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di Goffredo Palmerini
L’AQUILA – Rientro da New York e L’Aquila m’accoglie con scampoli di sole tra le ferite delle sue splendide architetture. La luce indora le cime del Gran Sasso. Corno Grande s’erge, mole possente di roccia, guadagnando d’arancio i raggi di sole che già tendono al tramonto. Il cielo è azzurro, intenso, nitido. L’aria pulita, trasparente, accorcia il senso delle distanze. A sera il cielo brilla di stelle, vivide di luce, come si vedrebbero solo nel deserto di Atacama. Uno spettacolo. Impossibile, in un contesto così ammaliante, non comparare questa implacabile quiete al parossismo rumoroso ed ordinato di New York. Sarà per questa ragione, forse, oltre la suggestione della natura incontaminata e dei borghi che l’imperlano, che l’Abruzzo è nella top ten delle preferenze dei pensionati americani, come uno dei migliori posti al mondo per vivere, secondo recenti rivelazioni d’un sito web americano (http://www.baby-boomer-retirement.com/). Poi qualche giorno di pioggia, mentre in montagna la neve già imbianca le catene del Gran Sasso, della Majella e del Sirente Velino che incorniciano la città capoluogo d’Abruzzo e la sua conca. Prodromo d’inverno che nell’aquilano è sempre più incipiente che altrove. Ma è nella Grande Mela che dobbiamo tornare, per completare il mio racconto. Modesti appunti di viaggio per quei pochi miei lettori che pure l’attendono.
Oggi è mercoledì, l’8 di ottobre. In casa Fratti c’è attesa per la “Prima” di Six Passionate Women, la commedia dalla quale lo scrittore e Maury Yeston trassero il testo per il musical Nine, diventato uno dei successi più clamorosi a Broadway. Gli attori sono bravi, il regista Stephan Morrow molto scrupoloso ed esigente, le prove si moltiplicano. L’ultima stasera e domani si va in scena. Mario Fratti, come sua abitudine, prende contatti e scruta la posta elettronica. Un’infinità di congratulazioni per la nuova produzione dell’opera, che, scritta nel 1967, torna in scena al Theater for the New City, sulla First Avenue, quattro decenni dopo il debutto. Anch’io ho molto lavoro da sbrigare e contatti da prendere. Usciamo tardi per pranzo, andiamo a El Quijote, famoso ristorante spagnolo sulla 23 Street. Aragoste. L’ambiente è caratteristico, ogni cosa richiama Cervantes ed il suo bizzarro eroe Don Chisciotte. Ma è anche un’altra, la ragione. Mario mi vuol far vedere il Chelsea, lì a due passi, l’albergo dove hanno vissuto scrittori e artisti, come Bob Dylan, Leonard Cohen, Patti Smith, Arthur C. Clarke, Dylan Thomas, Janis Joplin, Sid Vicious, Robert Mapplethorpe ed altri. E dove pure sono passati Mark Twain, Thomas Wolfe, Andy Warhol e la grande Sarah Bernhard. Mario Fratti va alle prove. Con Piero Picozza, amico di Mario fine e colto, romano, da vent’anni trapiantato a New York dove commercia vini italiani, approfittiamo per fare un salto a Eataly, sulla Quinta, in Madison Square. La grande intuizione, anche culturale, di Oscar Farinetti rivela qui tutto il suo trionfo. La gastronomia italiana impera, l’eccellenza dei sapori in bella mostra conquista, l’amplissimo pian terreno è pieno di clienti, anche negli ambienti dove s’insegna la cucina italiana. L’Abruzzo deve muoversi, pochi i prodotti abruzzesi nelle scansie. Nel settore “miele” mancano i marchi di Tornareccio (Chieti), la capitale del miele italiano, per qualità e quantità. In compenso c’è Nurzia, il prelibato torrone dell’Aquila, e ne gioisco. Alle 19 Mario ci aspetta al LaMama Theater, c’è uno spettacolo che mette insieme musica, poesia e flamenco, “Sara Galas Band”. Convincente, singolare la performance di quest’opera diretta da Sophie Bortolussi, scritta da Sara Galassini con musiche di Yukio Tsuji. Infaticabile Fratti, non finisce mai di stupirmi con la sua curiosità culturale.
