Raffaele Suffoletta
L’intervento militare russo in Siria sembra avere due obiettivi: il primo sostenere il debole potere di Bashar al Asad, tradizionale alleato, e il secondo tornare ad essere un attore di primo piano nella scena politica internazionale.
Putin, infatti, nonostante siano passate tre settimane dall’inizio dei bombardamenti, nel ricevere il presidente Al Assad non ha nascosto di puntare su un processo diplomatico per risolvere la crisi. Ma almeno per ora, fino a quando non si trovi un’altra personalità di rilievo in grado di garantire la sopravvivenza di uno stato laico vicino a Mosca Al Asad deve rimanere al potere.
Nelle ultime settimane, il presidente russo Vladimir Putin ha sorpreso l’Occidente più volte: prima schierando aerei da guerra e carri armati in Siria, poi chiedendo una coalizione internazionale contro lo Stato islamico, e, infine, annunciando un accordo con la Siria, l’Iraq e l’Iran.
Alleati della Russia restano gli Hezbollah e l’Iran. Ostacoli sembrano venire dalla Turchia per la ventilata collaborazione con i Curdi e dai gruppi combattenti Al-Nusra e Ahrar al-Sham vicino ad Ankara oggetto dei bombardamenti russi.
Resta da vedere la posizione degli USA che sembrano osservare lo sviluppo degli avvenimenti, ma, a meno di un accordo segreto tra le due superpotenze, senza l’avallo americano nessuna intesa sarà possibile.
Al momento tutti gli attori sia internazionali che regionali sembrano concordare per la fine delle ostilità con un patto politico che passerà per la creazione di “cantoni” su base etnico-confessionale.