L’INMP al Convegno voluto dal Ministro della Salute Lorenzin per favorire il dialogo
tra mondo scientifico e cittadini e per chiarire molti fuorvianti luoghi comuni sulla salute.
ROMA – Un convegno, un’occasione di incontro e confronto per favorire il dialogo tra le istituzioni, il mondo scientifico, la società civile e i media e per chiarire i diffusi e fuorvianti luoghi comuni che in ambito sanitario possono incidere negativamente sulla salute dei cittadini, alimentando e inasprendo ingiustificate polemiche nell’opinione pubblica. Un obiettivo chiaro sin dal titolo, “La Sanità in Italia: falsi miti e vere eccellenze” – ovvero la responsabilità e la necessità di fornire da parte delle istituzioni informazioni corrette ai cittadini – che ha attraversato una importante giornata di riflessioni aperta dai saluti del Ministro Beatrice Lorenzin. Il convegno, svoltosi il 22 aprile scorso a Roma nel Complesso monumentale di Santo Stefano in Sassia, ha visto – tra i numerosi soggetti istituzionali e sanitari coinvolti – la partecipazione dell’INMP, Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà, una realtà da sempre attiva con i propri ambulatori nell’assistenza sanitaria alle persone migranti e alle fasce più vulnerabili della popolazione attraverso un modello di accoglienza e cura basato sull’impegno di medici, psicologi, antropologi e mediatori transculturali.
L’INMP è intervenuto affrontando una delle sezioni del convegno, corrispondente ad uno dei numerosi falsi miti tematizzati dal Ministero della Salute, in giorni in cui è in corso un ampio confronto, a livello nazionale ed internazionale, sull’emergenza sbarchi nel Mediterraneo: “Gli immigrati ci portano le malattie”. Un panel correlato ad altri focus tematici che necessitano di informazioni corrette e articolate per contrastare il fenomeno di una pericolosa distorsione su alcuni emergenti temi sanitari: “I migranti sottraggono risorse per le cure degli italiani”, “Gli immigrati ci stanno riportando malattie scomparse”, “Gli immigrati che arrivano in Italia sono tutti malati”, “I bambini migranti trasmettono le malattie della pelle ai compagni di scuola”.
Tra le domande poste agli esperti, Santino Severoni, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha risposto in merito a uno dei più stratificati luoghi comuni circa la relazione tra persone immigrate e salute degli autoctoni: “È opinione diffusa che le persone immigrate portino malattie contagiose ormai scomparse, tra cui la tubercolosi. Sul piano scientifico, ci sono evidenze per confermare questo comune sentire?”. Severoni ha affermato che le persone che vengono a cercare lavoro in Europa partono in ottime condizioni di salute: se soffrissero di tubercolosi in forma conclamata, e quindi infettiva – ha affermato Severoni – non potrebbero resistere al viaggio. È il cosiddetto effetto ‘migrante sano’. I dati della sorveglianza sindromica effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità su circa 5mila profughi ospiti di centri di accoglienza, tra maggio 2011 e giugno 2013, hanno evidenziato solo 20 allerte statistiche, tra cui solo un caso di sospetta tubercolosi polmonare.
Giuseppe Ippolito, dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma, ha invece risposto ad un altro interrogativo diffuso nell’opinione pubblica allarmata in assenza di informazioni corrette: “Molte persone immigrate che arrivano sulle nostre coste provengono da zone del mondo in cui sono presenti malattie infettive gravi, quali Ebola. Ci sono rischi concreti che queste infezioni si possano diffondere in Italia?”. L’epidemia da virus Ebola sarebbe, in linea teorica, relativamente facile da contenere (lunga incubazione, non trasmissibilità in assenza di sintomi, ecc.), ma non viene arginata per le situazioni drammatiche di povertà e inesistenza/inefficienza delle strutture sanitarie negli attuali Paesi interessati. Per quanto riguarda i rischi di importazione – ha illustrato Ippolito – gli sbarchi non rappresentano un rischio concreto: il viaggio risulta essere troppo lungo perchè si concretizzi la minaccia di Ebola (la malattia si manifesta e si estingue in poche settimane, spesso assai prima che il viaggio si concluda). A oggi, solo pochi casi hanno riguardato Paesi occidentali, e si è sempre trattato di casi diagnosticati nelle zone interessate dall’epidemia e prontamente rimpatriati.