Giovedì 9 è il mio giorno. Alle 18 si presenta all’Italian American Museum il mio ultimo libro “L’Italia dei sogni”. Nel pomeriggio ho appuntamento per un’intervista a Radio ICN, network assai diffuso nell’East Coast. La rilascio a Daniela Celella, conduttrice del programma “Con Daniela”, in onda tutti i lunedì e venerdì. Daniela ha grande professionalità e simpatia. Parliamo della mia missione a New York, del mio libro, del Columbus Day. Ma anche della mia città, L’Aquila. Con Fratti ci avviamo per tempo, andiamo a Mulberry Street, nel cuore di Little Italy, all’Italian American Museum, presidio importante della memoria della nostra emigrazione negli States. Un buon gelato al Caffè Roma, seduti alla vetrina d’angolo del bel locale italiano, mi lascia sbirciare le insegne dei dintorni: Ristoranti (Taormina, La bella vita, Piemonte, La nonna, Angelo’s, Palazzo, Florio’s, DiPaolo’s), Caffè (Palermo, Napoli, Ferrara), negozi di leccornie italiane (Alleva, Ravioli). E’ proprio Little Italy, una volta il quartiere italiano dove gli italiani vivevano, non solo vi esercitavano il commercio. Oggi non è più così, magari sono i cinesi che comprano le abitazioni. E’ quasi l’ora, le luci del Museo sono già accese, ma chiuse ancora le porte. Alcune persone aspettano. Anche noi. Dall’altro lato della strada vedo uno scalzo in saio di iuta, un San Francesco. Già viste sue foto su Facebook in diversi luoghi simbolo di New York. E’ un’operazione di promozione di i-Italy Tv per un evento importante, nei prossimi mesi. Si filma. C’è Letizia Airos. Scatta foto. La vado a salutare, l’avrei dovuta incontrare di proposito e invece la trovo così, per caso, in un luogo dei tanti di New York. Un caso da uno su un milione. E’ felice di vederci. Ci fa delle foto, anche con “San Francesco” accanto a noi.
Intanto Maria Fosco è arrivata, ci si sistema in sala. Maria è vice Presidente del Museo. E’ nata a New York da genitori abruzzesi e risiede in Astoria, Queens. Ha studiato all’Hunter College, dove si è laureata in Storia dell’Arte, poi specializzata in Affari Internazionali presso la City University of New York. Ha seguito studi di arte e lingua italiana anche a Firenze. Per molti anni ha lavorato presso il Calandra Institute (Queens College, CUNY), fino al 2008, con incarichi di responsabilità. Il presidente Napolitano l’ha nominata Cavaliere Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana. Molto impegnata in seno alla comunità italiana, è componente del Comitato per l’Italian Heritage and Culture Month. Fa la mia presentazione al pubblico, anche Mario Fratti aggiunge di suo parlando della mia cifra di giornalista “universale”, nel senso dell’ampiezza dei contatti con la stampa italiana nel mondo. Quand’è il mio turno non parlo del libro, ma di come nascono i miei libri. Selezione di scritti e articoli, ogni anno o poco più diventano un volume. Meno effimero d’una pagina di giornale, il libro diventa un mezzo ulteriore per comunicare con le nostre comunità all’estero, per tessere relazioni, per parlare della migliore Italia dentro i confini e dell’altra Italia, la migliore, quegli 80 milioni d’italiani all’estero che rendono ovunque onore alla nostra Patria. Ci sono domande, anche sulla ricostruzione dell’Aquila dalla devastazione del terremoto del 2009. Una serata ricca di emozioni. Un taxi ci porta a teatro, alle 8 c’è la Prima. Six Passionate Women intriga con le sue sei donne, con tradimenti e gelosie, e con Nino, regista con verve creativa decisamente in ribasso. Commedia brillante, con il colpo finale imprevedibile. Alla Fratti, naturalmente. Magnifica l’interpretazione di Dennis Parlato (Nino), validissime le attrici Donna Vivino, Coleen Sexton, Ellen Barber, Laine Rettmer, Giulia Bisinella, Carlotta Brentan e l’attore Kevin Sebastian. Splendida la performance delle due attrici italiane, Giulia Bisinella (Belluno) e Carlotta Brentan (Milano), che da qualche anno calcano i palcoscenici della Grande Mela.
