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di Domenico Logozzo *
GIOIOSA JONICA – I giovani del nuovo millennio e il passato da conoscere, per un presente migliore e un futuro sereno. Perché il bene trionfi sul male. Sempre. In questo contesto ha un posto rilevante anche la religiosità popolare. Tradizioni e fede nell’espressione più alta. I giovani debbono essere protagonisti. Veramente. Partecipazione attiva per costruire un mondo migliore. Emergono esempi positivi nella Calabria che vuole crescere grazie a ragazze e ragazzi di buona volontà ,che traggono dagli insegnamenti dei nonni elementi utili per andare avanti con determinazione. Tutto diventa utile. Ben vengano anche gli strumenti ed i suoni con i quali ci si divertiva un tempo e che venivano utilizzati per accompagnare i santi durante le processioni dell’Ottocento e fino alla prima metà del Novecento. Nell’epoca di internet, dei cellulari e dei tablet,antichi suoni e strumenti sono magicamente capaci di attrarre ed entusiasmare le nuove generazioni. E creano armonia. Voglia di stare assieme. “Solo a sentire il suono degli organetti e dei tamburelli, le gambe e il corpo iniziano a ballare da soli”. Raffaella Jiritano ha 15 anni. Domenica scorsa era tra le migliaia di persone che a Gioiosa Jonica hanno partecipato all’ultracentenario ballo votivo per San Rocco. “Delle numerose feste che si svolgono in tutto il Mezzogiorno d’Italia in onore di San Rocco, quella di Gioiosa Jonica (celebrata l’ultima domenica di agosto) è certamente una delle più significative”, ha scritto l’antropologo Vito Teti nel suo ultimo libro “Terra inquieta” edito da Rubettino”.
Raffaella è una bella e spigliata liceale del nuovo Millennio. Vuole fare l’avvocato. Ha idee moderne ma saldamente legate alla cultura popolare. “Sin da piccola coltivo la passione per la tarantella che mi è stata trasmessa dalla mia famigli. Da quando avevo poco più di dieci anni partecipo al ballo votivo di San Rocco. Ballare la tarantella mi rende molto felice, ma mi rende ancora più felice e contenta ballare per San Rocco. La felicità di esserci, la devozione per San Rocco. Ballo in questa favolosa festa fino per ore ed ore”. Ed infatti durante la processione l’avevamo vista fin dalla mattinata ballare con tante altre ragazze, poi nel pomeriggio, infine la sera, quando San Rocco è rientrato in chiesa, poco prima delle 20 e 30. Un bagno di folla. Presenze record. Suoni di tamburi, balli continui, preghiere, canti, tutti insieme, uniti nel segno di San Rocco. Non ci si stanca mai. La grande calura, la fatica, il sacrificio diventano gioia. “Perché è bello stare assieme. Domenica ho ballato per più di 12 ore”, ci dice Raffaella. Alla fine stanca e felice. Ha invocato la protezione di San Rocco ed ha vissuto intensamente i momenti di partecipazione alla grande festa, che resta unica, nonostante tutto. “E’ una esperienza di straordinaria emotività. Non si può capire se non si vive dal di dentro, con la gente, tra la gente. Confesso che ogni anno provo sempre più emozioni”.
Scrive ancora Vito Teti: “Per i giovani l’orgoglio di essere protagonisti di una delle “più belle feste della Calabria”, il bisogno di affermare una nuova identità di gruppo, sociale, culturale si trasformano nella scelta di far “durare il più a lungo possibile la festa”. E’ come se volessero ritardare il ritorno di una quotidianità in cui cessa il loro protagonismo”. Vito Teti negli anni Ottanta è stato a Gioiosa Jonica ed ha osservato attentamente questa grande festa. Per la Rai ha realizzato preziosi documentari che purtroppo non sono stati mai montati per la scellerata decisione dell’azienda di Stato di chiudere le Strutture di Programmazione Regionale. Oltre ai filmati su pellicola riferiti alla festa di San Rocco, Teti ha seguito la preparazione e la rappresentazione della storica Farsa di Carnevale”, nonché la processione del Venerdì Santo. Prezioso materiale che giace negli archivi della Rai e che sarebbe opportuno salvare, prima che vada perduto per sempre. Recupero indispensabile del quale ne abbiamo nuovamente parlato nel corso dell’interessante convegno storico, sociale e culturale sui “Tamburi di San Rocco” voluto dall’amministrazione comunale. Si è tenuto nel palazzo Amaduri e tra gli altri partecipanti c’erano lo stesso Vito Teti e il vescovo di Locri, mons. Francesco Oliva. Dobbiamo sottolineare la disponibilità del sindaco Salvatore Fuda e del vescovo mons. Oliva per il recupero del materiale raccolto dal grande antropologo e scrittore calabrese .