Tra i temi più controversi che si discutono animanatamente in queste settimane, quello della cosiddetta “invasione” (termine di per sé già negativamente connotativo, ndr) di migranti nel nostro Paese, un tema che nella popolazione assume connotazioni aspramente polemiche per la mancata conoscenza dei dati reali, ha risposto Carmine Arice, dell’Ufficio per la Pastorale della salute della CEI: “Molti ritengono che in Italia sia in corso un’invasione da parte delle persone immigrate – ha osservato Arice – ma i numeri cosa ci dicono circa la loro presenza e qual è la capacità reale di accoglienza? Le persone straniere presenti nel nostro Paese sono circa 5 milioni, con una percentuale sulla popolazione residente dell’8,8%, superiore al dato medio UE (6,8%), ma comunque inferiore al dato della Germania (9,4%) e dell’altro grande Paese mediterraneo, la Spagna (10,8%) (Dossier Statistico IDOS 2014). A queste presenze si aggiunge il fenomeno dei profughi. Ma occorre sottolineare – ha proseguito il rappresentante della Caritas – che, a fronte delle 170mila persone sbarcate nel 2014, oltre 100mila sono andate via dall’Italia, verso altri Paesi del Nord Europa, vero obiettivo finale dei migranti per le maggiori opportunità di integrarsi e avviare una nuova vita. La capacità di prima accoglienza di fronte alla situazione degli sbarchi è certamente critica, per limiti strutturali, logistici e organizzativi, anche se l’ammontare complessivo dei profughi è inferiore al 3 per mille rispetto alla popolazione residente in Italia. Pertanto, al di là dell’impatto che può determinarsi nei luoghi di sbarco per la concentrazione degli arrivi, va considerato che dietro Lampedusa e le altre località maggiormente interessate, c’è comunque un Paese che viene annoverato tra le prime dieci economie del mondo (…)”.
Sugli altri temi oggetto di numerosi e fuorvianti stereotipi, Gennaro Franco dell’INMP, ha risposto in merito all’opinione diffusa che i bambini immigrati soffrano più facilmente di malattie della pelle rispetto ai bambini italiani e possano pertanto facilmente contagiarli. Nonostante l’aspetto esteriore possa essere differente, la cute dei bambini immigrati non è sostanzialmente diversa da quella dei bambini bianchi. Non c’è differenza negli strati cutanei, nella loro resistenza agli agenti batterici, nella percentuale dei vari tipi di cellule. “Vero è – ha continuato Franco – che i bambini immigrati, talvolta non ben assistiti per problematiche di accesso ai servizi sanitari, possono sviluppare o mantenere più facilmente infezioni banali come scabbia, verruche, micosi. Consideriamo queste malattie più come ‘malattie della povertà’ che malattie dell’immigrazione e le ritroviamo più frequenti soprattutto in quelle situazioni in cui (palazzi occupati, baraccopoli, campi nomadi, abitazioni fatiscenti o gravemente carenti dal punto di vista igienico-sanitario) sono le condizioni di vita a costituire la principale causa di malattia”. Francesco Rocca della Croce Rossa Internazionale, osservando il contesto internazionale successivo alle ‘primavere arabe’, in una prospettiva di riflessioni geopolitiche sui Paesi di origine delle migrazioni forzate, ha illustrato i dati relativi agli sbarchi sulle coste italiane. Nel 2014, sono arrivati via mare circa 170.000 persone, provenienti complessivamente da 77 nazioni: i siriani erano circa un quarto, seguiti da eritrei, somali e maliani. Il 15% era costituito da minori, di cui oltre la metà non accompagnati (questi ultimi provenienti soprattutto da Eritrea, Egitto e Somalia). Tra gli adulti, le donne hanno rappresentato circa il 13%. Si stima che almeno 3.500 migranti forzati abbiano perso la vita nel Mediterraneo.
In una prospettiva socio-economica, Roberta Siliquini del Consiglio Superiore di Sanità ha focalizzato l’attenzione su una sistemica percezione deformata della realtà tradotta nella domanda all’esperta: “Viene comunemente affermato che le persone immigrate sottraggano risorse economiche agli italiani. E’ vero? Chi paga l’assistenza sanitaria agli immigrati?”. “Gli stranieri-lavoratori – ha ampiamente illustrato i dati la Siliquini – producono circa il 9,5% del nostro PIL e rendono annualmente alle casse dello Stato 7 miliardi di euro sotto forma di contributi previdenziali, anche se a essere pensionati sono solo poche migliaia. Gli stranieri, inoltre, contribuiscono al mantenimento dello stato sociale con 4 miliardi di euro di tasse pur incidendo, secondo le stime della Banca d’Italia, solo per il 2,5% sulle spese per istruzione, pensione, sanità e sostegno al reddito (all’incirca la metà di quello che assicurano in termini di gettito). Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, il 94% degli stranieri presenti in Italia ha un regolare permesso di soggiorno (ISMU, 2013). La maggior parte di coloro che lavorano è iscritta al Servizio sanitario nazionale e paga regolarmente i contributi. Per quanto riguarda la quota di immigrati irregolari, non iscrivibili al SSN, la normativa italiana garantisce comunque i livelli essenziali di assistenza, nello spirito del dettato costituzionale che riconosce la salute come diritto della persona e non del cittadino e ribadisce la necessità di assicurare cure gratuite agli indigenti, anche in un’ottica di tutela della salute collettiva”.