Venerdì 10 ottobre, a metà mattinata si va all’Hunter College. Mario Fratti in quell’ateneo ha insegnato per molti anni. C’è un gruppo bronzeo nel cortile, opera dello scultore Joseph Massari. Un monumento dedicato alla Madre Italia. Il Comitato dell’Italian Heritage and Culture Month, presieduto dal prof. Joseph Sciame, tiene lì la cerimonia celebrativa del Mese della Cultura Italiana, straordinaria kermesse di eventi letterari, artistici e musicali, che fanno del mese di ottobre a New York un’opportunità formidabile per far conoscere ed apprezzare la nostra cultura, per far amare l’Italia. Fervono i preparativi quando arriviamo. In attesa dell’ora d’inizio incontro Mary Ann Re, una donna briosa e ricca d’ironia, con la quale è piacevole conversare. Sociologa, ha ricoperto ruoli di rilievo presso l’AT&T e nei Laboratori Bell, nel campo delle ricerche di mercato e gestione delle risorse umane. Attualmente è direttore dell’Istituto “J. & E. Coccia” della Montclair State University. Mary Ann porta un cognome impegnativo, per storia e prestigio in seno alla comunità italo-americana. Suo padre, Edward Dominic Re, era giunto nel 1927 negli Stati Uniti all’età di 7 anni, con i genitori emigrati dall’isola di Salina. Famiglia modestissima, Edward aveva studiato e si era laureato in legge alla St. John’s University con il massimo dei voti. Prestigiosi gli incarichi ricevuti dai Presidenti Kennedy, Johnson e Carter. E’ stato Primo Giudice della Corte di Giustizia degli Stati Uniti per il Commercio Internazionale. Una ventina di lauree honoris causa all’attivo, tra cui anche quella dell’Alma Mater, l’Università di Bologna. E’ morto nel 2006. E’ una delle figure più rappresentative dell’affermazione italiana negli States e in fondo della storia della nostra emigrazione. Riprenderò l’argomento, vorrei far meglio conoscere la sua vita, che è una bella pagina dell’epopea migratoria italiana.
Giunge il Console Generale d’Italia a New York, Natalia Quintavalle. Si dà inizio alla celebrazione. La soprano Cristina Fontanelli – nata a New York, Brooklyn, nonni pugliesi di Molfetta, laureata all’American Academy of Dramatic Arts, professionista di notevole talento, ha dato concerti in Italia, Giappone, Francia, Egitto, Emirati Arabi, Cina, Turchia e Uganda, oltre che in molti teatri degli States – con la sua splendida voce, canta gli inni italiano e americano. Commuove. Il presidente Sciame può quindi aprire la celebrazione, richiamandone il senso e il tributo reso dagli Italiani alla storia e alla crescita degli Stati Uniti d’America. Un tema ripreso dal Console Natalia Quintavalle, persona di grande sensibilità culturale, assai stimata dalla nostra comunità. Al valore professionale la dr. Quintavalle associa un quid in più di passione che eleva la qualità della sua rappresentanza esaltandone il carisma e il prestigio. Il prof. Sciame comunica che il riconoscimento di merito, per il 2014, va al prof. Anthony Julian Tamburri, preside del Calandra Institute del Queens College. Presente un gruppo di studenti di quell’ateneo. Il prof. Tamburri si sente onorato del riconoscimento ed esprime il suo ringraziamento al prof. Sciame ed all’intero Comitato per il Mese della Cultura Italiana. La conviviale in onore del prof. Tamburri si tiene al Ristorante Vivolo. A sera, Maria Fosco e Sante Auriti vengono a prenderci. In macchina si va ad Astoria, al Club Orsogna. Numerosa e forte la presenza di emigrati orsognesi a New York, concentrati in Astoria. Due le associazioni: la prima