E’ PATRIMONIO CIVICO IL COMPLESSO
DI S. BERNARDINO DI PIAZZA D’ARMI
di Amedeo Esposito
Questa volta spetta a lui. Al Sindaco, al quale, senza attendere il suo successore del 2017, è demandata l’acquisizione della proprietà nel patrimonio civico del complesso dedicato a S.Bernardino di piazza d’armi, che non è provvisorio, ma definitivo a tutti gli effetti.
Costruito dopo il terremoto, grazie alle donazioni ed agli interventi statali, oltreché alla cessione da parte del comune dell’area su cui sorge, il complesso ha avuto ed ha un’importante funzione sociale, ospitando fra l’altro, la “Mensa di Celestino” e la chiesa. Quest’ultima non avrà più ragione di esistere quando sarà ricostruita la chiesa parrocchiale di S.Barbara che le è accanto ad appena dieci metri di distanza, di proprietà delle curia arcivescovile.
Per il suo essere complesso stabile – come ha giustamente precisato l’assessore Piero Di Stefano – è stato ricontestualizzato nel progetto definitivo del nuovo parco urbano di piazza d’armi, o “nuova porta della città” del XXI secolo, donata dagli italo-australiani.
Sicché nessun dubbio sulla proprietà del complesso di S.Bernardino 2, che va inserito nelle pertinenze civiche, come lo è la quattrocentesca grande basilica del Santo senese, le cui spoglie torneranno nel mausoleo (opera di Silvestro dell’Aquila) il prossimo due maggio, quando quel tripudio armonico di bellezza sarà restituito alla città e ai fedeli, dopo le ferite del terremoto. Monumento sacro di alto livello artistico che fu ideato e voluto dal primo europeista del ‘400, il fondatore del francescanesimo dell’Osservanza, San Giovanni da Capestrano, difensore, con le insegne del Cristo, di Belgrado e di Vienna dall’invasione – scongiurata – dei turchi.
L’acquisizione della proprietà dell’immobile non modificherebbe, ovviamente, l’attuale destinazione a centro di assistenza sociale, quale la “Mensa di Celestino” (che dovrebbe tornare entro il centro storico nell’altro edificio comunale di S.Giuseppe). In tal modo inoltre si scongiurerebbe la dispersione di fondi pubblici, come invece è accaduto al primo Museo aquilano (per il quale furono impiegati milioni e milioni di lire dello Stato e della Cassa di Risparmio), ordinato negli anni ’70 del secolo scorso, nel complesso due-trecentesco della Beata Antonia o “monastero di Santa Chiara povera” di via Sassa, la cui funzionalità, alla fine del 1990, fu abbandonata dai Frati di S.Giuliano ed oggi resa inagibile ed a brandelli dal tremore della terra di sei anni fa.