Teti nel suo libro ricorda che la tarantella, grande passione di Raffaella Jiritano, era il ritmo che fino alla metà degli anni Sessanta aveva accompagnato San Rocco “durante la festa che si svolgeva secondo le modalità già fissate tra fine Ottocento e inizio Novecento. La lunga e lenta processione (durava oltre due ore e mezzo) era caratterizzata dalla presenza di alcuni devoti, uomini e donne, che danzavano davanti alla statua del santo per una grazia ricevuta o per domandare la guarigione da qualche malattia. Il ballo votivo avveniva al ritmo di tarantella eseguita da suonatori (in genere fino a sei-sette elementi) dei paesi vicini con diversi strumenti musicali: tamburi, cassa, rullante, triangolo e piatti tradizionali, zampogna a chiave e “a paru”, pipite, organetti con o senza tamburello. Nonostante una significativa presenza di devoti dei paesi vicini, il culto e la festa riguardavano essenzialmente gli abitanti di Gioiosa”.
Seguiamo ancora l’autorevole ricostruzione storica dell’antropologo calabrese sui cambiamenti della festa di San Rocco che avvengono “a partire dalla fine degli anni Sessanta, per una molteplicità di ragioni e per una serie di grandi trasformazioni socio-culturali, che si verificano a livello generale e a livello locale (si pensi a fenomeni come l’erosione della cultura folklorica tradizionale; il diffondersi della cultura di massa; il grande esodo degli anni Cinquanta; il fenomeno del folk-revival e un diffuso interesse per le culture tradizionali; l’individuazione della religione popolare come luogo per affermare nuovi bisogni), la processione di San Rocco e il ballo votivo conoscono profondi cambiamenti morfologici e di significato. “Santu Roccu” diventa a partire da quegli anni il fondatore e il garante della nuova identità di nuovi strati sociali, degli emigrati che ritornano. L’invenzione di “nuove tradizioni” pur legate fortemente al passato coinvolge anche le migliaia di turisti che d’estate convergono nella zona, oltre che i numerosi visitatori che accorrono con motivazioni diverse rispetto a prima”. Quando comincia la mia osservazione della festa, a metà degli anni Ottanta, essa ha ormai, come mi raccontano numerose persone del luogo, caratteristiche profondamente diverse dal passato”.
Raffaella Jiritano riflette sulla religiosità popolare: “Il ballo davanti al Santo al ritmo dei tamburi, le invocazioni dialettali e le varie preghiere che vengono dette durante la lunga precessione, le persone che chiedono con aiuto al Santo Patrono, mi fanno sempre commuovere. Così come mi commuovo nel vedere le immagini delle processioni del passato”. In ogni tempo è stato forte il legame dei gioiosani con San Rocco. La statua viene portata in processione nelle vie principali del paese con soste nella chiesa Matrice (ha celebrato la messa il vescovo mons. Francesco Oliva, che ha annunciato l’ordinazione sacerdotale il 7 ottobre nella Cattedrale di Gerace di Rocco Agostino di Gioiosa Jonica e Antonio Magnoli di Mammola) e quest’anno anche nella chiesa del Rosario. “Un culto, una devozione, un rito che, pure con molte trasformazioni e innovazioni, restano fortemente ancorati alla tradizione”, ha scritto Vito Teti nel capitolo “Gioiosa Jonica: il ballo di Santu Roccu” del suo interessantissimo libro. Concludendo così: “La nuova tradizione con cui vengono accolti e ospitati forestieri e turisti rappresenta un elemento costitutivo di una nuova identità della comunità di Gioiosa. Questa festa di San Rocco, con i suoi legami con la tradizione, con gli elementi del mondo esterno che alla tradizione si combinano in mille modi,incrociando aspetti religiosi, teatrali, musicali e spettacolari, con l’incontro tra devoti del luogo, emigrati, turisti mi sembra metafora ed emblema di una Calabria antica e moderna, con un forte sentimento dei luoghi e dell’appartenenza, aperta verso l’esterno e il nuovo”.
*già Caporedattore TGR Rai