ha celebrato quest’anno 75 anni dalla costituzione, l’altra 50 anni, quella dove andiamo. Lungo il percorso Sante Auriti ci parla del suo lavoro alla Steinway, la famosa antica fabbrica di pianoforti di New York. È un romanzo di vicende umane e di grande passione per il suo lavoro. La grande emigrazione degli orsognesi a New York s’ebbe dopo la fine della Seconda Guerra. Orsogna era stata ridotta ad un cumulo di macerie nello scontro tra gli Alleati e i Tedeschi schierati sulla linea Gustav, che tagliava in due l’Abruzzo. Dapprima sfollati, gli orsognesi alimentarono la grande emigrazione del dopoguerra. Negli Stai Uniti si concentrarono soprattutto a New York, in Astoria. Anche questa sarà storia da raccontare per intero. Al Club, un ampio locale rettangolare, ci attendono i presidenti dei due sodalizi di Astoria, Rocco Pace e Tony Ferrari. Per merito dei due attuali presidenti i Club sono tornati in rapporti d’armonia. Mi dicono essere molti di più gli orsognesi di New York che quelli di Orsogna, in provincia di Chieti, ora appena sotto i 4000 abitanti. E’ un caso emblematico di come i nostri emigrati si aggregavano con i propri paesani, ricostituendo una vera comunità. Mario Fratti e chi scrive hanno portato il saluto, Maria Fosco ci ha riferito sulla storia della comunità orsognese a New York. Una storia feconda di iniziative culturali e sociali. A sera inoltrata, dopo l’agape fraterna, si torna a casa. Di buonora, domani, si parte per Boston. Sulla missione, svolta l’11 e 12 ottobre, abbiamo già riferito.
Il 13 ottobre è Columbus Day. La Parata, la più grande d’America, avrà qualcosa in più per celebrare la ricorrenza del 70° anniversario. Vado a Messa, alle 9:30, alla Cattedrale di St. Patrick. E’ sempre il prologo della manifestazione. Quest’anno celebra Mons. Salvatore R. Matano, origini italiane, vescovo di Rochester. L’arcivescovo di New York, Cardinale Timothy Dolan, è a Roma per il Sinodo. La celebrazione eucaristica si chiude con gli inni nazionali, guidati dalla voce possente di un tenore frate francescano. Sono appena passate le 11 quando la testa della Parata muove dalla 47th Street. La Quinta Avenue già da un paio d’ore ha due ali di folla che attendono. Lungo l’intero percorso, che si snoda fino al Tappeto Rosso e alla 72th Street, dove la Parata si scioglie, si stimano non meno di un milione di spettatori, cui s’aggiunge il pubblico delle diverse dirette televisive. Il Columbus Day di New York è un evento che richiama grandi attenzioni, c’è chi resta incollato per ore allo schermo, o assiepato dietro le transenne, fin quando l’ultimo gruppo sfilando non chiude la Parata. Si parte. Aprono gli agenti della Polizia municipale di New York, cinque alfieri con le bandiere americana ed italiana, ed altre. Segue drappello a cavallo e la Banda del PDNY, poi i poliziotti motociclisti e una fanfara di cornamuse in rigoroso kilt scozzese. Un brivido d’orgoglio avverto quando, a seguire, sfila la Polizia di Stato italiana, rappresentata dagli agenti PS di Pescara. Al comando del plotone in divisa blu spezzata il dirigente generale Questore Paolo Passamonti, sulla prima fila donne con i gradi da ufficiali superiori, poi ispettori ed agenti. Un magnifico plotone che mi fa commuovere. Li ho già incontrati a Boston; ora li vedo schierati, a rappresentare l’Italia, ed è un’altra cosa. Sfila una schiera di Maserati, gli esponenti della Columbus Foundation con in testa il Grand Marshall, Frank Bisignano, esponente di spicco del mondo della finanza.
