ad un insigne studioso di architettura urbana, mons. Orlando Antonini, Nunzio apostolico, voce autorevole nelle questioni che riguardano la qualità della ricostruzione e l’appropriatezza degli interventi intorno al centro storico della città. La Bellezza e la Qualità della città, secondo mons. Antonini, sono infatti cespiti rilevanti sui quali costruire il futuro turistico dell’Aquila ed una prospettiva economica non effimera per l’intero territorio. A tale scopo ogni intervento dev’essere preordinato alla Bellezza della città e alla Qualità delle soluzioni architettoniche. Lo studioso, con le sue numerose pubblicazioni sull’architettura religiosa e urbana, è un punto di riferimento non eludibile. Particolarmente dopo il terremoto del 2009, sul tema della ricostruzione dell’Aquila, mons. Antonini ha scritto un volume di rilevante interesse, “L’Aquila Nuova negli itinerari del Nunzio” (One Group Edizioni, 2012) postulando con dettagliate proposte una ricostruzione della città “meglio di com’era”. Dunque scientificamente qualificati ed autorevoli gli spunti offerti dallo studioso, pure in questa occasione, rispondendo alle nostre domande in una breve intervista.
Monsignor Antonini, in questi giorni si parla molto del progetto di viadotto tra Porta Napoli e la Mausonia. Agli Aquilani pare non vada a genio, ma la Regione presenterebbe il progetto al Governo in tempi rapidi per l’approvazione. Lei cosa ne pensa?
“Devo essere contrario; soprattutto se, come ho visto sulla stampa, il viadotto fosse non ad arcate ma strallato, ovvero con alti pennoni e relativi tiranti controvento. L’opera inferirebbe un’altra brutta ferita al paesaggio del fiume Aterno e della sua valle, sarebbe un altro grave attentato alla bellezza dello skyline cittadino proprio adesso che si sta completando il restauro della sua suggestiva cinta muraria. Il centro storico aquilano è monumentale nei suoi singoli edifici religiosi e civili ma anche nel suo tutt’uno urbanistico racchiuso entro le Mura civiche. Lo si deve salvaguardare evitando di frapporre diaframmi di tal fatta al suo godimento. Già la recente conferenza organizzata da Italia Nostra ha molto opportunamente stigmatizzato il fatto che si sia tralasciato di decurtare e ridisegnare i pretenziosi alti caseggiati che spuntano lungo il circuito murario deturpando il profilo urbano storico. Non peggioriamo dunque le cose. Ne va del futuro dell’Aquila e del suo territorio.”
I fautori del progetto sostengono però che esso è strategico, necessario per migliorare la viabilità del capoluogo e dei suoi collegamenti con la regione e con la Capitale…
“Col ponte che s’intende realizzare il peso del traffico intra moenia su Via XX Settembre da Porta Barete a Porta Napoli rimarrebbe tutto: dov’è l’alleggerimento? Solo una viabilità territoriale che aggiri ai suoi piedi il colle cittadino evitando l’ingresso entro le Mura di mezzi pesanti e meno pesanti migliorerebbe, diminuendolo, il traffico in città. Quanto all’accesso all’area industriale ovest e al nuovo centro commerciale, si tratta di ben pochi chilometri, la spesa non vale la candela. Non a costo, comunque, di compromettere quello che di più prezioso abbiamo: la bellezza paesaggistica e urbanistica, nostra unica risorsa e condizione per una maggiore qualità di vita di quanti abitano e abiteranno la città.”
Lei ha detto che il viadotto di cui parliamo dovrebbe essere almeno del tipo a svelte arcate. Intende sia così anche per il ricostruendo ponte di Belvedere?
“Certo, anzi specialmente per il ponte di Belvedere, perché incombe d’immediato sul tessuto urbano antico. L’ho fatto ridisegnare a campate ad arco fin dal 2012 nella mia pubblicazione L’Aquila nuova negli itinerari del Nunzio, a pagina 70. La struttura in calcestruzzo resterebbe la medesima: verrebbero soltanto coperti alla vista i due lati del viadotto con leggere tamponature arcuate. Beninteso non sono contrario ad inserti moderni in un tessuto antico, tipo la piramide del Louvre. Ma devono armonizzare con le cubature antiche di contesto e per questo occorrono architetti di genio. Tutto ciò, sempre nell’obiettivo di una maggiore bellezza. Già adesso amici diplomatici stranieri che passando per Roma vengono a visitare la città e il suo contado dietro mio invito, affascinati dalla bellezza, appunto, della nostra arte e della nostra natura, alla fine se ne escono spesso nel desiderio di comprare qui casa. Figurarsi quanto sarebbero appetibili L’Aquila e i borghi ricostruiti più belli di prima.”
A proposito di bellezza: non le sorge il dubbio che sia inutile parlare di bellezza per una città vuota di abitanti?
“Vuoto, a rigore, è il centro storico, ma la periferia dove vive la maggior parte degli abitanti è ripopolata già a due/tre anni dal terremoto. Sono certo che per l’amore appassionato che gli Aquilani nutrono per la loro città anche il centro si ripopolerà a mano a mano si proceda nella ricostruzione privata e nelle necessarie infrastrutture e servizi di cui oggi, al contrario che nei post-sismi precedenti, non si potrebbe fare a meno per vivere. In ogni modo si noti: temi come il ripopolamento del centro storico, la bellezza, la sicurezza, ecc., sono tutte facce dello stesso poliedro che è la ricostruzione, non devono prendersi per antitetiche e alternative, ma complementari. Ognuno di noi sollecita, sottolinea, denuncia anche, la faccia che più gli è congeniale, e se guadagna il supporto delle associazioni culturali e della cittadinanza come accaduto per Porta Barete si potranno sollecitare e coadiuvare le istituzioni a mettere assieme queste istanze e tradurle in atto. La mera ripopolazione del centro storico riporterebbe L’Aquila al semplice statu quo ante, e con solamente i poli universitario, amministrativo ed industriale non vedrebbe aperte nuove prospettive, né risolti i suoi problemi, e i giovani continuerebbero a fuggire. Ricostruire una città più bella e artisticamente più competitiva di prima nasce sì da un’urgenza estetica, ma nel nostro caso anche da una ragione utilitaristica: far uscire dalla crisi il nostro territorio giusta la strategia del FAI: “un’integrazione tra paesaggio e cultura, tradizione e innovazione, industria e turismo”. Turismo che a tutt’oggi costituisce la maggiore entrata del bilancio nazionale.”