Un passaggio nevralgico su cui si è soffermata Concetta Mirisola, Direttore Generale dell’INMP, entrando nel merito di quanto faccia operativamente l’Italia per tutelare la salute delle persone immigrate e dell’intera collettività. “L’assistenza ai migranti è un obbligo giuridico che discende da norme nazionali e internazionali, in primis dalla Costituzione. È anche un dovere civile, etico e professionale – nell’incipit del Direttore Generale –. Se sappiamo superare i pregiudizi e le false informazioni, ci accorgiamo che tale tutela assicura un diritto umano fondamentale per ogni persona e anche un vantaggio per la collettività che la ospita: meno malattie, più prevenzione, meno costi sociali, più coesione e meno conflitti, maggiore possibilità all’integrazione pacifica e allo svolgimento di lavoro. La buona salute è un passaporto di civiltà, integrazione, convivenza pacifica. Il nostro Servizio sanitario nazionale è stato in questi anni all’altezza di questa sfida. L’Italia, al centro del Mediterraneo, ha saputo dare l’esempio di un Paese organizzato ed efficace nel campo sanitario. Una molteplicità di enti, istituzioni, gruppi e singoli professionisti e volontari hanno offerto servizi sanitari di ‘serie A’ anche ai migranti. ASL, ospedali, ambulatori pubblici e privati, Centri universitari, laboratori di prevenzione, centri per la salute mentale, organismi di volontariato hanno fatto la propria parte; così pure il Ministero della salute e le Regioni hanno sostenuto questo impegno. Naturalmente, la tutela sanitaria deve andare di pari passo anche con la lotta contro l’esclusione sociale e la povertà; spesso, anche se non sempre, la migrazione risente sfavorevolmente degli stessi determinanti sociali della diseguaglianza che colpiscono tanti nostri concittadini: disoccupazione, abitazione, insufficiente istruzione: occorre pensare alla salute per tutti, nessuno escluso ed evitare una ‘guerra tra poveri’, offrendo a tutti un Paese ospitale e solidale.
L’INMP – ha continuato la dr. Mirisola – è l’Ente nazionale chiamato a rafforzare, potenziare, consolidare queste energie e questi impegni, creando un luogo che coordini la rete nazionale e la spinga a crescere e a qualificarsi sempre di più. Alla Rete nazionale partecipano le Regioni e gli Enti pubblici e privati di levatura nazionale, competenti sui temi della salute. La Rete sarà supportata dall’Osservatorio nazionale e da linee di ricerca clinica e organizzative. Un Osservatorio epidemiologico nazionale sull’immigrazione e sull’impatto della povertà sulla salute della popolazione che intende sistematizzare le attività di monitoraggio e valutazione già avviate in diverse regioni italiane, con l’intento di valorizzarne la portata all’interno di una cornice unica nazionale, attraverso modalità riproducibili di analisi e chiavi di lettura integrate. Questo implica, da una parte, la scelta strategica di puntare sull’utilizzo sistematico dei dati del nuovo sistema informativo nazionale (NSIS) e dall’altra lo sviluppo di progetti cooperativi con le Regioni e con istituzioni scientifiche su specifici aspetti e criticità sanitarie. Quella dell’INMP è quindi una sfida non solitaria ma di sistema. In particolare l’Istituto ha il mandato di promuovere un’azione coordinata per preservare ed estendere, nelle politche sanitarie pubbliche, nazionali e regionali, il valore dell’universalismo e la sua concreta attuazione in termini di accessibilità e di accoglienza dei servizi per tutti, con particolare attenzione alla fasce svantaggiate della popolazione. Tale azione di coordinamento e di indirizzo si rende necessaria in quanto la modifica del Titolo V della Costituzione ha comportato una differenziazione tra le competenze sanitarie in capo alle regioni e le politiche sull’immigrazione rimaste in capo al governo centrale. In definitiva – ha concluso il Direttore Generale dell’INMP Mirisola – non si tratta di creare una sanità parallela per i migranti, ma di sperimentare strategie, modelli e percorsi per garantire una maggiore accessibilità dei servizi, anche a beneficio di gruppi particolarmente svantaggiati tra gli stessi cittadini italiani”.
(a cura dell’Ufficio Stampa INMP)