Quest’anno l’ANFE non è in delegazione. Sono l’unico rappresentante della storica associazione fondata nel 1947 da Maria Federici. Ho l’onore di rappresentare l’associazione più antica e prestigiosa dell’emigrazione italiana. Scelgo di sfilare con il gruppo del Governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo. C’è una precisa ragione. La famiglia Cuomo, in particolare la signora Matilda Raffa Cuomo, madre del Governatore, è molto legata all’ANFE con cui ha realizzato importanti iniziative. La sfilata del Governatore Cuomo, vista dal di dentro, è segnata da grande accoglienza del pubblico lungo il percorso, fino al Red Carpet e alla 72th Street, dove la sfilata ha termine. Spesso il Governatore, che ha accanto la giovane figlia e sua moglie, lascia il centro della strada per salutare direttamente le persone lungo i due lati della Quinta Avenue, e le Autorità religiose davanti la Cattedrale di St. Patrick. A novembre ci sono le elezioni nello Stato di New York e Andrew Cuomo è candidato alla rielezione. E’ una bella figura di politico, uno dei tanti casi di Italiani nel mondo alla guida di istituzioni. Personalità di grande carisma, come già il padre Mario Cuomo, che l’ha preceduto alla guida dello Stato di New York. Si avverte, di qua e di là delle transenne, il sentimento dell’orgoglio italiano. Nessuna nostalgia, ma consapevolezza del ruolo che gli italiani si sono conquistati nella società americana, grazie al talento, alla loro serietà, al primato in dure competizioni. Il gruppo giunge al Red Carpet. Lì mi fermo per ammirare parte della 70^ Parata. E’ un tripudio di bande musicali di giovani studenti. Non passa molto che giunge il sindaco di New York, Bill De Blasio, anch’egli interprete d’un ruolo politico conquistato da un italoamericano convincendo la città, in ogni strato sociale. Altro arrivo di richiamo: il Console Generale d’Italia, Natalia Quintavalle, sulla Cinquecento tricolore di i-Italy, seguita dalle telecamere di i-Italy Tv, coordinate dall’editor in chief Letizia Airos. Letizia raccoglie una serie d’interviste, anche quella di chi scrive. Sono quasi le due del pomeriggio, dovrei rientrare a casa. Ma ho promesso a Francesca Alderisi, per diversi anni conduttrice di “Sportello Italia” a Rai International, che l’avrei attesa all’arrivo della Comunità Ponzese di New York, del quale gruppo lei è Madrina. Eccolo, si vede arrivare, colorato di rosso vivo, con la statua di San Silverio Papa che si custodisce nella chiesa di Our Lady of the Piety, nel Bronx.
Numeroso il gruppo dei Ponzesi. Un’auto d’epoca porta un’anziana centenaria della comunità. Anche il sindaco di Ponza, il giornalista Piero Vigorelli, sfila con il gruppo. Francesca mi vede, ci veniamo incontro con un abbraccio. E’ una cara amica. Raccoglie gesti di ammirazione ed applausi, è molto amata dagli italiani all’estero. Posso finalmente avviarmi verso casa, sulla 55th Street. Nel pomeriggio, a casa Fratti, abbiamo una visita molto gradita. Ci incontriamo con Mariza Bafile, che da un anno vive a New York. Mariza Bafile è nata a Caracas. E’ stata direttore del quotidiano La Voce d’Italia, fondato dal padre Gaetano, un grande giornalista che Gabriel Garcia Marquez per il suo coraggio ha raccontato in un suo libro. Gaetano Bafile era andato in sud America come corrispondente del Messaggero, alla fine degli anni Quaranta. Restò in Venezuela dove appunto fondò, con Attilio Cecchini ed Ernesto Scanagatta, la Voce d’Italia. Mariza ha diretto il giornale fin quando, nel 2006, venne eletta al Parlamento italiano nella Circoscrizione America del Sud. E’ stata nell’Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati