Dopo 65 lunghi anni nel colpevole silenzio della città tutta
L’AQUILA – La chiusura della redazione aquilana de Il Messaggero – nel colpevole silenzio della città tutta e dei suoi rappresentanti – incorporata in quella unica regionale di Pescara, in chi, negli anni fine ’40 e ‘50, contribuì (come chi scrive) alla primitiva realizzazione di questa struttura giornalistica, evoca un sessantennio di “ragionevoli illusioni”, per dirla con l’ossimoro del compianto Mario Pirani.
Redazione ch’ebbe un primitivo modello, unico in Abruzzo, nella bellissima sala stampa del palazzo delle poste di Piazza Duomo da dove L’Aquila e l’Abruzzo venivano raccontati dalle “veline di regime” di Walter Merlini ed Ennio Marj. E successivamente, a liberazione avvenuta, da Gaetano Bafile ed Alfredo Perfilia che de Il Messaggero erano i corrispondenti per l’Abruzzo. Uno studentello (che si riteneva giornalista) consegnava loro l’elenco dei nomi dei nati, dei morti e degli sposi, copiati dall’albo pretorio del comune.
Questa “postazione” del giornalismo aquilano, per effetto della pluralità delle testate sorte nell’immediato dopoguerra, via via fu abbandonata per essere sostituita dalla libreria Agnelli di corso Umberto. Entro cui, anche per una certa continuità con le riunioni clandestine dei partiti antifascisti, fu istituito, per l’intelligenza della titolareAmalia Agnelli, una sorta di “cenacolo” dei corrispondenti e dei giovani vice.
E’ lì che i giornalisti ritiravano, per un lungo periodo, le comunicazioni che i cittadini volevano entrassero nelle colonne dei quotidiani. Le notizie presso gli enti (comune, provincia etc.) venivano “scavate” personalmente dai giornalisti (non usavano le conferenze stampa di oggi).
E ciò fece avvertire la necessità di aprire una redazione che facesse da pendant con quella romana de Il Messaggero.
Non fu poco l’impegno del Corrispondente del tempo, Remo Celaia nel realizzare una specifica redazione (una piccola stanza per sole due persone) in piazzetta Alferi. Il quotidiano romano allargò, per mezzo delle “pagine unificate” dell’Abruzzo e Molise prima, e poi di quelle uniche per città, il vastissimo campo della cronaca locale e regionale.
La vivacità della ripresa dalle ceneri della guerra e la sempre più globale “finestra sul mondo giornalistico”, per la quale furono invitati tantissimi giovani a scrivere, impose l’abbandono del primo nucleo redazionale, per una struttura più vasta e completa realizzata da Il Messaggero in via Fortebraccio. Vi erano finanche due cabine telefoniche per “dettare” – come usava – gli articoli ai dimafonisti della redazione romana per la pubblicazione degli stessi il giorno successivo. Si raccontava la città in tutte le sue sfaccettature, penetrando sempre di più nelle colonne nazionali con la cronaca, ma soprattutto con i grandi avvenimenti culturali (musicali e teatrali, in particolare).
Si affidava questo “racconto” anche a penne di eccezionale valore a qualunque parte appartenessero. Un pluralismo di collaborazioni, specie dei giovani, che non venne mai meno anche quando, nel 1961, la redazione (affidata a chi scrive dopo 11 anni da Vice), dotata di telescriventi, fu trasferita in piazza Palazzo, nell’edificio Galeota. Fu cambio di luogo, ma anche di indirizzo editoriale. Il Messaggero, infatti, qualche anno dopo divenne di proprietà dell’Eni, e dunque di supporto al partito socialista. Di conseguenza, vi furono le sostituzioni del responsabile e di alcuni collaboratori, con giornalisti diversi che entrarono in concorrenza fino alla fine con l’altra testata locale de Il Tempo, la cui redazione nata più tardi, fu trasferita a Pescara circa cinque anni fa, per essere chiusa definitivamente lo scorso anno. Una più razionale organizzazione della redazione, impose a Il Messaggero (responsabile Guido Polidoro) di trasferirsi all’inizio del 1970 nella sede di palazzo Borrelli di corso Vittorio Emanuele.
E qui è rimasta con il cambio dei titolari (fra cui Angelo De Nicola) e soprattutto per l’applicazione dei sofisticati mezzi telematici entrati in uso in ogni dove che tutti conoscono ed usano, finché il sisma del 2009 non sconvolse la struttura (come tutta la città), costringendo i giornalisti ad operare in stato di emergenza, per giungere fino a qualche settimana fa ad avere una modestissima redazione in via della Croce Rossa, che forse, proprio per essere contigua alla struttura di soccorso, si è pensato bene di chiudere e trasferire i responsabili in quella regionale di Pescara.
Così cessa d’esistere una struttura importantissima che, pur in questo tempo telematico, nel raccontare la città per 65 lunghi anni ha contribuito grandemente a scriverne la storia, anche quella visionaria che al momento vorrebbe ricostruire la perduta anima aquilana.