Il Sogno del Primo Cittadino
Cronaca di un evento: Matteo Renzi alla Festa del PD, Torino, Piazza d’Armi, 14 settembre 2013
di Argia Coppola *
NEW YORK – “Non si comincia finché quelli ai lati non sono seduti…in rispetto di quelli che sono qui dalle dieci della mattina…seduti, quindi”. Siamo a scuola? In Italia (ma forse in tutti quei paesi in cui il popolo non si è davvero scelto ma dopo secoli di dominazioni straniere, si è trovato fatto popolo), la giustizia deve sempre essere riaffermata, ribadita, ricordata. Non è un necessario modo di essere, una naturale inclinazione del cuore, ma una lotta di conquista, in cui la voce di un “padre” sorge dalla nidiata dei figli indisciplinati, li strattona, li mette in riga.
Ma questa nidiata di figli accorsi (è possibile che per il giovane rampante fiorentino Matteo Renzi si possano contare 5000 teste, oggi? Poche? Tante?) non si rimette più “alla parola del padre”; sono figli e figlie cresciuti che hanno scelto. E hanno bisogno di pensare, non solo di immaginare, un SOGNO per il proprio paese. E quindi all’arrivo di Renzi c’è esultanza, ma anche speranza. Una speranza procrastinata da troppo tempo, come le puntate eterne e irreversibili di “Holly e Bengy”, come la saga infinita e sfinente tra Brooke e Ridge di “Beautifull”. Sono accorgimenti spiritosi dello stesso sindaco di Firenze che in questo modo rompe il ghiaccio, ci fa ridere, ci fa distendere: “It’s ok, all will be fine”, sembra dire.
Ma quando sarà la data del prossimo congresso del PD? E’ la domanda eterna di questi giorni. Ma le domande in queste paese continuano a essere tante e sempre eternamente portate a un tempo in avanti, in avanti, come una bobina, che pur di non ascoltarla, la si mette sempre in FF. Stop, ff., stop, ff. E così, avanti, senza il coraggio di mettere su PLAY. Ma non ci lamentiamo perché Matteo Renzi oggi parla, al presente di questo momento, ha messo play, e non ha ricette ma ha una voce. Non è affatto la voce di uno show-man come alcuni hanno detto (nessun timbro di gola alla Grillo), non è quella di un rottamatore del vecchio, in seno al suo partito (un altro primo cittadino è avanzato dalla folla, tra un immediato applauso che lui stesso stoppa come a dire che è qui davvero in veste di cittadino, per ascoltare, per capire, per vedere; è il sindaco di Torino Piero Fassino che di solito si vede nella veste di oratore ma qui avanza con quella dinoccolata eleganza di un inglese…Beckett, Samuel Beckett camminava così, dicono le biografie).
La voce di Matteo Renzi è al momento duplice, ma potrebbe diventare anche triplice e estendersi ancora, modificarsi, essere pronta alle esigenze di un paese in crisi ma pieno di risorse. La voce è molto importante per un leader, ed è importante per chi ascolta. Chi ascolta non vuole essere convinto ma vuole essere capito, sostenuto e poi vuole vedere una strada: autonoma, libera, sicura, in cui poter fare la propria parte. Per ora la voce di Matteo Renzi oscilla liquida tra concreto e astratto, reale e ideale, raccoglie ogni sospiro, interiezione, amarezza, delusione della folla e la cambia di segno (se ironica, lui la fa diventare seria, se triste, allegra, se polemica, diventa poi propositiva).
I contenuti sono quelli di un sindaco che è tutti i giorni alle prese con problemi quotidiani, le aziende del suo territorio, le strutture, le tasse, l’istruzione. Lui vuole parlare di problemi concreti anche se le domande che gli pongono ricadono sempre sulla politica centrale, su Roma, sul suo partito, su gli altri partiti. Lui raccoglie richieste e provocazioni ma poi dirige il discorso dove lui vuole portarlo, perché pensa che sia quel discorso ad essere utile al paese e a lui stesso, come cittadino. Non si nasconde dietro moderata modestia e ribadisce l’importanza di vincere le elezioni per il suo partito.
Nel farlo individua il “virus” e la tacita presunzione di un modo di pensare tipico dei suoi … il “Tranquilli abbiamo già vinto”; sembra che si faccia autogol ma non è così, perché subito accelera e mette sul piatto, con franchezza, i fattori che servono per rilanciare il paese.
1.Affrontare i problemi veri (dati alla mano, specifici esempi che costringono chi non ci capisce molto o ha smesso di leggere i giornali, a ricominciare a farlo),
2. Evocare un sogno. Sì … qui non osa la citazione “I have a dream” che è tempo presente, cioè significa “Io ho un sogno, adesso”, cioè mi prendo io, ora, la responsabilità di quel sogno, anche per voi. Sta sul generico infinito di “evocare” (chi lo deve evocare questo sogno, io? Tu?). Ma non credo che questa platea gli permetterebbe un volo pindarico all’americana (troppo nostalgica è la nostra cultura), eppure lì la sua voce scalpita … ma ancora la trattiene, perché non è quello il momento, né il luogo. E’ una festa popolare e lui la platea non la sfida di certo. Ma la aspetta. Come una donna … che lo aspetta l’amante e nell’aspettarlo gli insegna a desiderarla. In fondo non dimentica di essere anche lui (come lei) parte di quella platea.
Il dibattito prosegue e i punti toccati sono diversi, quelli che si conoscono, quelli che sono il tema centrale di questi giorni e ormai di mesi (in tutti i talk-show televisivi). Perché in Italia le trasmissioni di politica superano di gran lunga quelle d’intrattenimento e cultura? Questi i termini: finanziamento pubblico ai partiti, nuova legge elettorale, come uscire dalla crisi occupazionale, riforma della giustizia dello stato, scommessa sull’istruzione, “101 pagina infame ma non decisiva”, cambiare il sistema del welfare, puntare sul…MERITO.
Una bella parola, no? Significa che se sei bravo, è giusto che ti venga riconosciuto, ti spetta, è un diritto. Ma c’è anche il dovere di riconoscere il merito degli altri. E’ difficile non andar via da questa festa senza il ricordo di parole come “bellezza, entusiasmo, fiducia, merito…” ma c’è anche il dubbio e l’ansia di non sapere se l’Italia e tutta la politica (che non è fatta solo di leader e discorsi alla piazza) ce la farà a sostenere con braccia forti e intenti alti, questo linguaggio.
*Columbia University Press, Italian Department