come Segretario. Strane vicende elettorali a suo danno, in Venezuela, sulle quali sta tuttora indagando anche la Magistratura italiana, provocarono la sua mancata rielezione. L’avrebbe ampiamente meritata, per la qualità del lavoro parlamentare svolto e per l’impegno profuso di persona nello sterminato collegio elettorale che dal Venezuela arriva fino alla Terra del Fuoco, alla fine del mondo. A New York, dov’è anche la figlia Flavia, Mariza Bafile ha fondato e dirige una testata giornalistica online (viceversa-mag.com, magazine inglese/spagnolo per le comunità ispaniche degli Stati Uniti) che sta ricevendo un ampio consenso dai lettori. C’è grande amicizia con Mariza e con la sua famiglia, sua madre era aquilana. Ho conosciuto anche suo padre Gaetano, cittadino onorario dell’Aquila, e conosco suo fratello Mauro, che ora dirige il giornale a Caracas. Le sono tuttora grato perché porta la sua firma la Prefazione al mio primo libro “Oltre confine”. Lei venne appositamente all’Aquila per presentarlo. E’ una donna di grande talento, tenace, con una rigorosa onestà intellettuale e morale. Orgoglio della nostra Italia all’estero.
Dedico la mattinata di martedì 14 per far visita ad un amico carissimo. Corrado Iovenitti vive a Larchmont, nel Westchester, a una mezz’ora di treno da New York. Ma per molti anni ha lavorato a Manhattan nel campo dell’abbigliamento di qualità. Lo vado a trovare, nella sua bella casa in mezzo agli alberi. E’ una zona residenziale molto tranquilla, fuori dalle strade trafficate. Aquilani entrambi, anzi di Paganica, castello fondatore della città tra i più importanti, condividiamo per un paio d’ore il mondo degli affetti e dei ricordi della sua gioventù, egli che in età matura emigrò negli States, una quarantina d’anni fa. Torno a New York. Nel pomeriggio vedo Rodolfo Sarchese. Una vita di lavoro e di progressi per un emigrato di Ortona, in grosse società come la Pratt Whitney e la General Electric. Poi un’impresa di trattamenti igienici in proprio. Ma anche una vita di impegno civile e sociale tra la comunità italiana di Astoria. Fa piacere incontrare abruzzesi generosi, impegnati nel sociale. A sera ho un incontro con Stefano Acunto, personaggio di spicco della comunità italiana a New York, operatore economico e culturale di successo. E’ un incontro per un drink, ma soprattutto un ponte di collaborazione con il nostro Abruzzo. Ci sentiremo, per esplorare ogni opportunità. Ho un paio d’ore di tempo, faccio un giro per acquisti, Chiara e Francesco lo meritano. Sono i miei nipotini, 3 anni la bimba, 10 mesi il piccolo Francesco. Domani si riparte per l’Italia. E’ mercoledì 15, ultima giornata. Spedisco dei libri. Faccio i bagagli. C’è il tempo per conoscere un’altra persona sulla 56th Street. E’ il titolare del ristorante Basso 56. Sulla cinquantina, con genitori di Assergi (L’Aquila), vissuti a S. Elpidio, in provincia di Rieti. Paolo Catini, questo il suo nome, ha fatto la scuola alberghiera a Rieti. Ha lavorato per anni a Venezia, da Cipriani. Nel 1986 proprio Cipriani lo convinse a partire per New York, per un mese di prova nel suo ristorante. E’ stato amore a prima vista. Ora Catini ha il suo ristorante e, di fronte, una fornita enoteca. Ci vive benissimo, con moglie americana, innamorata dell’Italia, e le due figlie. Sono le cinque del pomeriggio. Un forte abbraccio a Mario Fratti, il concittadino, il grande drammaturgo e l’amico con il quale non avverto la differenza d’età. Mi invita a tornare presto a New York. Ma ora è tempo di rientrare. Il volo Alitalia AZ611 mi riporta a Roma, mentre dall’oblò scorgo allontanarsi le luci sulla costa bagnata dall’Atlantico